Nell’estate del 2007 il ritrovamento dell’archivio di via Nazionale in un ufficio, ovviamente segreto, del Sismi portò all’apertura di un’inchiesta parallela a quella dei dossier illeciti di Telecom. Indagati l’ex numero uno del Sismi Nicolò Pollari insieme all’ex funzionario Pio Pompa per peculato e violazione della corrispondenza elettronica.
L’inchiesta sulla presunta raccolta illegale di informazioni riservate da parte di ex manager di Telecom Italia in quel momento si aggancia a un nuovo filone con diverse ipotesi di reato: associazione a delinquere finalizzata alla corruzione di pubblici ufficiali, rivelazione di segreto d’ufficio, appropriazione indebita, falso, favoreggiamento e riciclaggio. In quell’istante diviene palese ciò che molti osservatori avevano già discusso un anno prima: ovvero che le due inchieste sarebbero finite col fondersi con una terza. Quella legata al sequestro di Abu Omar. Creando il più grande conglomerato di tentativi di far luce su eventi geopolitici oltre che reati e di altrettanto grandi tentativi di opacizzare i medesimi eventi. Dal dossieraggio allo spionaggio, fino all’apposizione ripetuta del segreto di Stato.
Ora che le varie inchieste sono terminate o quasi, da un lato restano le sentenze e le condanne. Dall’altro, i dubbi. Nel febbraio scorso la Corte d’appello di Milano dopo il rinvio della Cassazione del settembre 2012 ha condannato l’ex numero uno del Sismi a 10 anni di reclusione e il suo numero due Marco Mancini a 9 anni riconoscendo quindi la tesi della Cassazione sulla portata troppo ampia e parzialmente illegittima del segreto di Stato. Gli agenti Cia coinvolti nel sequestro erano già stati condannati in contumacia. Anche se ieri sera il presidente della Repubblica ha aperto un capitolo della vicenda. Dopo che Obama nei mesi scorsi si era espresso per un esito extragiudiziario, ha concesso la grazia al colonnello dell’Usaf Joseph Romano, coinvolto assieme agli altri 25 agenti americani nel sequestro. Una scelta che susciterà non poche reazioni. L’ambasciata americana ovviamente ha già espresso gioia per la decisione di Napolitano, che implicitamente ha suggerito al futuro presidente di valutare la posizione non solo degli agenti Usa, ma anche di Pollari e degli altri uomini del Sismi. Ai posteri la sentenza.
Intanto diverso esito c’è già stato per l’archivio di via Nazionale. Pollari e Pompa all’inizio di quest’anno sono stati prosciolti dall’accusa di aver confezionato dossier a favore del governo Berlusconi. C’è però un terzo lato da prendere in considerazione. Pian piano riemergono, ma solo la storia completerà il lavoro di analisi, le tensioni e i conflitti tra elementi dello Stato, tra testate giornalistiche, tra giornalisti della stessa testata e tra correnti della stessa magistratura.
Per capire quanto il background del conglomerato di inchieste sia stato complicato e districato è interessante ripescare un documento del Csm datato luglio 2007. All’indomani del primo interrogatorio a Roma di Pio Pompa, Fabio Roia, togato di Unicost, per conto del plenum dei magistrati scrive: «L’attività di spionaggio fu oggetto di ripetute informazioni al direttore Nicolò Pollari e sembra quindi riferibile al Sismi in quanto tale e non ai suoi settori deviati. Un’attività che sarebbe cominciata nell’estate del 2001, sarebbe proseguita in modo capillare sino al settembre del 2003 e saltuariamente sino al maggio del 2006 nei confronti di alcuni magistrati italiani ed europei e delle associazioni di riferimento degli stessi (in particolare Magistratura democratica e Medel)». Dossier specifici vengono dedicati a Spataro, Dambruoso e Domenico Gallo. I primi due primari protagonisti proprio dell’inchiesta sul rapimento dell’Imam di Milano. L’Intelligence, secondo quanto esaminato dal Csm, aveva anche curiosato tra le comunicazioni telematiche, raccolto informazioni da un magistrato, detto la Fonte (il quale avrebbe anche “fornito informazioni a esponenti del governo in carica”) o controllato i loro contatti con organismi internazionali della portata dell’Olaf – l’Ufficio Antifrode dell’Unione Europea. Dunque non solo servizi contro magistrati, ma anche toghe contro toghe. Il pesante macigno si conclude con una frase altrettanto greve. «Ogni tipo di collaborazione di magistrati con i servizi segreti oltre che espressamente vietata dalla legge», sentenzia Palazzo dei Marescialli riferendosi alla Fonte, «è estranea al modello costituzionale dell’ordine giudiziario e ai suoi connotati di terzietà e indipendenza».
