E al Lingotto Veltroni lascia il testimone a Renzi

Il sindaco di Firenze archivia la rottamazione e profetizza: "i grillini si spaccheranno"

Si consuma nella fatal Torino il passaggio del testimone fra l’inventore del Pd a vocazione maggioritaria, e quel giovanotto di Firenze, ad oggi ancora sindaco della capoluogo toscano, che presto potrebbe diventare il nuovo leader del centrosinistra. Walter Veltroni e Matteo Renzi, teorico a sua volta del concetto di “rottamazione” in politica, occupano la scena al Salone del libro, in quel Lingotto dove proprio Veltroni nel 2007 lanciò l’idea di un partito oltre le ideologie, che per la seconda volta nella storia della sinistra italiana riuscì ad ottenere il 34%.

“Matteo” ha presentato il suo ultimo libro poco prima di pranzo, “Walter” poco dopo. Si saranno incrociati? Non è dato saperlo «perché poi Renzi è andato a registrare con Lucia Annunziata In Mezz’ora», spiegano. Di certo non è casuale che entrambi siano stati calendarizzati lo stesso giorno, e, sopratutto, che escano contemporaneamente con due libri sulla sinistra italiana, e sullo stato del Pd, in particolare.

Ad un’ora dall’inizio di Renzi, all’ingresso della Sala Auditorium c’è già una fila lunghissima. Sono tutti in attesa del «piacione fiorentino», lo chiama così una signora che discetta sull’ultimo libro di Massimo Gramellini. In fila si scorgono giovanissimi, anche liceali, che smaniano di vedere se il loro beniamino rimane intenzionato a rivoltare la «ditta» che fu di Bersani come un calzino. «Bersani ha fatto una campagna elettorale pessima», sbotta uno studente di architettura del Politecnico di Torino. Si chiama Michele, è accompagnato da altri due compagni di università, e ritiene che «Renzi possa dare la spinta propulsiva al Pd, se non lo bruceranno prima». Pochi metri più in là c’è un altro ragazzino, potrà avere 16 anni: «Mi chiamo Claudio, sono di Torino, ho 16 anni, e sono appassionato di politica. Il mio leader è Renzi perché parla un linguaggio vicino a quello dei ragazzi». Poco dopo si aprono le porte dell’auditorium e in pochi istanti l’enorme sala del Lingotto si riempie di fan e curiosi.

Nelle prime fila ci sono il sindaco di Torino, Piero Fassino, Gianni Vernetti, recentemente tornato nel Pd e Oscar Farinetti, mister Eataly. Il titolo del libro di Renzi è suggestivo, “Oltre la rottamazione”, e archivia quella che è stata la road map dell’agenda di “Matteo”. Ovviamente se «avessimo utilizzato un’altra espressione, probabilmente non avremmo avuto la visibilità ottenuta con “rottamazione”, ma è anche vero che in una comunità come quella italiana, dove il 70 per cento della popolazione è over 40, forse l’impatto è stato eccessivo. Ho impaurito. Dunque ho sbagliato».

Fa dunque mea culpa il giovane “Matteo” su quella che è stata la stagione della “rottamazione” del primo e del secondo “big bang” della Leopolda. Perché «mi piacerebbe dare delle espressioni che danno il senso di condivisione», come ad esempio “la gentilezza”: «Noi abbiamo bisogno di un meccanismo in cui agli italiani venga restituito un bipolarismo gentile». Un “bipolarismo” che non guardi soltanto all’avversario, e quindi «alla vita di Berlusconi». Ma che al massimo denunci «cosa non ha fatto Berlusconi». E poi, continua Renzi con un linguaggio molto simile al Veltroni del 2007, «non bisogna avere paura di prendere i voti degli elettori del centrodestra, altrimenti va a finire che poi si prendono i ministri di centrodestra». Il Pd e il centrosinistra alla quale pensa il sindaco di Firenze è insomma un Pd “aperto” che non respinga «gli elettori ai gazebo, come è stato fatto in occasione del ballottaggio delle primarie». E nonostante lui, “Matteo”, oggi faccia «il tifo per il mio Paese, e per il governo di Enrico, anche se è un pisano», è indubbio che dietro la pubblicazione di questo libro “Oltre la rottamazione” ci sia l’obiettivo di preparare la scalata a Palazzo Chigi, o, per iniziare, del centrosinistra. Anche se alla segreteria del Pd non ci pensa, semmai guarda con interesse e «ammirazione» al torinese Sergio Chiamparino. Quanto alla leadership, qui il discorso si fa in prima persona. «Il leaderismo è sbagliato ma senza leadership – parola di Renzi – non si vincerà mai». Chiaro, dinamico, e applauditissimo. Con i fan che lo cercano per una foto e una dedica sul libro.

Poco dopo, mentre Renzi va a registrare con Lucia Annunziata, la scena del Salone del Libro viene occupata da Veltroni. “Walter” sembra emozionato, osserva la platea, probabilmente gli fa strano trovarsi nello stesso luogo dove concepì il discorso che lanciò il Pd. «Nel 2007 abbiamo scelto questo luogo perché è un luogo simbolico, una città di operai ma anche una città moderna, bene amministrata, sì in prima fila c’era Sergio Chiamparino, e qui cercammo di immaginare un partito inedito», spiega. Un partito «oltre le ideologie», e quello «fu il compimento del sogno della mia vita». Perché il «Pd nasce non per fare un governo, ma per cambiare il Paese». E oggi se l’ex sindaco di Roma dovesse guardare a qualcuno per la leadership del centrosinistra di certo penserebbe proprio a Matteo Renzi: «È la persona più carica di innovazione», ammette Veltroni. Anche se l’innovazione non basta. Ci vogliono altri due ingredienti per non svilire «la sua creatura». Innovazione condita dell’ormai famoso “ma anche” che includa «la profondità e la capacità di tenere insieme la sinistra». Insomma un Lingotto simbolico, oggi, in cui il politico che tentò di dare una vocazione maggioritaria al partito democratico investe colui che appare essere il suo vero figlioccio politico. Nonostante tutto. Nonostante la rottamazione. Che oggi non c’è più. Parola di Matteo Renzi.

Twitter: @GiuseppeFalci