Situazioni straordinarie richiedono misure straordinarie. Con queste parole Jean-Claude Trichet, numero uno della Banca centrale europea (Bce) fino al novembre 2011, spiegò le varie azioni compiute dall’Eurotower per fronteggiare la crisi dell’eurozona. Ora come allora, è tempo di misure straordinarie. Nello specifico, l’introduzione del tasso d’interesse negativo sui depositi presso la Bce. Ne ha parlato Mario Draghi, ma ne ha parlato anche Ignazio Visco, governatore della Banca d’Italia, in una lunga intervista a CNBC. L’obiettivo è spezzare la dipendenza delle banche dell’area euro da Francoforte, in modo da alimentare le imprese e ridurre il credit crunch. Più facile a dirsi che a farsi.
L’ortodossia della Bce, istituzione che al suo interno conserva lo spirito teutonico delle origini, potrebbe essere rotta. Le imprese sono in difficoltà perché non ricevono prestiti per investimenti dalle banche? Le banche preferiscono depositare asset presso la Bce in attesa di tempi migliori e per mitigare il rischio di credito? Allora via libera al tasso negativo sui depositi. È questa l’idea che sta prendendo sempre più piede all’interno dell’Eurotower. Draghi si è detto disponibile a discutere su tutte le misure in grado di sostenere l’economia che rientrano nel mandato della Bce. Detto, fatto. Visco ha spiegato senza giri di parole che esiste un dibattito su questo tema. E le parole del numero uno di Banca d’Italia arrivano dopo quelle di Jörg Asmussen, membro tedesco del Comitato esecutivo della Bce, che ha chiamato alla calma i suoi colleghi, rimarcando che ogni azione deve essere giustificata dai dati macroeconomici. Niente colpi di testa, quindi.
Quello che manca, di certo, non è la liquidità. Stando agli ultimi dati elaborati oggi da Barclays, le fonti di liquidità sono ancora elevate, come si può notare dal grafico qui sotto. Meno rispetto a un anno fa, ma comunque tali da garantire, almeno in teoria, un buon livello di finanziamento per le banche della zona euro. Tramite i tre principali tipi di operazioni di mercato aperto – Fine-tuning operation (Fto) su base giornaliera, Main refinancing operation (Mro) su base settimanale, Longer-term refinancing operation (Ltro) su base mensile – la Bce ha finora garantito un adeguato ventaglio di finestre di liquidità per gli istituti bancari. Il problema è che finora queste risorse sono state utilizzate, specie nella periferia della zona euro, per altre esigenze, e non per il finanziamento delle piccole e medie imprese.
A cavallo di 2011 e 2012 la priorità era quella di fornire alle banche le armi per sostenere gli Stati nel rifinanziamento sul mercato obbligazionario. Con lo stress, crescente e troppo lentamente percepito dalla classe politica europea, di Italia e Spagna sui mercati secondari, la Bce ha dovuto lanciare due Ltro, una in dicembre e una in febbraio, al fine di garantire agli istituti di credito la liquidità necessaria per acquistare titoli di Stato nelle aste primarie dei singoli Stati. I circa 1.030 miliardi di euro, questo il valore totale delle Ltro, è finito quindi in pancia delle banche con uno scopo ben preciso, che non era quello di aiutare le imprese. Questione di priorità. Non è un caso che la situazione peggiore sia, nonostante la calma sul mercato obbligazionario, quella delle banche italiane.
A fine aprile la Bce aveva prestato circa 265 miliardi di euro agli attori del sistema bancario italiano. Di questi, circa 6 miliardi di euro rientrano fra le Mro, mentre 259 miliardi fanno parte dei vari Ltro. Contrariamente a quanto successo negli altri Paesi, Spagna compresa, i soggetti italiani non hanno rimborsato i prestiti triennali lanciati fra 2011 e 2012. Come ha riportato l’ultimo Financial stability report della Banca d’Italia, solo 3,5 miliardi di euro sono stati rimborsati al 24 aprile scorso. Troppo poco. Per sintetizzare, le banche italiane continuano a detenere una grande liquidità, che però non finisce alle imprese. Parte, come spiega un report di J.P. Morgan, viene utilizzata per le aste di titoli di Stato. Parte serve invece come cuscinetto per le criticità intraday. Un’altra parte invece è tenuta per avere un ampio spettro di asset esigibili presso la Bce come collaterale. Utile, come fa notare J.P. Morgan, nel caso di un futuro downgrade del rating sovrano.
