Da Berlino a Madrid, l’Europa disunita del lavoro

Tra austerity e integrazione

È un’Europa bipolare quella del mercato del lavoro: la Spagna fa segnare il limite storico di disoccupazione a oltre sei milioni, mentre il quotidiano più autorevole della Germania, il Frankfurter Allgemeine Zeitung, pubblica un reportage sulla “piena occupazione” nel mercato tedesco. La Germania si sta avvicinando a un livello di disoccupazione così basso da essere ritenuto fisiologico e inestinguibile per l’economia – si tratterebbe, secondo Keynes, di un 5% di gente che sta cambiando lavoro, che si è presa una pausa, o che semplicemente non vuole lavorare. I tedeschi senza lavoro sono attualmente al 7,10%, in decrescita con l’arrivo delle (agognate) temperature primaverili, che l’anno scorso avevano spinto la quota al 6,50% da settembre a novembre.

In Spagna si trema: le 6.202.700 persone disoccupate hanno confermato tutte le peggiori previsioni economiche. Il tasso di disoccupazione in Spagna, nel 2013, avrebbe superato il 27%, dicevano. E così è stato. Tra gennaio e marzo si sono neutralizzati 322.300 posti di lavoro; in un anno, ne sono scomparsi 798.500. Il ritmo annuale di distruzione dell’occupazione è del 4,5%, colpisce tutte le fasce di età, ma in particolare i giovani tra i 25 e 29 anni, una categoria in cui, in tre mesi, 69.000 persone hanno dovuto lasciare il lavoro. Se si considerano i minori di 25 anni, nemmeno uno su due ha un’occupazione. Il governo conservatore spagnolo ha ammesso pubblicamente dopo l’ultimo consiglio di non sapere che fare, disorientando ulteriormente la popolazione. La stampa dell’opposizione, individua due cause principali per il disastro occupazionale: il diktat dell’austerity tanto caro a Berlino, e i problemi insiti in una riforma del lavoro, la quale avrebbe creato le premesse per licenziare, ma non per assumere.

Non è sorprendente: se si aumentano le tasse e si abbatte la spesa pubblica, l’unico risultato possibile di una “flessibilizzazione” del mercato del lavoro è il licenziamento di massa. «Affidarsi unicamente all’adozione di politiche di consolidamento fiscale ha i suoi limiti», scriveva il quotidiano di centro sinistra El País, in un editoriale pubblicato all’indomani della pubblicazione dei dati sul lavoro. “Austericidio”, lo ha definito l’opinionista Enrique Gil Calvo in un testo in cui attribuiva l’aumento della disoccupazione direttamente alla riforma del lavoro.

In ambito accademico gli esperti sono più cauti: ritengono che la realtà sia più complessa. Per rilanciare l’economia bisogna produrre un cambio psicologico nelle persone, creare aspettative, rivitalizzare la domanda e tagliare i costi, salvando però dalla mannaia i settori che producono crescita. Questa è la posizione espressa a Linkiesta da Florentino Felgueroso, esperto di questioni del lavoro della Fondazione di Studi di Economia Applicata (Fedea, www.fedea.es) e professore di Economia dell’Università di Oviedo. «La specificità spagnola consiste nel fatto che per più di dieci anni abbiamo creato occupazioni che sarebbero durate poco. Lavori precari, che si creavano facilmente ma destinati a durare poco. Siamo stati ciechi», spiega, citando ad esempio l’intero settore delle costruzioni. «A partire dalla distruzione del lavoro, inizia la spirale della crisi: mancano i salari, si abbassano i consumi delle famiglie e di conseguenza ne risente il commercio. Uno gira per la strada e vede i negozi chiusi».

Felgueroso crede che la riforma del mercato del lavoro sia stata necessaria anche se avrebbe potuto essere migliore. «Era necessario attaccare la precarietà con l’introduzione di un contratto unico, che riducesse le differenze tra fissi e precari», ma non è avvenuto. Eppure, a livello scientifico, non crede che la legge introdotta dal governo di Mariano Rajoy per facilitare i licenziamenti sia la causa dell’aumento della disoccupazione, che è un fenomeno iniziato molto prima.

Per quanto riguarda l’austerità, invece, l’opinione degli economisti spagnoli è piuttosto unanime: «si è rivelata la strada sbagliata». Sembrerà strano, ma anche dalla Germania Felix si levano voci scettiche sull’opportunità dell’austerity per l’economia. Spiega il professor Herbert Brücker, direttore del progetto ricerca su “Comparazione internazionale e integrazione europea” dell’Istituto di Ricerca su Lavoro e Impiego (IAB, www.iab.de) di Norimberga, che «c’è da essere critici nei confronti dell’austerity. Ha garantito la stabilità finanziaria nel breve termine, ma per uno sviluppo di lungo periodo è necessario pensare alla crescita».

Il problema, secondo il prof. Brücker, è che anche sui romantici orizzonti tedeschi iniziano ad addensarsi nubi minacciose: «Alla situazione attuale, la Germania ha potuto approfittare in parte della crisi altrui, grazie anche alla fuga dei capitali dal Sud. I tedeschi si sono trovati in condizioni migliori per uscire dalla crisi: in Spagna è scoppiata una bolla immobiliare enorme, mentre in Germania il problema era stato relativo alle esportazioni. Così, anche grazie alle riforme del governo Schröder del 2004, la Germania è potuta ripartire prima, mentre il sistema spagnolo deve affrontare problemi ben più gravi». Comunque, «nel lungo periodo i tedeschi non possono aspettarsi che la situazione perduri, a causa dei problemi dovuti al “contagio” possibile da parte del Sud verso la Germania». Brücker riconosce i limiti dovuti all’impossibilità di svalutare e rendere i mercati meridionali più appetibili per le esportazioni. Se le esportazioni dovessero migliorare, si aiuterebbe tutto il sistema economico dell’eurozona.

Rimane però un pesante interrogativo: modellare tutta l’Eurozona sul sistema tedesco “export-oriented” non è una panacea: non si dimentichi che le esportazioni dei Pigs sono già in forte crescita rispetto al 2009 (con la Grecia a +75%), e ciò non sembra aver aiutato granché l’economia. Il problema vero nel Sud è quello della domanda domestica: gli aumenti nell’imposizione fiscale e i tagli alla spesa l’hanno depressa. Speriamo che in Italia i propositi di congelare i pagamenti dell’Imu siano mantenuti. Soprattutto, in un periodo di consumi in picchiata, l’idea di qualche mese fa di aumentare l’Iva è parsa quantomeno paradossale – ma il nuovo governo non sembra aver fatto propria quest’idea.

Stefano Casertano e Laura Lucchini, corrispondenti di Linkiesta da Berlino, sono autori di “ Germania Copia e Incolla#2: il mercato del lavoro ” (goWare).