Dopo Notre Dame, sì ai diritti ma perchè le nozze gay?

Il gesto di Dominique Venner dentro la cattedrale

Con un gesto clamoroso ieri un intellettuale di destra francese si è sparato in chiesa a Notre Dame, Parigi. Per sua stessa ammissione si è trattato di una protesta estrema contro i matrimoni gay. L’episodio nella sua tragicità si presta ad una breve riflessione su temi automaticamente abusati e strumentalizzati.

Noi siamo liberali, lo diciamo subito; basterebbe scomodare la nostra storia per ricordare come già in età classica poco cambiava se una persona fosse bisex o gay o etero. Nessuno scandalo. Molti eroi, politici, filosofi o artisti greci lo erano e potevano persino permettersi pubblica ironia sui vizietti dei loro contemporanei (cosa che in epoca stupidamente politically correct come la nostra verrebbe tacciata di bieca omofobia).

E ancora. Il duro, eroico e cinico Giulio Cesare fu nel parlamento romano preso in giro per il suo innamoramento per un giovane centurione ma essendo a quell’epoca realmente liberi i costumi, nessun moralista pose questioni etiche. Il grande Adriano morì invece innamoratissimo del giovane Antinoo; Marguerite Yourcenar ci regala pagine immortali sul loro amore. Con l’arrivo del cristianesimo e in generale delle religioni monoteiste i costumi cambiarono. Per duemila anni subirono pesanti e innaturali limitazioni. Ma fatta questa premessa sarebbe altrettanto stupido negare che mai nella storia si era posto il problema di nozze tra lo stesso genere. In età classica dove uomini e donne si amavano liberamente tra di loro la cosa sarebbe stata giudicata semplicemente cretina.

La famiglia è un nucleo che si crea per procreare. Ci si può amare si può condividere per legittima scelta la vita con chi cavolo si vuole ma un figlio lo si ha tra generi diversi. Questo è il nodo di fondo: oggi è giusto e sacrosanto battersi per garantire i diritti alle coppie gay (il caso Lucio Dalla insegna), uno stato moderno non può esimersi da questo normale riconoscimento. Si facciano quindi registri, unioni civili, si usi qualsiasi meccanismo giuridico utile a tale scopo. Quel che non capiamo è perché lo si voglia per forza chiamare matrimonio gay? Ci sembra uno scimmiottamento? Una incoerenza, non soltanto lessicale. E a voi?

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