L’obiettivo del Consiglio dei ministri che in queste ore è riunito per varare l’atteso decreto che sblocca i crediti vantati dalle imprese nei confronti della pubblica aministrazione è uno solo: rendere il meccanismo meno farraginoso possibile. Secondo le indiscrezioni che arrivano da Palazzo Chigi si punta ad andare al Quirinale già in serata, mentre la riunione dei membri dell’esecutivo tecnico dovrebbe durare ancora un paio d’ore al massimo.
Secondo quanto trapela, sarebbero stati scongiurati i tagli lineari ai ministeri per coprire le maggiori spese per interessi sui 40 miliardi di emissioni di debito pubblico necessarie a saldare gli oneri dello Stato verso i fornitori. A garantire la copertura, sembra sia sufficiente il semplice gettito Iva pagato sulle fatture. Rimane la tripartizione delle risorse in un unico fondo presso il ministero dell’Economia, destinato a Comuni, Regioni e Province autonome, e Asl.
Una matassa, quella dei debiti finanziari delle Regioni, che i tecnici stanno cercando di sbrogliare eliminando il tavolo di verifica istituito presso la Ragioneria generale dello Stato, e composto da rappresentanti del dipartimento degli affari regionali della Presidenza del Consiglio dei Ministri, del dipartimento del Tesoro, della segreteria della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province Autonome di Trento e Bolzano e della segreteria della Conferenza dei Presidenti delle Regioni e delle Province autonome, previsto dal comma 5 dell’art. 2 della bozza del provvedimento (leggi qui).
Sempre sul fronte delle Regioni, un altro tema di cui si dibatte è la golden rule, cioè la clausola di pareggio strutturale dei conti delle Regioni come condizione per accendere mutui e chiedere prestiti, mentre decadono i paletti agli investimenti per i 5 anni successivi alla richiesta di aiuto finanziario alla Cassa depositi e prestiti.
A favore delle imprese, salgono da 500 a 700mila euro le compensazioni dei crediti con i debiti tributari, previdenziali e assistenziali, mentre i crediti pro soluto e pro solvendo ceduti agli istituti di credito potranno essere saldati tramite nuove emissioni di titoli di Stato a partire dal 2014, oltre i 40 miliardi già programmati.
L’asticella dei 7,9 miliardi di debiti derivanti da spese d’investimento, che vanno a incidere sul deficit avvicinandolo pericolosamente alla soglia massima del 3% rispetto al Pil consentita dal Fiscal compact, scende a quota 7,2 miliardi di euro. Il ragionamento di Palazzo Chigi è: meglio rischiare un anno e chiudere subito la partita piuttosto che aggiungere altro deficit anche nel 2014. In ogni caso, come già previsto nella bozza circolata ieri sera, in caso di sforamento il Tesoro rimodulerà le spese.
La sensazione, allo stato attuale, è che i più veloci a onorare i propri impegni verso i fornitori saranno i Comuni, mentre sono necessarie ulteriori limature per i debiti contratti dalle Regioni, che presentano situazioni piuttosto variegate. Proprio stamani la Cgia di Mestre ha calcolato che i debiti reali della Pa nei confronti delle piccole imprese sarebbero pari a 130 miliardi e non ai 91 stimati dalla Banca d’Italia, la cui indagine campionaria è stata condotta escludendo le società con meno di 20 addetti.