Soddisfare il palato con un clic. Vendere i nostri prodotti tipici su Internet, per portarli nelle case degli altri Paesi con la garanzia della qualità made in Italy. In apparenza un’idea naturale, ai tempi del web 2.0. Ma difficile da realizzare, e con guadagni meno certi di quel che si può credere. A meno di non pensare in grande e rimodellare il gioco del cibo su internet secondo i propri schemi. Come si propone di fare Eataly.net, l’ultima evoluzione del marchio fondato da Oscar Farinetti. Una rivendita online proiettata su mezzo mondo, che segue le orme della catena di negozi e ristoranti nati nel 2007 a Torino.
Visto dall’estero, l’italian food ha scalzato la cucina francese con il fascino della salute e del benessere. «Ciò che ha attirato interesse negli ultimi 20 anni è il cibo genuino: l’alta qualità unita alla naturalezza, antidoto all’allarme suscitato periodicamente da scandali alimentari» spiega Emanuela Scarpellini, professoressa di Storia di contemporanea della Università di Milano, autrice di A tavola! Gli italiani in sette pranzi (Laterza 2012) e La spesa è uguale per tutti (Marsilio 2007). D’altronde, l’Italia dà il meglio quando produce beni per la persona: era così per l’abbigliamento e il design, ora tocca al cibo. La dimostrazione? «Il successo di Eataly in Giappone, dove da sempre sono molto attenti alla filiera e alla manipolazione alimentare».
Cosa frena allora il settore alimentare online? La prospettiva internazionale dell’e-commerce, in generale, è molto più promettente di quella domestica. In Italia, con 21,2 miliardi (dati Casaleggio Associati – sì, proprio quel Casaleggio…), gli scambi commerciali online rappresentano poco più di un centesimo del totale delle vendite. Ma crescono (anche se il +10% del 2012 è una frenata rispetto al +32% dell’anno prima, e al +43% del 2010). Nell’e-commerce, la quota del settore alimentare è a sua volta bassissima (1,2 per cento). Ma le botteghe di qualità – un quadro frammentato, con tante realtà piccole, nate per scommessa o per vendere un po’ di più – sono su Internet perché, nonostante le dimensioni ridotte, questo negli ultimi tempi si è rivelato un mercato in espansione, a differenza della vendita al dettaglio. Tuttora, però, combattono con una serie di problemi che ne minano il potenziale.
Il primo si chiama logistica. La spedizione dei prodotti è tutt’altro che facile, ed è per questo che i grandi dell’e-commerce non si sono granché sviluppati nel settore alimentare. «Difficile trovare un corriere affidabile in Italia, a meno di non doversi rivolgere ai più costosi», afferma Marco Gravina, collaboratore di Cassandra.it, ora uno dei siti più grandi, con un assortimento di 2.200 prodotti. È la stessa tipologia delle merci a essere problematica: si tratta in buona parte di beni deperibili, difficili da maneggiare e conservare, e con caratteristiche diverse tra loro. Il secondo scoglio è il pagamento con carta di credito, che in Italia si sta diffondendo con ritardo rispetto ad altri Paesi. Il terzo è il marketing, trattato con poca consapevolezza (del resto, neanche le grandi marche spingono per pubblicizzare la vendita sul web). «Apparenza grafica e usabilità dei siti, in molti casi, lasciano a desiderare», sostiene sempre Gravina.
Si tratta male il possibile cliente, lasciato a parecchi clic di distanza da ciò che potrebbe interessargli di più. E le informazioni sugli articoli spesso sono compilate con un linguaggio tecnico piuttosto respingente. Infine, per chi vende ma non produce direttamente, c’è il nodo della disponibilità dei beni, ovvero del rapporto con i produttori. «Le aziende spesso tendono a preservare la loro nicchia. Non si fidano di chiunque: per trattare con loro, molte volte ci sono in mezzo dei rappresentanti. Magari rifiutano un nuovo canale di vendita perché hanno già i loro». E poi non va dimenticato che l’Italia è un Paese particolare: «Da noi, è difficile che un prodotto funzioni dalle Alpi all’Etna. Ma sul web bisogna essere globali…», ricorda Vincenzo Pagano, direttore della rivista online Dissapore. Ma Eataly, va ricordato, è già un brand globale.
