In un’eurozona che cerca ancora di ritrovare la propria identità, c’è almeno un segnale di fiducia che non deve essere sottovalutato. Come riportato da Fitch, l’esposizione sull’area euro dei Money market fund statunitensi (Mmf) a fine aprile 2013 è cresciuta del 97% nel confronto con il giugno dell’anno scorso. Non siamo ancora ai livelli di due anni fa, e difficilmente saranno toccati nuovamente secondo l’agenzia di rating, ma è comunque un indicazione importante sul clima che gli investitori hanno verso l’eurozona. Merito soprattutto dellee azioni della Banca centrale europea (Bce). Lo dice apertamente Fitch, lo confermano i dati.
Nonostante la crisi dell’eurozona sia ancora lunga e non sembra esserci una luce al fondo del tunnel, i Mmf hanno ripreso a credere in un sussulto. Questo storico pilastro per la liquidità bancaria sta infatti tornando a essere solido come ai livelli di un anno fa. E dato che si tratta di fondi che gestiscono circa 1.420 miliardi di dollari, la loro importanza strutturale non può essere sottovalutata. Più decidono di investire nella zona euro, più quest’ultima può essere foraggiata di liquidità. Non solo. Le variazioni dell’esposizione dei Mmf statunitensi sono anche utili per comprende le tendenze future. Nel maggio 2011 iniziò il ritiro della liquidità che questi fondi avevano nell’area euro. Fu il preludio alla crisi più acuta di Italia e Spagna. La girandola di sfiducia che aveva colpito i Mmf fu l’avvertimento più significativo della tempesta che sta per arrivar.e
La situazione migliora di mese in mese. Rispetto a fine giugno 2012 l’esposizione verso l’Europa è aumentata del 40%, toccando quota 31,8% dei portafogli. Ancora migliore ciò che è successo, nello stesso periodo temporale, per l’eurozona: un incremento del 97%, per un 15,1% dei portafogli. Il Paese verso cui i Mmf sono tornati a iniettare liquidità è la Francia: più 276% rispetto al giugno scorso. Un’impennata notevole, ma ancora non abbastanza da permettere alle banche francesi di tornare al livello di due anni fa, dato che l’attuale quota è il 55% in meno rispetto a quel periodo. In crescita anche il rapporto con le banche tedesche. Per loro l’aumento dell’esposizione è stato del 65% rispetto a giugno 2012 e del 9% rispetto a fine marzo. Anche per loro però la quota è molto bassa nel confronto al maggio 2011, meno 45 per cento.
Dopo un piccolo ritracciamento dovuto al bailout (unito di bailin) di Cipro, la fiducia è tornata. Quasi del tutto ininfluente è stato l’esito delle elezioni italiane. Lo stallo politico durato due mesi non ha diminuito l’esposizione dei Mmf sulle banche italiane. Tuttavia, alcune incertezze rimangono. Il prossimo passo che potrebbe ripristinare parte della fiducia potrebbe arrivare nei prossimi due mesi. Con il proseguimento del percorso della zona euro verso la piena unione bancaria, gli investitori americani avrebbero un motivo in più per aprirsi di più verso l’Europa. E un ulteriore motivo di fiducia potrebbe giungere dalle elezioni tedesche, previste per il prossimo autunno. In caso di vittoria di Angela Merkel, i Mmf potrebbero premiare la scelta di stabilità e la continuità della Germania. In compenso, una tegola potrebbe essere rappresentata dal credit crunch che sta colpendo le banche dei Paesi periferici dell’area euro.
La tendenza in corso è destinata a continuare fino a quando la Bce continuerà a tenere in piedi la zona euro. Non è un caso che il trend positivo abbia avuto un’accelerazione dopo il 26 luglio 2012, quando Mario Draghi pronunciò la frase più importante degli ultimi due anni: «Nell’ambito del nostro mandato, la Bce è pronta a fare tutto il necessario per salvare l’euro. E credetemi, sarà abbastanza». Due mesi dopo, la rivelazione. Senza il supporto dato dalle Outright monetary transaction (Omt), il piano di acquisto di bond governativi dei Paesi sotto stress, la fiducia dei Mmf americani sarebbe molto minore. Ma dato che le Omt lavorano per ora solo sulle aspettative, la speranza è che non debbano mai essere testate dai mercati finanziari. Se così fosse, potrebbe finire il rinnovato interesse dei Mmf statunitensi per l’eurozona.