Oltre Chavez e Castro, la sinistra guida il Sudamerica

«I presidenti non hanno più quell’immenso potere che avevano fino a trent’anni fa»

Chávez è morto. Fidel Castro rappresenta il passato. Eppure la sinistra in Sudamerica si rafforza. Dalla sua versione più moderata a quella radicale e rivoluzionaria, cresce in otto dei dieci grandi Paesi latinoamericani. E in alcuni non ha nemmeno un rivale cui tener testa.

Ci sono dei partiti forti che tornano al potere, come il Pri in Messico l’anno scorso o il Colorado che proverà a farlo in Paraguay, il prossimo 21 aprile. Ex presidenti che vogliono riprendersi il Paese, come la cilena Michelle Bachelet o l’uruguaiano Tabaré Vázquez, entrambi socialisti. Molti capi di Stato hanno poi cercato una rielezione e ci sono riusciti, come il defunto Comandante in Venezuela o Rafael Correa in Ecuador lo scorso febbraio.

Ma per alcuni analisti non c’è dubbio: l’avanzata della sinistra in America Latina è già in atto. «Viviamo un momento eccezionale: ci sono governi che durano a lungo, con presidenti che finiscono il loro mandato con alta popolarità e non devono più fuggire in elicottero dal palazzo del governo» spiegava in un’intervista Julio Burdman, preside argentino della facoltà di Relazioni internazionali all’Università di Belgrano. «La sinistra latinoamericana, che va dal chavismo alla socialdemocrazia, sta attraversando un momento felice e ha una buone prospettive di continuità al governo» chiariva, sottolineando come il Sudamerica assomigli sempre meno al Centro America.

Col ritorno alla democrazia negli anni Ottanta, in America Latina il rifiuto alla rielezione è stato sempre forte. Adesso però accade il contrario. Molti presidenti hanno cambiato la Costituzione, si sono ricandidati e hanno vinto con larga maggioranza. «È la ola democrática» dice Domingo Coss y León, esperto in Movimenti sociali all’Università Tec di Monterrey, in Messico. «C’è una trasformazione generale e graduale, che va di pari passo con l’affermazione delle istituzioni democratiche. Non esiste più la rivoluzione come concetto classico: non è il Sudamerica di cinquant’anni fa, la gente è cambiata, la lotta di classe perde i suoi connotati. Ci allontaniamo dalla contrapposizione tra capitalismo e proletariato, tra pubblico e privato. La sinistra è cambiata». A guardar le ultime vicende però, soprattutto in Venezuela, stretta tra il cordoglio per la scomparsa di Hugo Chávez e il populismo di Nicolás Maduro che ha aperto la sua campagna elettorale sulle ceneri del padre spirituale della nazione, l’ola democratica sembra ancora lontana.

La sinistra bolivariana si mantiene ben salda al potere. Dopo il 54 per cento ottenuto da Chávez lo scorso ottobre, il 2013 è cominciato con un 57 per cento di voti a favore dell’ecuadoriano Correa. E il calendario latinoamericano continuerà il 14 aprile con la sfida tra il successore del presidente venezuelano, Maduro, e l’oppositore Henrique Capriles. Alcuni sondaggi dicono che Maduro ha già il 48 per cento delle preferenze contro il 33 dello sfidante, che ha scelto di abbracciare quel modello di centrosinistra portato avanti dall’ex presidente brasiliano Lula da Silva.

« Non tutti hanno capito che siamo nel XXI secolo. Il modello venezuelano, la borrachera (ubriacatura) petrolifera, è certamente opinabile, ma non dobbiamo dimenticarci che anche Chávez è stato rieletto per via democratica. I presidenti non hanno più quell’immenso potere che avevano fino a trent’anni fa. Arrivano dalla dittatura militare, è vero, ma sanno che possono governare per un periodo determinato» chiarisce l’esperto messicano. Frattanto il prossimo dicembre Evo Morales potrebbe presentarsi per la terza volta alle presidenziali in Bolivia. La Costituzione del 2009 proibisce un’ulteriore rielezione, ma i sostenitori di Morales affermano che il presidente era stato eletto per la prima volta nel 2006, quando era in vigore il predicente Statuto.

Dove la socialdemocrazia ha perso invece un governo è stato il Paraguay, dopo la polemica destituzione nel 2012 di Fernando Lugo, l’ex vescovo che nel 2008, dopo 61 anni, aveva messo fine al potere del rivoluzionario Colorado. Partito che alle prossime elezioni potrebbe tornare al governo: nei sondaggi il candidato Horacio Cartes ha già il 30 per cento delle preferenze contro il 22 del liberale Efraín Alegre.

In Cile, Michelle Bachelet, presidente dal 2006 al 2010, è appena rientrata nel Paese, in vista delle elezioni autunnali. E ha buone possibilità di riportare al potere la sinistra, che governò per vent’anni fino all’arrivo della destra di Sebastián Piñera. Un altro ex presidente che torna è poi Tabaré Vázquez, che governò l’Uruguay tra il 2005 e il 2010, anche lui candidato alle elezioni del prossimo ottobre 2014.

Prima però, alla fine dell’anno, gli occhi saranno puntati sull’Argentina. Le elezioni amministrative saranno un campo di prova per il kirchnerismo, che ha la maggioranza al Congresso, ma che cerca di ampliare il controllo ai due terzi dei legislatori necessari per riformare la Costituzione e abolire la proibizione di una seconda rielezione nel 2015. Anche se Cristina Fernández finora ha smentito di volersi ricandidare. Nel 2014 pure il Brasile andrà alle urne. E il partito dei lavoratori (Pt) cercherà una rielezione di Dilma Rousseff, di fronte alla socialdemocrazia brasiliana carente di leader.

«In America Latina vince la persona sull’ideologia. Ma i leader di sinistra hanno scelto la via democratica. Non si arriva più al potere con le armi. Il contesto macro-politico è cambiato. La guerra fredda è finita. Cuba rimane ancora un enigma, ma in Brasile, ad esempio, la sinistra è diventata moderata. È una sinistra pragmatica, moderna, che segue il modello europeo» conclude Domingo Coss y León. Ma se la trasformazione è in atto, le problematiche sociali non sono di certo scomparse. E la corruzione continua a dilagare. Dal sud al nord della regione. 

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