E’ stato Denis Verdini, l’uomo delle operazioni sotto copertura, a portare Franco Coppi, il migliore avvocato d’Italia, alla corte di Arcore. E ci voleva proprio il regista degli equilibrismi più spericolati per agganciare il grande cassazionista. Perché Coppi nel collegio difensivo del Cavaliere è una furbata d’immagine e di sostanza, è una trovata geniale, ha l’eleganza dell’abito di sartoria, ha la stessa funzione del doppiopetto di Giorgio Almirante, vi ricordate? Doppiopetto e manganello, l’uno per occultare l’altro. E dunque Coppi per occultare Ghedini.
Tra loro parlano pochissimo e si conoscono ancora meno, non potrebbero essere più diversi i due avvocati, il polo nord e il polo sud della difesa di Silvio Berlusconi. L’uno è l’avvocato che incute rispetto persino nei giudici, il professore conosciuto all’estero, il difensore vincente di Giulio Andreotti; l’altro è il più giovane e aggressivo avvocato veneto che dal 2001 difende il Cavaliere, l’artefice di un’efficace strategia della dilazione, l’uomo che ha centrato con successo salvifiche prescrizioni per il suo assistito e che divenuto da tempo parlamentare, onorevole e avvocato, è il depositario dei segreti, forse il più intimo e solidale dei cortigiani di Arcore. Pensate a quanti avvocati Berlusconi ha portato in Parlamento e a quante astutissime leggi hanno inventato: il lodo Alfano, la Cirami, la Cirielli… Non c’è aspetto del conflitto di interessi, della pazzotica vita politica del Cavaliere fantasioso e inguaiato, che non porti il segno di un parlamentare avvocato: Dotti e Previti, e poi Pecorella, Taormina, Contestabile, e ancora Schifani, Alfano, Pietro Longo, Donato Bruno, Jole Santelli, Francesco Paolo Sisto, Raffaele Costa, Paniz, e tutti gli altri che hanno lavorato nelle istituzioni e al ministero della Giustizia. Al punto che l’avvocato in Parlamento è per gli italiani il simbolo irrisolto di un’epoca. E il nome di Ghedini è una memoria cumulativa, mentre quello di Coppi è una storia diversa e lontana. Sarà dunque più difficile per Coppi difendere Berlusconi, o per Berlusconi essere difeso da Coppi? E deve essere proprio vero che, alla fine, avvocato e assistito, come capita nei lunghi matrimoni o tra cane e padrone, finiscono per rassomigliarsi, nel tratto e nel volto. Non si sa mai dove finisca l’uno e cominci l’altro. Ma chi è il vero regista della strategia difensiva, durissima, del Cavaliere? Chi è il teorico del muro contro muro con i magistrati, chi davvero organizza le manifestazioni di fronte ai tribunali o consiglia i deputati e i senatori della commissione giustizia? Dove inizia Berlusconi e finisce Ghedini? Dove l’imputato dove l’avvocato, dove il parlamentare e dove il presidente del partito?
«Silvio avrebbe dovuto assumere Coppi già dieci anni fa», dicono alcuni amici del Cavaliere, malgrado sappiano benissimo che in realtà Berlusconi se l’è scelto con il lanternino il suo Ghedini, e lo ha trasformato, plasmato, arricchito, fino a diventare una cosa sola con il suo difensore. E mai vi rinuncerebbe. Dicono che Ghedini non abbia gli strumenti tecnici per eguagliare Coppi, ma dicono pure che Coppi non avrebbe il fisico e le energie per fare quello che fa Ghedini. Ruoli distinti. Mai Coppi accetterebbe di fare il deputato, se contemporaneamente è pure avvocato del suo leader politico, e mai invece Ghedini abbandonerebbe la doppia strategia, politica e giudiziaria, che gli ha garantito tanta fortuna nella difesa del Cavaliere dentro e fuori le aule di tribunale. Coppi è il re della Cassazione, laddove la strategia tosta di Ghedini ha trascinato, con efficacia, i processi Mediaset e Mediatrade arrivati ormai a conclusione. Ed è lì, nel terzo grado di giudizio, tra le carte e i codicilli, che giocherà Coppi, nella corte dove non serve più il fisico di Ghedini, perché di fronte a quei giudici supremi non ci vuole il piglio del kamikaze ma sono necessari il rigore, l’equilibrio e la tecnica. In Cassazione non c’è pubblico, non c’è platea e non c’è imputato, nessun legittimo impedimento da invocare, niente sospiri o braccia che si sollevano, non c’è carne e non c’è faccia, nessun dibattimento, niente sguardi e niente provocazioni. Difficile immaginarsi Perry Mason in Cassazione, lì l’avvocato non crea universi, ma cerca errori e inconcludenze, avanza nei meandri delle norme alla ricerca d’oscuri dettagli che celino il fallimento del diritto: tutte quelle cose che tecnicamente si chiamano vizio di forma. «Vedete, a saper bene maneggiare le grida nessuno è reo e nessuno è innocente», diceva Manzoni. E dunque è chiaro che aver assunto Coppi non significa voler cambiare strategia, e non ha niente a che vedere con il carattere di Berlusconi, con la pacificazione nazionale, con la politica, con il Quirinale, con l’Italia disperata o con il governo di Enrico Letta e la grande coalizione. Il Cavaliere ha chiamato Franco Coppi perché è semplicemente il migliore, perché gli serviva un esperto di “diritto” e non di “storto”, perché solo la sopraffina tecnica del professor Coppi è la prosecuzione con altri mezzi del lavoro dell’avvocato Ghedini. Sotto il doppio petto, il manganello.