Caro Letta, non ci sfugge che ogni governo politico che nasce ha l’esigenza di utilizzare l’infornata di sottosegretari per sistemare gli equilibri interni tra correnti e dare massima rappresentanza di poltrone ai propri esponenti. E’ sempre stato così e non ci stupiamo. Il punto però è di merito: la vecchia Dc usava alla grande questi metodi ma piazzava per lo più gente ingombrante in posizioni laterali, dove il danno tendenzialmente si riduceva al minimo. Nel caso del governo Letta invece una posizione chiave come il sottosegretariato alla Presidenza del Consiglio con la delega alla Pubblica amministrazione è stata affidata ad un politico molto discusso come il leader di Grande Sud Gianfranco Miccichè. Discusso non solo e non tanto per il suo passato giudiziario – una vicenda poco chiara di droga quando era al Tesoro, nel precedente governo Berlusconi-, ma perchè in tutti questi anni ha dato prova di essere un politico pronto a cambiare casacca continuamente, prima con Berlusconi, poi ferocemente contro (o solo in apparenza?), poi frondista e poi di nuovo tra le braccia di papà Silvio, quando le cose vanno male. Basti dire che all’ultimo voto siciliano per l’ex mister 61 a 0, le cose sono state un bagno di sangue. Insomma un signore più attento alla sua poltrona che alle riforme. Con quale credibilità, al netto del pressing di Berlusconi, può essere l’uomo a cui il governo affida la delicata casella della riforma e dell’efficientamento della macchina pubblica, ossia il comparto più barocco e arretrato del paese? Misteri delle larghe intese. E di una politica dallo sguardo corto…
3 Maggio 2013