L’importanza della lotta all’evasione fiscale è fuori discussione. Nel Documento Economico Finanziario recentemente approvato dal Parlamento viene giustamente evidenziato il trend crescente del gettito annualmente recuperato dal 2006 in avanti. Questo significativo risultato è stato però accompagnato da una eccessiva concentrazione di poteri in capo alla filiera Agenzia delle Entrate – Equitalia, con quest’ultima che è sotto ogni punto di vista il braccio operativo della prima e dell’Inps, invece che del Ministero dell’Economia.
Oggi non si tratta certo di tornare indietro da un percorso che deve anzi proseguire sul fronte del costante aumento del recupero di gettito dall’evasione fiscale, ma è necessario coniugare l’efficacia dell’azione con una ripartizione di ruoli, poteri e competenze che eviti il verificarsi di asperità eccessive e controproducenti nel rapporto con i cittadini, facendo talvolta deragliare l’efficienza nella ferocia.
Quando si parla genericamente di necessità di riformare Equitalia, è in realtà di questo che si sta parlando: necessità di ricalibrare la macchina fiscale nel senso di una maggiore democraticità dei processi, rimettendo al centro del rapporto tra fisco e contribuente il Governo e il Parlamento.
Tre sono a nostro avviso le azioni da intraprendere. Uno: cessare il sistematico ricorso alla decretazione d’urgenza per l’adozione di provvedimenti fiscali, a cominciare proprio da quelli che hanno per oggetto l’introduzione di nuovi poteri di accertamento e riscossione, essendo più che mai necessaria una adeguata istruttoria delle norme da parte delle competenti commissioni parlamentari che mal si concilia con i tempi di conversione in legge dei decreti. Due: ricondurre Equitalia al Ministero dell’Economia, quale sua diretta partecipata, in luogo della sua attuale posizione subordinata rispetto a Agenzia Entrate e Inps. Tre: dare vita a una magistratura tributaria professionale, con formazione specialistica e indipendente, anche dal punto di vista organizzativo, dal Ministero dell’Economia.
Solo attribuendo a ciascuna parte del telaio della macchina fiscale la sua giusta funzione, si potrà ottenere di creare i presupposti di un rapporto tra fisco e contribuente efficiente senza essere feroce, innestando poi il motore di una riforma quantitativa e qualitativa del prelievo fiscale.
Per una lotta all’evasione efficiente senza essere feroce e realmente al servizio dell’equità dei cittadini, ancora di più serve che il suo intero gettito venga destinato alla riduzione delle imposte pagate dai cittadini onesti e non invece a copertura di impegni di spesa assunti contestualmente all’adozione di nuove norme anti-evasione.
Il Governo Monti è stato il primo a spezzare il circolo vizioso di norme anti-evasione inserite con relative stime di gettito – stime invero sempre aleatorie – poste a copertura di impegni di spesa assunti nell’ambito dei medesimi decreti che le introducevano.
Tutti i Governi precedenti avevano sempre usato questa tecnica, generando così due gravi distorsioni. La prima: non è mai stato possibile restituire ai cittadini le maggiori entrate derivanti dalla lotta all’evasione per il semplice fatto che i Governi se le spendevano in bilancio prima ancora di incassarle. La seconda: nell’istante in cui quelle maggiori entrate venivano già scritte in bilancio, in un modo o nell’altro bisognava cercare di reperirle, trasformando così nei fatti il compito dell’amministrazione finanziaria da quello di chi deve cercare gli evasori, a quello di chi deve trovare gli evasori; e, se gli evasori non li devi cercare, ma trovare, tendi a trovarli anche quando in realtà ti imbatti in contribuenti onesti.
Molta parte dell’imbarbarimento del rapporto tra fisco e contribuente nasce da questo modo errato di concepire la lotta all’evasione, a sua volta frutto del modo errato di impostarla. Solo riportando la lotta all’evasione a una battaglia di equità per i cittadini, invece che a una guerra di gettito per le casse dello Stato, si potrà debellare questa piaga che danneggia l’intera economia del Paese.
E solo dimostrando una pari attenzione e tensione nella lotta agli sprechi, alle inefficienze e alla corruzione nel settore pubblico si potrà elevare la lotta all’evasione fiscale del settore privato da mera questione economica a vera e propria questione morale. Oggi questa simmetria non si vede affatto. Basti pensare alla grande differenza che intercorre tra i molteplici obblighi di cui sono gravate le partite Iva italiane in termini di dichiarazioni e comunicazioni all’anagrafe tributaria, mentre sul versante delle uscite lo Stato non è nemmeno in grado di conoscere a quanto ammontano complessivamente i debiti scaduti delle pubbliche amministrazioni e quasi mai risultano previste sanzioni personali per quei dirigenti pubblici che omettono di adempiere agli obblighi informativi.
Ancora, basti pensare agli accertamenti esecutivi anche in pendenza di giudizio che, nel nome della lotta all’evasione “senza se e senza ma” trasformano il cittadino in un presunto evasore, mentre nessuna esecutività in pendenza di giudizio sussiste per gli atti di contestazione di danno erariale che la Corte dei Conti eleva nei confronti di politici, amministratori e dirigenti pubblici infedeli.
Due pesi e due misure inaccettabili, perché lotta all’evasione fiscale del settore privato e lotta agli sprechi e alla corruzione del settore pubblico sono due facce della stessa medaglia che vanno affrontate con armi simili o comunque non così palesemente sperequate a danno del cittadino suddito e a vantaggio del politico o burocrate sovrano.
Questo approccio nella gestione del lato entrate e del lato uscite del bilancio dello Stato sarà decisivo per mantenere il necessario rigore e incrementare al tempo stesso la percezione dell’equità ad esso connessa, consentendo così al Governo di seminare le riforme strutturali necessarie per la crescita su un terreno più solido e condiviso.
*deputato della Repubblica con Scelta Civica