Aprendosi al mercato elettronico, Eataly punta ad aggirare tutte le storture descritte fin qui. Innanzitutto va osservata la tempistica: l’e-commerce italiano non è nato oggi, e Farinetti porta la sua attività online dopo anni di successi in casa e all’estero. Perché solo ora? A qualcuno è sembrato un ritardo. «Non lo è», chiarisce Pagano: «La scelta dei tempi è giusta. Oscar Farinetti, al di là del mito, resta un imprenditore che conosce bene la logica del mass market. Ai tempi del solo negozio di Torino un portale online sarebbe stato prematuro. Ora ha diversi flagship stores e una conoscenza acquisita del settore alimentare».
In più, ha incontrato i partner giusti al momento giusto. A cominciare da Franco Denari, classe 1979, manager con una lunga esperienza nella pubblicità web. Eataly.net è nato dopo che Denari è andato da Farinetti la scorsa estate per proporgli un affare: «Avevo in mente di vendere vino online», racconta. E invece è nato un progetto un po’ diverso, di cui Denari è amministratore e socio di minoranza, con il 10 per cento: il 60 per cento appartiene a Eataly, il restante 30 a 360Capital Partners, il fondo di venture capital già dietro i successi di Yoox (moda) e Mutuionline.
Investimento: 2,5 milioni di euro, con un team di una decina di persone. «Un budget ambizioso», ammette Denari. Si pensa in grande: «Non vorrei dare l’impressione dello sborone», scherza, «ma vorremmo guadagnare dieci volte tanto e di più. Anche l’obiettivo finale è ambizioso: arrivare a vendere tutto quello che si vede nei negozi, prendendo come target chi non può andare a visitarli». Ma i punti vendita e ristorazione di Eataly offrono a chi vi entra un percorso complesso, difficile da riprodurre in un sito. «La differenza è netta. La sfida più grossa è proprio ricostruire quell’esperienza dal di fuori, per consumatori molto consapevoli. La chiave è puntare con precisione su marchi di qualità. E spiegare ogni prodotto con un linguaggio molto semplice e con video di presentazione, da integrare con altri che mostrano quanto avviene in un negozio».
Nessun dettaglio va lasciato al caso per attirare e coccolare il cliente, dal layout con colori delicati all’acquisto one click. Siamo abituati ad avere tutto customizzato, ovvero adattato a quel che siamo: «In media, una persona chiude un ordine in un tempo rapido: le transazioni durano intorno ai tre minuti. Bisogna essere bravi nella presentazione e negli algoritmi per l’abbinamento dei prodotti, analizzando i dati giorno per giorno». E nella compilazione delle vetrine regionali, che mettono in evidenza il legame tra cibo e territori, punto forte del made in Italy. «Essere attaccati alla tradizione locale era negativo. Oggi invece è diventato elemento di prestigio e ricercatezza», fa notare la professoressa Scarpellini.
Si inizia dalle regioni italiane, ma il passo successivo della strategia online di Eataly è la conquista dell’America. Il prossimo negozio statunitense aprirà a Chicago in autunno, ma le operazioni web saranno messe a punto già a cavallo dell’estate. Tornando al di qua dell’Atlantico, sempre in autunno ci sarà un’inaugurazione a Istanbul (la Turchia è un’economia in forte crescita, e molte altre aziende online vi hanno già riscosso successo). Altra tappa, più orientale: Dubai. Per ogni apertura continentale si svilupperà la parte online. Questo perché Eataly si adatta sempre alle caratteristiche di mercato della zona in cui si insedia. E la logistica dovrà svilupparsi a partire da quella dei negozi fisici esistenti: per loro spedizioni, dogane, dazi sono problemi già risolti. Entro un anno, il sistema dovrebbe andare a pieno regime per Europa America e Giappone. Dai magazzini d’Italia partiranno confezioni per tutta l’Europa. Il piano globale si sviluppa sulle colonne locali, con l’online che segue in parallelo i flagship store.
«Dobbiamo conquistare l’ultimo miglio, la porta di casa», dice Cesare Maifredi di 360Capital Partners. Per ora, ogni settimana viene lanciata una nuova versione del sito (ancora in beta, la fase di test). E si continua a ragionare sulla logistica. Fino a quando non sembrerà per niente strano ciò che era, fino a poco fa, troppo complicato: che un consumatore del Texas si veda recapitare una bottiglia di Barolo o un formaggio fresco campano per posta.