Germania, processo ai neonazisti ma i media non entrano

Il dibattimento contro un membro del gruppo neonazista Nationalsozialistischer untergrund

L’idea è indubbiamente originale. Per uno dei processi più importanti degli ultimi anni in Germania (dopo un primo rinvio, ora in calendario per il 6 maggio) è stato deciso di estrarre a sorte i media che possono parteciparvi. Se poi, proprio in seguito a questa logica, restano fuori le testate più importanti poco importa. Almeno così sembra pensare l’Oberlandesgericht (il tribunale regionale) di Monaco di Baviera, che si attengono rigidamente alla normativa vigente. Anche se, proprio alla luce di queste esclusioni, viene pure da chiedersi se i giudici dell’Oberlandesgericht, pensino. Ma per comprendere l’assurdità della situazione nella quale il tribunale si è cacciato, c’è bisogno di un breve riassunto.

La vicenda è la seguente. Già tre settimane fa, si sarebbe dovuto aprire il processo contro Beate Zschäpe, 38 anni, membro del Nationalsozialistischer untergrund (Nsu), un’organizzazione neonazista, i cui componenti sono sospettati di aver ucciso in Germania, tra il 2000 e il 2006, nove persone: 8 turchi e un greco. Zschäpe è, da quel che si sa fino a oggi, l’unica sopravvissuta di questa organizzazione. Si era consegnata alla giustizia l’8 novembre del 2011, mentre i suoi due compagni si erano tolti la vita quattro giorni prima.

La scoperta di questo gruppo di estrema destra aveva creato molto sgomento in Germania. Per la matrice politica che i tre rivendicano, ma anche perché gli inquirenti per anni avevano preferito seguire piste riconducibili a una matrice islamista o a faide familiari. I media avevano coniato per questa serie di omicidi definizione “Döner-morde”, omicidi Döner (alcune vittime erano proprietari di döner kebab) e “Mordserie bosporus” (vista l’origine di gran parte dei morti). Sgomento aveva inoltre creato il fatto che all’indomani dell’arresto di Zschäpe, alcuni uffici regionali dei servizi segreti interni (Verfassungsschutzbehörden), avessero distrutto documenti sulle indagini su questi omicidi. 

Che il processo a Zschäpe e ad alcuni altri indagati, sospettati di aver aiutato la banda, sarebbe stato seguito con grande interesse da parte dell’opinione pubblica, era dunque scontato. Proprio per questo ha a dir poco del kafkiano quanto si è verificato in questi ultimi due mesi. Il tribunale aveva messo a disposizione cinquanta posti per i giornalisti. L’accredito avveniva secondo il principio “chi prima arriva…”. Un principio che aveva però fatto sì, che non un solo organo di stampa turco (né di quelli editi in Germania, né di quelli editi in Turchia) fosse riuscito ad “accaparrarsi” un posto. Scontate dunque le proteste da parte turca: in fin dei conti otto delle nove vittime erano turchi. Non solo, per anni i familiari di questi morti erano stati trattati con una certa “supponenza” da parte degli inquirenti, se non addirittura sospettati di essere in qualche modo invischiati in questi delitti. Contro quella che pareva essere una paradossale esclusione, si erano mosse anche Ankara e l’ambasciatore turco a Berlino. Alcune testate tedesche si erano offerte a lasciare il loro posto a un giornalista turco. Qualcun altro aveva suggerito di risolvere la questione, trasmettendo in diretta il dibattimento in un’altra sala del tribunale. Nulla da fare. Le regole per l’assegnazione dei posti ai media erano queste e non erano ammesse deroghe. L’opinione pubblica turca era furibonda, quella tedesca senza parole. A fare uscire il tribunale di Monaco dal vicolo cieco in cui si era cacciato erano stati poi i giudici della Corte costituzionale, i quali avevano chiesto una riassegnazione dei posti, con una quota fissa prevista per i media stranieri.

Problema risolto? Niente affatto. È vero, dei 50 posti dieci erano ora riservati ai giornalisti stranieri, ma il criterio scelto per l’assegnazione non faceva altro che ingarbugliare ulteriormente la situazione. L’assegnazione questa volta avveniva per estrazione. Risultato: testate tedesche nazionali del calibro della Frankfurter allgemeine zeitung, Welt, Taz e il settimanale Zeit non sono state sorteggiate. In compenso si sono aggiudicati un posto altre che hanno partecipato a questa secondo giro, giusto per il gusto di prendere parte alla bizzarra lotteria. Tra questi il femminile Brigitte e il giornale di inserzioni Hallo München. Il gruppo Süddeutsche zeitung (con sede a Monaco, dunque nella città in cui si celebra il processo) ha partecipato con tutte e tre le sue testate, il quotidiano Sdz, il sito online Sdz e il Magazin Sdz allegato all’edizione del venerdì: una strategia vincente, visto che almeno il Sdz-Magazin ce l’ha fatta a essere in aula.

Faz, Welt e Zeit hanno deciso di non fare ricorso perché, come ha detto il direttore della Zeit, Giovanni di Lorenzo: «Il processo deve finalmente iniziare come previsto il 6 maggio. Rinviarlo un’altra volta vorrebbe dire mancare di rispetto alle vittime e ai loro familiari».

Vero, e almeno loro hanno praticato una certa flessibilità, in una vicenda che dimostra quanto l’imperativo categorico “Ordnung muss sein”, quanto il rigore, il pragmatismo dettato da un ferreo senso della disciplina, possano, se non accompagnati da una certa elasticità nell’applicazione, creare non solo situazioni paradossali, ma rivelarsi successivamente veri e propri boomerang. 

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