«Mi sono sbagliato». Comincia così l’ultimo editoriale di Paul Miller su The Verge. Il blogger ha inviato l’articolo alla redazione del giornale via e-mail. Non gli succedeva dal primo maggio 2012, quando aveva scelto di dare una svolta netta alla sua vita decidendo di smettere, per un anno intero, con il suo vizio più grande: internet. Un anno senza accedere al web, per riscoprire vecchie abitudini – ascoltare la segreteria telefonica, scrivere le lettere a mano, annusare l’odore dei fiori in un parco – alla ricerca di un rinnovamento personale, di un’illuminazione interiore.
Miller ha 27 anni e ne ha spesi almeno 15 davanti al computer: prima come web designer, poi come giornalista di tecnologia. «Pensavo che internet mi stesse rendendo improduttivo. Mi sembrava che mancasse di significato, che corrompesse la mia anima», ricorda oggi. The Verge, il magazine online americano di tecnologia per cui lavorava, ha deciso di seguire la sua storia, stipendiando per un anno la sua “vita analogica” in cambio di un diario personale sull’esperienza. Una sorta di esperimento reale che cercava di rispondere ad una domanda ormai diffusa: internet rende le nostre vite peggiori?
«Ora vi aspettate che dica come senza internet io abbia risolto tutti i miei problemi. Come sia diventato più saggio, più “vero”, più “perfetto”», scrive Miller. «Ma sono le otto di sera, e mi sono appena svegliato. Non ho vissuto l’epifania che mi aspettavo». La vita del blogger, anziché migliorare, è sprofondata: noia, ma anche la difficoltà di mantenere le relazioni sociali e la solitudine, sfociata in qualcosa di simile alla depressione. «Non mi sentivo sincronizzato al flusso della vita degli altri. È stato speso tantissimo inchiostro per deridere la falsità degli “amici di Facebook”, ma ora posso dirvi che un “amico di Facebook” è sempre meglio di niente».
Eppure, Miller era partito con il piede giusto. Alle 23:59 del 30 aprile 2012 aveva spento il wi-fi, scollegato il cavo ethernet, sostituito lo smartphone con un vecchio cellulare. Nelle prime settimane di “disintossicazione” si era sentito libero: aveva riscoperto vecchi piaceri della vita, come la serendipità degli incontri offline e lo sport all’aria aperta, era riuscito a concentrarci sul suo lavoro come mai prima, scrivendo metà di un romanzo in pochi mesi e riuscendo a leggere interi libri d’un fiato mentre, fino a poco prima, faticava ad arrivare a dieci pagine consecutive. «In quel primo periodo mi è sembrato davvero di aver avuto ragione. Credevo che internet mi avesse allontanato dal mio vero “io”, il Paul migliore. Credevo di aver staccato la spina e ritrovato la luce».
E invece, qualcosa è cambiato. «Un ritorno alla realtà», l’ha definito Miller. Se n’è accorto per la prima volta con la posta: rispondere ad una dozzina di lettere alla settimana era impegnativo come rispondere a cento e-mail al giorno. Poi, quella sensazione si è estesa a tutto il resto: anche leggere un libro o uscire per incontrare un amico sembrava fosse diventata una sfida insormontabile. «Verso la fine del 2012, ho cominciato ad abbandonare tutte le mie abitudini positive e scoperto nuovi vizi. Invece di trasformare la noia e la mancanza di stimoli in creatività, li ho fatti diventare fruizione passiva e fuga sociale». Miller si è ritrovato sul divano di casa senza fare nulla né vedere nessuno. «Giocavo ad un videogioco e ascoltavo un audio book. Per giorni interi. I miei genitori mandavano mia sorella per controllare che fossi ancora vivo».
Il cambiamento è stato graduale, ma inarrestabile. «È dura dire esattamente che cosa sia cambiato. Penso che durante quei primi mesi mi sentissi così bene perché non avevo più addosso la pressione di internet. La mia libertà era tangibile», riflette Miller. Ma poi «non è durata. Quando ho smesso di vedere la mia vita nell’ottica di una “vita libera da internet”, l’esistenza offline ha cominciato a diventare banale e i peggiori lati della mia personalità hanno iniziato ad emergere. Su internet è semplice essere una parte rilevante della società», più che nella vita “analogica”.
«Il piano», conclude Miller, «era di far incontrare il “Paul reale” con il “mondo reale”, ma ho capito che il “Paul reale” e il “mondo reale” sono già inestricabilmente legati a internet. Non dico che la mia vita non sia stata differente senza internet, semplicemente dico che non era la mia vera vita».