Sarebbe stato interessante che da quell’atto di accusa fosse scaturita un’inchiesta o addirittura una commissione d’inchiesta. Invece, no. Sono stati resi pubblici i nomi dei giornalisti collaborativi (tra i più celebri Renato Farina detto Betulla). Sarebbe altrettanto interessante sapere oggi se e chi in quegli anni tra le toghe avesse collaborato con il Sismi. Aiuterebbe per comprendere come la magistratura non sia un elemento granitico, ma un sistema ricco di canyon.
Fratture e canaloni simili a quelli che per anni in Italia hanno separato differenti filosofie di lotta al terrorismo. A Luglio del 2006 Stefano Dambruoso, già titolare dell’inchiesta sul rapimento dell’Imam e all’epoca in forza alla rappresentanza diplomatica italiana a Bruxelles, come esperto sul terrorismo, rilascia un’intervista al «Corriere» nella quale in sostanza afferma: «Mi accusavano per depistare l’inchiesta» . Il catenaccio recitava infatti: Dambruoso, il pm che stava per arrestare Abu Omar: «Volevano spostare tutto a Brescia». Accuse di chi? Servizi e giornalisti. Ma dopo aver risposto alle domande relative ai giornalisti depistati da Pio Pompa, l’ex magistrato, ora deputato di Scelta Civica, allarga e zooma il tiro: «Singolarmente devo dire che questa stessa tesi veniva insinuata più di un anno fa, e per la prima volta, dal quotidiano La Repubblica e in particolare dai giornalisti Giuseppe D’Avanzo e Carlo Bonini. Prima di denunciarli per la gravissima diffamazione ho sollecitato un riscontro di questa fantasiosa tesi, invitando Repubblica ad andarsi a leggere le carte».
Il Corriere replica: «Ma come? Ma se D’Avanzo e Bonini sono stati spiati, pedinati dal Sismi. Dall’inchiesta appare chiaro come i vertici dei servizi li considerassero dei «nemici»… Non tarda la risposta dei due giornalisti di Repubblica. Al vetriolo. «Purtroppo, è stato Dambruoso a commettere un errore che avrebbe potuto pregiudicare le indagini. I primi dati telefonici raccolti si riferivano al traffico di cella intercorso all’ ora e nella zona del sequestro non nella data del 17.2.03 (quella in cui i fatti si erano verificati), ma in quella del 17.3.03. (gip Chiara Nobili, 22 giugno 2005). Non è stato Dambruoso a correggere questo errore, che peraltro non ha mai negato. Lo ha fatto soltanto dopo il procuratore aggiunto Spataro. Non è stato Dambruoso, purtroppo, a chiedere l’arresto di Abu Omar, ma ancora una volta Spataro. Erano circostanze già pubbliche un anno fa».
Ai lettori più attenti appare subito chiaro che la querelle è più complicata di quanto sembri. I due giornalisti di Repubblica non potevano essere certo considerati vicini a quegli uffici del Sismi di Pompa o Mancini. Infatti i differenti approcci all’attività giornalistica e le differenti fonti in quei giorni fanno pure una vittima. Luca Fazzo lascia il quotidiano di Ezio Mauro perché tramite il Corriere, che ottenne le carte dell’inchiesta, viene reso pubblico un fax. Quello che Fazzo avrebbe mandato a una sua fonte del Sismi per anticipare il contenuto di un articolo a firma di D’Avanzo. Articolo che sarebbe uscito l’indomani in edicola. Che invece D’Avanzo fosse contrario alla filosofia di Dambruoso era palese già dal 2005.
Il giornalista, prematuramente scomparso due anni fa, dopo aver elencato una serie di atti della procura al tempo di Dambruoso a suo dire non sequenziali, scrive: «La sola logica che può spiegare la girandola di errate conclusioni della procura di Milano sulla centralità dei curdi di Ansar al Islam e di Abu Omar non si afferra nelle evidenze probatorie delle indagini milanesi: all’esame dell’aula e del giudice, quelle, sono andate a ramengo. Questa ridefinizione delle relazioni di alcuni gruppi integralistici islamici con Al Qaeda e Bin Laden è soltanto coerente con le operazioni di influenza e le manipolazioni in corso in quegli anni per mano dell’intelligence americana».
Chi ha vissuto palazzo di giustizia in quegli anni percepiva in alcuni magistrati pensieri simili. Per carità mai espressi. Forse solo pensati. Ma riflessi paralleli c’erano anche tra gli inquirenti: non fu un momento di idillio nemmeno tra Digos e Ros. Non a caso dopo che Dambruso lascia per l’Europa la nuova linea accusatoria porta al processo e alle condanne. Ma le guerre intestine sono state così feroci da non lasciare traccia apparente.