Se per Rcs, la società editrice del Corriere della Sera e della Gazzetta dello Sport, il concordato in bonis è un’ipotesi peregrina, l’assemblea straordinaria che a fine maggio dovrà dare il disco verde all’aumento di capitale per evitare di portare i libri in tribunale sarà di sicuro una guerra senza quartiere. Secondo quanto risulta a Linkiesta, le diplomazie di alcuni soci delusi sarebbero al lavoro per capire se ci siano i margini per un contrario in blocco all’aumento di capitale deliberato dal consiglio d’amministrazione dieci giorni fa. In attesa della riunione del board prevista per domenica, che dovrà approvare i conti relativi al primo trimestre e definire gli ultimi dettagli dell’operazione di rifinanziamento, fervono le manovre per aggregare voti, consenso e magari raggranellare azioni sul mercato per contare di più, almeno a giudicare dall’andamento del titolo negli ultimi giorni.
L’impresa è a dir poco ardua. Per bloccare l’aumento di capitale da 400 milioni, di cui la metà non sarà impiegata a servizio dello sviluppo ma per ripagare parte del rifinanziamento da 575 milioni da parte di un pool di banche che include Intesa, Unicredit e Bpm, serve il voto contrario dei due terzi del capitale presente. Ovvero il 50-60% del capitale, considerando una partecipazione tra l’80 e il 90 per cento all’assise. Il patto parasociale aggrega il 58% del capitale, ma nello statuto non sono previste indicazioni di voto esplicite per l’assemblea. Certo, solitamente la falange è compatta.
Tuttavia, con l’uscita di Merloni e le incertezze dei Pesenti, gli equilibri non sono così netti. Né Giuseppe Rotelli, primo azionista non sindacato al 16,5%, né Italmobiliare, titolare del 7,4%, hanno ancora sciolto la riserva sulle loro intenzioni. Una decisione che va ponderata non poco: se, come pare, il prezzo sarà di 10-20 centesimi per azione, il primo passerebbe dal 16,5 al 4% circa, mentre al secondo rimarrebbe una quota risibile della società. Viceversa, rimanere saldi in sella equivale a sborsare rispettivamente 70 e 30 milioni di euro circa. Se Rotelli, Della Valle, i Pesenti, i Merloni e i Benetton votassero no, si arriverebbe al 40% del capitale. Per giocarsela, tutto sta nel convincere gli altri azionisti, o nell’arrrotondare sul mercato le proprie quote.
All’interno del patto di sindacato, invece, l’elenco degli aderenti senza se e senza ma comprende Fiat, Intesa Sanpaolo, Mediobanca, Mittel, Edison, Pirelli, Unipol-Fonsai, Eridano Finanziaria (Gruppo Bertazzoni), ovvero il 43% del capitale sociale. Le Generali, titolari del 3,7%, non parteciperanno all’aumento, ma un’astensione appare difficile così come un voto non in linea con Mediobanca, loro principale azionista e socio al 13% di Rcs.
Si vedrà. Dal punto di vista finanziario, il 91% dell’aumento di capitale sarebbe garantito dal consorzio composto da Banca Imi, Centrobanca, Bnp-Paribas, Mediobanca e Banca Akros, che si sono impegnati a dare garanzie per 166 milioni. Per quanto riguarda invece l’inoptato all’interno del patto, che deve essere offerto in prelazione agli altri soci, il numero uno di Intesa Sanpaolo, Enrico Cucchiani, ha usato prudenza – «vedremo quali saranno le regole che andranno a configurarsi nei prossimi giorni», ha detto ieri – nonostante nelle scorse settimane, assieme alla Fiat, la banca pare abbia assicurato le quote mancanti per arrivare alla soglia del 50 per cento.
Diluizione, adesione parziale, barricate. Le tre opzioni degli azionisti del Corrieresono queste. A meno di clamorose sorprese per le quali si sta lavorando alacremente, che non è detto portino gli esiti sperati. E dire che lanciare un’Opa costerebbe meno di 300 milioni di euro.