“Con le riforme il Sud Europa sta uscendo dalla crisi”

Intervista allo storico inglese Harold James

MONACO DI BAVIERA – Harold James è uno storico inglese formatosi a Cambridge, attualmente professore a Princeton, considerato tra i maggiori esperti mondiali di storia economica europea e tedesca in particolare. Nelle sue ricerche ha affrontato spesso il tema delle relazioni tra recessione economica e nazionalismo. In una recente uscita pubblica ha dichiarato che Mario Monti è un «successore dei patrioti italiani e tedeschi del diciannovesimo secolo», i quali «sostenevano la necessità economica dell’unità nazionale». Adesso, dice, «l’unità europea è necessaria per ragioni economiche». James ha paragonato l’Europa a un matrimonio, che unisce gli sposi anche se l’unione non li rende più ricchi o più felici – il problema è che, in mancanza di una visione politica, i cittadini stanno pensando al divorzio. 

L’euro era nato come progetto per unire i popoli, invece sembra che alla fine stia provocando forti contrasti tra i Paesi europei. L’Europa sta tornando alla sua storia tipica di contrasti e conflitti. Forse gli ultimi sessant’anni sono stati un’eccezione?
Non credo che lo stato naturale dei Paesi europei sia quello di contrasto, ma concordo con il fatto che uno degli elementi della crisi sia questo enorme antagonismo tra Nord e Sud del continente. Il Nord pensa che il Sud abbia accumulato ricchezza eccessiva per le proprie capacità – si veda il recente studio della Bce. Da parte sua, il Sud pensa invece che il cittadino del Nord lavori meglio esportando prodotti verso il Sud.

Sembra però che da parte tedesca ci sia anche un forte elemento culturale che spingerebbe per una forma di “eccezionalismo tedesco”, il quale impedirebbe solidarietà continentale. Alcuni ritengono sia quasi un elemento d’ispirazione protestante o calvinista: il successo economico come indice della grazia divina, con un’Europa divisa tra virtuosi e condannati.
Se i tedeschi la vedono in questi termini, saranno terribilmente delusi, perché il relativo successo della Germania di oggi dipende da una situazione peculiare dell’economia globale. I Paesi emergenti hanno necessità di prodotti di alta ingegneria e macchinari per industrializzarsi, per questo le esportazioni tedesche sono aumantate. Stiamo già vedendo segnali di debolezza in Germania ora che la crescita rapida dei mercati emergenti si sta un po’ raffreddando. Non ha molto a che fare con una qualche virtù particolare dei tedeschi, ma con eventi estemporanei.

Ma pensa che in Sud Europa ci sia una resistenza al cambiamento tale da rendere impossibile salvare l’euro?
Non penso che il Sud Europa sia incapace di riformare. Abbiamo già visto prime riforme nel mercato del lavoro nel Sud, e la competitività ha anche iniziato a migliorare. Il vero problema da questo punto di vista è la Francia con la sua resistenza alle riforme.

Sembra però che anche nel Sud del continente ci siano problemi di resistenza politica per l’introduzione delle riforme – soprattutto in Italia.
La questione più esplosiva che ha riguardato Monti non è stata tanto l’aumento delle tasse, ma l’introduzione di nuove imposte sulla proprietà immobiliare. Molti italiani non si fidano delle banche come i tedeschi, così storicamente si affidano all’immobiliare – ma contemporaneamente non hanno grandi flussi di reddito. Combinare l’aumento delle tasse in generale con le imposte immobiliari è stato problematico per gli italiani. L’immobiliare è come una forma di assicurazione sociale per gli italiani. Da qui la resistenza.

E per quanto riguarda gli altri Paesi in difficoltà?
Per la Spagna è difficile pensare che nuovi progetti infrastrutturali possano cambiare la situazione. Stanno scontando anni di cattiva allocazione di risorse durante il boom. Per l’Italia invece investimenti infrastrutturali avrebbero molto più senso.

Non pensa che però l’austerity possa stimolare nazionalismi, portando alla diffusione di movimenti come “Alba Dorata” in Grecia?
I greci hanno ragione a essere delusi dai due partiti politici tradizionali. Il Pasok ha fatto molte cose che sono state esattamente l’opposto di ciò che era necessario. Entrambi i partiti hanno gravi responsabilità per la crisi greca. Come risultato, per i greci è diventato attraente votare per qualcun altro, che siano di destra o sinistra. Hanno straordinariamente poco da offrire come risposte: fanno campagne contro la corruzione e le elite, ma non spiegano come uscire dalla crisi.

Pensa che l’“idea europea” oggi sarebbe stata migliore senza l’euro?
Ritengo che l’euro incarni una serie di problemi che erano già presenti. Tutto il carattere della discussione europea è cambiato radicalmente dai tempi di De Gasperi, Schumann, Adenauer. Recentemente c’è meno di quella visione, e si parla di più di come l’Europa possa servire fini economici particolari, come maggiore crescita o investimenti. Bisognerebbe tornare allo spirito degli anni Cinquanta, quando la politica era fatta da veri europei.

Quindi servirebbe più Europa, e non meno Europa.
Servirebbe un’Europa diversa, meno concentrata su come possa produrre risultati immediati come ricchezza, e di più su quanto abbiamo in comune come valori e su cosa tenga unita la civiltà europea. 

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