«È un grande romanista lei, un grande tifoso. Ha fatto molte cose, per Roma e per la Roma». Il tassinaro Alberto Sordi lo inquadra subito così, nel celebre film del 1983. Del resto Giulio Andreotti non ha mai nascosto la sua passione. Legato alla squadra giallorossa da tutta la vita, o quasi. Il sette volte presidente del Consiglio ha iniziato a tifare quando aveva otto anni. Nessun innamoramento tardivo, piuttosto una questione anagrafica: nato nel 1919, quando viene fondata la società romanista Andreotti è già un bambino.
La storia del Divo Giulio si intreccia inestricabilmente a quella della Città Eterna. La madre romana, il padre originario della provincia. Gli anni dell’infanzia Andreotti li trascorre in via dei Prefetti, rione Campo Marzio, a casa della zia. Un’anziana signora del 1854, che da ragazza aveva vissuto nello Stato Pontificio. «Mi portava a passeggio tutti i giorni – il ricordo del politico in una recente intervista al Riformista – e mi diceva che molta gente, fino al 1870, non pagava le tasse perché non voleva dare i soldi al Papa. E dopo il 1870 continuava a non pagarle, perché non voleva dare i soldi chi teneva prigioniero il Papa. I problemi della città sono più o meno sempre gli stessi».
Il ginnasio Visconti al Collegio Romano. Quasi un segno del destino, a due passi da Montecitorio. Poi il liceo Tasso vicino Piazza Fiume. Di quel periodo Andreotti ha spesso raccontato i pomeriggi allo stadio. All’epoca si giocava al Testaccio. Le prime partite di una Roma a cui penserà spesso, con nostalgia. «Di soldi a quei tempi ce n’erano pochi, ma le due lire per il posto dietro la porta le trovavo sempre. Si stava attaccati al campo, si viveva la partita come un sogno. Erano momenti di gioia intensa, i giocatori già allora erano idoli».
La Roma testaccina di Andreotti? «C’era sempre calore e cattiveria – ha ricordato il senatore qualche anno fa al Gr Parlamento, un inedito profilo da curvarolo – Eravamo anche scontrosi. La squadra era tutto». Dell’amore di Andreotti per la Roma si è a lungo favoleggiato. Nel 1983 i giallorossi vincono il secondo scudetto della loro storia. In quello stesso anno il presidente Dino Viola diventa senatore per la Democrazia Cristiana. La stagione successiva Andreotti scende in campo per scongiurare la vendita all’Inter del campione brasiliano Paulo Roberto Falcao. Il Divo Giulio si è sempre giustificato, ammettendo di essersi limitato a un breve telefonata alla madre del calciatore. Convinta, lei fervente cattolica, con qualche velata allusione al Papa e al desiderio del Pontefice di conoscere il giovane asso. Anche se a Milano si è spesso parlato di un suo intervento molto più diretto per far saltare la trattativa.
Dalla passione per la Roma passa anche l’amicizia con l’imprenditore Giuseppe Ciarrapico, che della società di Trigoria è stato presidente all’inizio degli Anni Novanta. E proprio il calcio resta uno dei pochi argomenti trattati da Andreotti con poca diplomazia. Nel 2006, dopo Calciopoli, il tribunale sportivo condanna la Juventus alla retrocessione in B. «Era meglio in serie C», il commento ironico del senatore. Pallone e cavalli. Quando non andava a vedere le partite della Roma, Andreotti era solito seguire l’ippica. Altra passione tutta romana: spesso presente alle Capannelle e a Tordivalle. Amava seguire le gare e scommettere. «Vinco sempre, sono fortunato» ammise un giorno senza troppa scaramanzia.
Ma non c’è solo lo sport. La Roma di Andreotti è una lunga passeggiata nel centro storico. La casa a corso Vittorio Emanuele II, vicino a lungotevere, proprio di fronte al Vaticano. Il celebre ufficio di San Lorenzo in Lucina, dove per anni si è presentato tutte le mattine alle 6.30. Cornice di incontri riservati e snodi politici, quell’appartamento conserva una curiosa particolarità: è equidistante da Camera, Senato e Palazzo Chigi. Ultimamente Andreotti non ci andava più, preferendogli lo studio da senatore a vita a Palazzo Giustiniani, dietro il Pantheon. E la basilica di San Giovanni dei Fiorentini, sotto casa. All’inizio di via Giulia. La chiesa che il Divo Giulio ha frequentato tutte le mattine, per anni. E dove domani sarà celebrato il funerale.
Andreotti e la Città Eterna. Un particolare che non tutti sanno: il fratello Francesco, più grande di lui, è stato il comandante dei vigili urbani della Capitale. E poi quell’amicizia con Carlo Alberto Salustri, il poeta dialettale Trilussa. Per anni il politico raccontò delle loro cene al ristorante Falchetto, su via del Corso. Il rapporto con Alberto Sordi, altro simbolo della città. Il cameo nel film “Il tassinaro” ha un aneddoto curioso. È stato lo stesso Andreotti a raccontarlo al Corriere, qualche anno fa: «(Sordi, ndr) chiese una partecipazione anche a Fellini, che accettò a condizione che ci fossi anche io. Era sicuro del mio rifiuto. Invece io mi divertii molto. Fellini era un po’ seccato di come andarono le cose, perché a quel punto non si poteva più tirare indietro».