Il governo di Enrico Letta ha già ottime chance di essere benvoluto dai mercati finanziari. L’Italia che ieri notte ha visto la conferma del rating sul debito sovrano da parte di Moody’s, seppure con outlook negativo, potrebbe ritrovarsi in una situazione più stabile di quanto immaginato dopo il 25 febbraio. Vicino al Bilderberg, alla Commissione Trilaterale e all’Aspen Institute, Letta è stato il protagonista di una lunga corsa fatta di incontri istituzionali a porte chiuse, cene e convegni. Tutto materiale buono per i complottisti. Era lui l’uomo del PD ha interagito negli ultimi 5 mesi con la finanza che conta, con i soggetti che comprano il debito pubblico italiano. Un’operazione che potrebbe garantire al governo Letta una sopravvivenza superiore alle attese.
«Ha spiegato alla perfezione quali sono gli scenari possibili, è stato un incontro davvero utile». Le parole sono quelle di un gestore di hedge fund con base a Londra. Il riferimento è a Enrico Letta, che ha avuto il compito di tranquillizzare gli investitori sul futuro dell’Italia. Ruolo che ha svolto in modo dimesso, lontano dai riflettori. Come quella volta che, su invito dell’economista rockstar Nouriel Roubini e della sua società Roubini Global Economics, era andato a Londra per discutere del futuro esito delle elezioni. Era inizio febbraio e Letta parlò di fronte a una platea inusuale fatta da hedge fund, banchieri e asset manager. Il tutto sotto Chatham Rule, quindi con il vincolo di riservatezza. Chatham Rule prontamente rotta, fra l’altro. Un dialogo che, riferiscono i presenti, fu «molto costruttivo» e «funzionale a capire cosa sarebbe stato dell’Italia nel corso del 2013». Dal progetto europeo del PD al contenimento del populismo del Movimento 5 Stelle, passando per l’innovazione dello stesso partito e per le sfide dell’Italia sul mercato obbligazionario, Letta discusse per ore di fronte a quelli che a tutti gli effetti si possono considerare fra gli investitori più aggressivi sui mercati globali. O, per dirla come la direbbe Stefano Fassina, di fronte a degli speculatori senza scrupoli.
Ripensando agli ultimi due mesi, una domanda è legittima: tanto rumore per nulla? L’inconclusivo esito delle elezioni, la liquefazione del PD, la débâcle di Pier Luigi Bersani, l’acerbità e l’ottusità politica del Movimento 5 Stelle, la rielezione di Giorgio Napolitano come presidente della Repubblica e infine il mandato a Enrico Letta. Visto con il senno di poi, con gli occhi e le orecchie di chi era presente quel giorno di febbraio a Londra a sentire Letta, tutto assume altri connotati. Ma a questo quadro manca ancora un passaggio.
Dopo Londra, ma anche dopo altri incontri a porte chiuse, ci fu il Workshop Ambrosetti di Cernobbio, nella sua versione ridotta e dedicata ai mercati finanziari. Anch’esso a porte chiuse. Come d’abitudine, Enrico Letta arrivò sul lago di Como per discutere con alcuni dei migliori economisti e banchieri del mondo. Fra questi, oltre a Roubini, c’erano anche Richard Koo di Nomura, Jim O’Neill di Goldman Sachs Asset Management e Gill Marcus, governatore della Banca centrale del Sudafrica. Presente all’ultimo panel, chiamato “Le priorità per il Paese”, Letta risultò uno dei più convincenti. A tal punto che qualcuno dei presenti in platea si fece scappare una frase suggestiva: «Ha parlato come se fosse il prossimo premier».
Infine VeDrò, la kermesse estiva che da anni è una vetrina per quel pezzo di classe dirigente del Paese che vuole (e vota) un centrosinistra moderato, liberale ed europeo. Come scrisse Stefano Feltri su Il Fatto Quotidiano nell’agosto scorso, «Enrico Letta ha soprattutto una funzione rassicurante: se il centrosinistra dovesse vincere le elezioni, legge elettorale permettendo, un pezzo del capitalismo italiano avrebbe qualcuno con cui parlare». Parole che esprimono un concetto chiaro anche all’estero. Come dice a Linkiesta un banchiere londinese «Letta sa muoversi, sa parlare con gli analisti delle grandi banche d’investimento ed è presentabile». Il biglietto da visita ideale, da un punto di vista europeo.
La scelta di Letta, per via della rete che si è saputo creare nel corso degli ultimi anni, è forse la migliore per gli investitori. Non è un caso che il Financial Times abbia fin da subito dato risalto al possibile mandato a Letta per la formazione di un nuovo governo. E non sarebbe un caso se il governo Letta durasse ben oltre le aspettative, come si inizia a mormorare in alcuni ambienti finanziari rilevanti. Certo, le difficoltà non mancheranno. Ma senza la pressione dei mercati finanziari sull’Italia, potrebbe essere più semplice mettere in cantiere le riforme strutturali richieste dall’Unione europea e contenute in larga parte nei dossier preparati dal gruppo dei Saggi scelti da Giorgio Napolitano. Uno scenario tutt’altro che scontato fino a qualche settimana fa.