Una su mille ce la fa, il Pd si prende il Friuli

Elezioni regionali

Uno su cento ce la fa. Contro ogni aspettativa, alla fine ce l’ha fatta proprio lei, la candidata democrat alla presidenza del Friuli Venezia Giulia. Debora Serracchiani, che ancora ieri sera temeva di essere sconfitta, perché pensava di essere fustigata dalla rabbia anticasta, che ha contrapposto la piazza al palazzo nella tormentata elezione del presidente della Repubblica e ancora oggi pomeriggio aveva dichiarato: “Se non c’era Roma, era un’assaltata”, come se evocando il nome della capitale fosse sufficiente a far capire tutto ai suoi elettori, frustrati e delusi dal Pd. Sempre che di vittoria si possa parlare, visto che Debora Serracchiani ha conquistato il soglio regionale per una manciata di voti, duemila in tutto. Con uno scarto decimale sul presidente uscente, Renzo Tondo: 39,34% contro 38,94% .

Sempre che di vittoria si possa parlare, visto che a trionfare è stato soprattutto l’astensionismo record, (l’affluenza si è fermata al 50,51%, mentre nelle scorse elezioni regionali nel 2008 aveva votato oltre il 72%) con un elettore su due, rimasto a casa per protestare contro una classe dirigente intera, palesemente incapace di anteporre i problemi sociali ed economici del Paese, ai duelli e alle risse politiche. In ogni caso ha vinto lei, che sembrava non aver scaldato i cuori dei friulani nelle piazze, col suo motto “Torniamo ad essere speciali”, e invece è riuscita a mandare a casa la classe dirigente che aveva più “culi che sedie”, per dirla con le parole del candidato portavoce del M5s, Saverio Galluccio, che non è riuscito a realizzare il sogno grillino di arrendetevi-siete-circondati.

Lei, che si presentò nel 2009 con la sua frangetta e un’aria sbarazzina all’assemblea del Pd per dire ai dirigenti quello che la nuova generazione dei democrat sta dicendo da giorni al suo apparato “digerente”, come lo chiama qualcuno dei dissidenti per sottolineare il passatismo di un partito incapace di guardare oltre il palazzo, tenendo in considerazione le richieste dei suoi elettori. “Non avete una linea chiara, bisogna rinnovare la politica”, disse lei, nel 2009, prima di cominciare la sua ascesa, che la portò dritta a Bruxelles. E infatti in un’intervista alla Stampa due giorni fa ha affermato “Sono incazzata col mio partito. Non possiamo né dobbiamo subire gli inciuci di Roma”, nella speranza, forse, di convincere i suoi elettori di essere anche lei lontana dalle dinamiche contorte della casta. Anche se molti la considerano alla pari della ex portavoce di Pierluigi Bersani, Alessandra Moretti, che non ci ha pensato due volte, e anche senza i trenta denari, a tradire il suo segretario, perché la Serracchiani, considerata a lungo una della “sinistra de noantri”, poi invece è salita sul treno di Matteo Renzi. E invece è riuscita (per un soffio) a interpretare, pare, il desiderio di un rinnovamento, dolce. E il desiderio di un cambiamento che, almeno in Friuli, passa dai giovani del Pd, che vogliono rottamare gli eredi di Palmiro Togliatti.

Soprattutto se è vero, come ha commentato Isidoro Gottardo, coordinatore del Pdl in Fvg che “molti grillini hanno votato per la Serracchiani, soprattutto a Trieste”. “Abbiamo fatto un’efficace campagna elettorale”, ha commentato nel pomeriggio Debora Serracchiani, alla quale i suoi avversari hanno rinfacciato di avere avuto a disposizione una macchina da guerra nella propaganda elettorale, a cominciare dalle tre assistenti portate da Bruxelles.

Debora Serracchiani, 42 anni, ha vinto con un programma di rinnovamento pacato, che non mette in discussione le pietre miliari della Regione a statuto speciale, e cioè l’autonomia fiscale e culturale, con un accentuazione determinante in momento di grave recessione per il Fvg. Ossia il lavoro, lavoro, e ancora lavoro. Le sue parole d’ordine nella campagna elettorale sono state infatti tutte dedicate ai giovani e al lavoro, dove il tasso di disoccupazione ha raggiunto percentuali record. Insistendo sul patto generazionale per aiutare la generazione X ad avere una prospettiva, sia nella società, sia nel partito democratico, come dimostra il sommovimento che sta scuotendo la base del partito che, al grido di OccupyPd, sta chiedendo ai dirigenti del Pd un’inversione di rotta, o forse solo di tenere una rotta.

Debora Serracchiani rappresenta una generazione di quarantenni liberal, che un po’ si affida a Renzi per fagocitare la rottamazione della classe dirigente e un po’guarda alla sinistra del partito per raccogliere le istanze di cambiamento, che hanno portato molti giovani del Pd a invocare l’elezione del simbolo della difesa dei beni comuni e dei diritti civili, Stefano Rodotà. Quelli che, insomma, flirtano con i grillini, anche solo idealmente, perché sognano un mondo eco-digitale-comunitario, tornando al vecchio refrain della democrazia partecipativa. Anche se poi la vera novità emersa dal test delle elezioni regionali in FVG è la sconfitta dei grillini e della capacità di trainare consenso di Grillo, che non è riuscito a convincere i friulani con il suo sfascimo, forse perché ha usato la piazza friulana per la sua campagna contro l’inciucio Pd-Pdl, dimenticandosi della diffidenza storica, politica e culturale, friulana verso ciò che accade nei palazzi romani.

Complice anche la modestia, da non confondersi con la virtù dell’umiltà, del profilo candidato portavoce, Saverio Galluccio, che, come avevamo già evidenziato un uno scenario preelettorale, non è stato capace di entusiasmare gli elettori con il suo generico e vago programma di governo per la Regione. E così è stata eletta lei, l’ex avvocato, 42 anni, faccia pulita, grinta da vendere, che non alza mai la voce, pragmatica. E quando è diventata segretario regionale del Pd, è stata infilzata da tutta la classe dirigente locale. Troppo giovane per i più anziani, troppo di sinistra per gli ex democristiani, troppo moderata per gli ex diessini, troppo carrierista per chi è rimasto indietro a vedere la sua corsa al galoppo. Ha vinto lei, contro ogni aspettativa, visto che le rilevazioni demoscopiche hanno toppato ancora una volta, visto che i sondaggi premiavano Renzo Tondo, punito dagli elettori, che evidentemente non gli hanno perdonato le mancate riforme, soprattutto quelle relative al contenimento della spesa pubblica. Alla fine, però, uno su cento ce la fa. Ed è anche donna, la prima donna a guidare la regione più orientale d’Italia, che al Quirinale voleva un’altra donna, Emma Bonino. Una che si definisce “semplicemente democratica”. Anche se, come ha dichiarato il sindaco democrat di Trieste Roberto Cosolini, “Dopo quello che è accaduto a Roma, è davvero un miracolo”.

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