Inoltre, ci sono altri due aspetti che non devono essere dimenticati. Da una parte c’è la cristallizzazione dei mercati obbligazionari provocata dal lancio da parte della Bce delle Outright monetary transaction (Omt), le operazioni di acquisto di bond governativi degli Stati sotto stress: illimitate, senza target specifici, sterilizzate pienamente e sottoposte a un memorandum of understanding. Insomma, un muro di gomma anche per gli investitori più aggressivi. Peccato che non esistano ancora se non sulla carta. Il lavoro compiuto dalle Omt sulle aspettative è stato eccellente, ma il suo effetto deve ancora essere testato.
Sull’altro versante c’è però la nuova (vecchia?) geografia economica dell’area euro. Le divisioni fra cuore e periferia sono sempre più marcate, in quanto non accenna a diminuire il fly-to-quality degli investitori da Italia e Spagna verso la Germania e gli altri Paesi forti. Il risultato sarebbe un’area monetaria composta da differenti aree economiche, sempre più indipendenti l’unica con l’altra. Uno scenario che poco si può conciliare con c’è che serve davvero all’area euro per uscire dalla crisi peggiore della sua esistenza.
Che senso avrebbe quindi un tasso d’interesse negativo sui depositi? Una volta che i canali di liquidità sono attivati, e si è verificato che possono funzionare, il compito della Bce è quello di monitorare che tutti gli operatori possano avere un pieno accesso. Nel caso questo manchi, l’Eurotower può intervenire per ripristinarlo. Ma può anche peggiorare la situazione, come si è visto.
Un eventuale tasso negativo sui depositi avrebbe due effetti. Uno diretto e uno indiretto. Il primo è facile da intuire. Venendo meno l’appoggio della Bce, le banche che più utilizzano questo strumento potrebbero iniziare a cercare soluzioni alternative. Tradotto: invece che prestare il denaro alle imprese, gli istituti bancari cercherebbero altri canali, più sicuri e meno dipendenti dal rischio di credito. Uno scenario simile a quello che si è verificato dopo il 14 dicembre 2011, quando furono azzerati i tassi sui depositi con un taglio di 25 punti base. E non è un caso che proprio in quella data furono annunciate le due Ltro, che avevano l’obiettivo implicito di sostenere (anche) le Pmi della zona euro. Obiettivo fallito.
C’è poi il secondo rischio. Introducendo un tasso negativo, la Bce potrebbe amplificare la frammentazione di fatto del settore bancario dell’eurozona. Da un lato le banche percepite come virtuose, quelle del cuore dell’area euro. Dall’altro quelle sotto pressione, cioè la periferia. Se le prime possono permettersi di fornire credito alle Pmi della loro area, le seconde potrebbero essere spinte ancora di più verso la restrizione del credito. Viene da sé che si creerebbero due aree economiche ancora più nette di quello che è già ora.
Il timore, come sottolineato anche da HSBC, è che i danni collaterali possano essere maggiori dei benefici presunti. «L’introduzione di tassi negativi sui depositi causerebbe una sensibile riduzione dell’attività di finanziamento nella zona euro, dati i rischi attuali e la futura introduzione degli standard di Basilea III», notano gli analisti della banca anglo-asiatica. Uno contesto che si è già verificato un anno fa, proprio prima del celebre discorso alla Global Investment Conference di Londra, 26 luglio scorso. Erano i giorni del «whatever it takes», la frase che ha cambiato la storia della crisi della zona euro. Era il preludio al rally sul mercato obbligazionario che ancora oggi persiste grazie alle Omt. Ma era anche il preambolo dell’aggravamento del credit crunch all’interno dell’eurozona. Un fenomeno che, nel caso di tassi negativi sui depositi della Bce, potrebbe peggiorare ancora.