Il cardinale Pell: “Gli abusi? Colpa del celibato”

Il sacerdote fa parte della commissione che deve riformare la Curia romana

È possibile che il celibato sia stato «uno dei fattori all’origine di alcuni degli episodi di abuso sui minori» da parte di sacerdoti in Australia. Il timore per la reputazione dell’istituzione ha inoltre indotto la Chiesa a coprire e nascondere le storie di violenze, c’è quindi qualcosa di vero quando si ipotizza un insabbiamento sistematico da parte delle autorità ecclesiastiche, anche se i vescovi non avevano coscienza della vastità del problema. E tuttavia molte vite sono state rovinate, ci sono stati troppi sucidi, per questo la Chiesa chiede scusa per ognuno di questi fatti.

Sono queste alcune delle affermazioni dell’arcivescovo di Sydney, il cardinale George Pell, che ha deposto lunedì scorso davanti alla commissione d’inchiesta parlamentare dello Stato di Vittoria istituita per indagare sul fenomeno degli abusi nella Chiesa. E tuttavia le parole del cardinale, le sue ammissioni rispetto a un sistema di opacità e occultamento, le sue scuse, ma anche l’opposizione a pagare risarcimenti milionari, non hanno fatto altro che rinfocolare la rabbia delle vittime. Così queste ultime hanno chiesto infine che l’arcivescovo si dimetta, che lasci il suo posto, in quanto ha dimostrato insensibilità rispetto al problema.

Le vicende accadute nello stato di Vittoria, nel sud dell’Australia, riguardano in realtà la diocesi di Melbourne della quale però, in passato, Pell è stato arcivescovo anche se da tempo è a Sydney. Pell ha spiegato di non aver alcuna responsabilità personale nell’opera di insabbiamento e «di essere impegnato a migliorare le cose, e so che anche il Santo Padre sta facendo lo stesso». In effetti Pell è stato ascoltato in particolare come leader e massima autorità della Chiesa australiana.

La Chiesa ha ammesso circa 620 casi di abuso dal 1930 a oggi solo nello stato di Vittoria, ma in realtà secondo le vittime e i loro rappresentanti il numero si aggira intorno ai 5-6mila casi. Per altro un’indagine a livello nazionale è già cominciata, dovranno essere sentite circa 5mila vittime, mentre ulteriori commissioni sono state attivate in altri stati. Insomma lo scandalo pedofilia scoppiato da tempo in Australia, sta ora toccando il suo apice e i vertici della Chiesa cattolica. 

E di nuovo è un’inchiesta governativa a scoperchiare una realtà drammatica. In Irlanda è stata una successione di indagini del governo a portare alla luce una infinita serie di abusi sui minori e una rete di coperture e complicità che ha fatto crollare la credibilità stessa della Chiesa irlandese, messo a rischio la fede in uno dei Paesi più cattolici d’Europa e raffreddato le relazioni diplomatiche fra Dublino e la Santa Sede. Ora tocca all’Australia dove pure sono in gioco – come è avvenuto negli Stati Uniti nel corso dell’ultimo decennio – ingenti risarcimenti economici da parte della Chiesa.

Nelle settimane scorse il cardinale australiano è stato a Roma dove si è incontrato con il Papa. Il suo coinvolgimento nella vicenda abusi e la sua deposizione hanno fatto del resto scalpore anche perché l’arcivescovo di Sydney fa parte del ristretto gruppo di cardinali – otto in tutto – entrati nella commissione nominata da papa Bergoglio allo scopo di riformare la Curia romana. È quindi assai probabile che quando il cardinale si è recato dal Papa alla fine dello scorso aprile, abbia riferito a Francesco sulla gravità dello scandalo pedofilia in Australia e i successivi sviluppi che si sarebbero avuti. Così anche alcune delle affermazioni sull’ammissione di responsabilità della Chiesa nella copertura degli abusi – il porporato australiano ha anche riconosciuto che i colpevoli venivano spostati in certi casi da una parrocchia all’altra il che ha comportato un aggravamento della crisi – siano state concordate o almeno sottoposte al Pontefice. Pell ha anche detto di aver ricevuto assicurazioni dal Vaticano circa il fatto che Roma avrebbe collaborato con la commissione governativa australiana, un’affermazione indubbiamente impegnativa.

Se questo è il quadro generale, desta un certo scalpore che il cardinale abbia poi affermato che anche il celibato poteva essere considerato fra le cause almeno di una parte degli abusi. La questione forse è da collegarsi alla scarsa cura nella selezione dei futuri sacerdoti che un tempo ha caratterizzato la Chiesa, come ha osservato lo stesso Pell, e tuttavia è la prima volta che un alto esponente della gerarchie ecclesiastica ammette quanto l’opinione pubblica ha più volte messo in luce: e cioè che la regola del celibato possa avere avuto la sua parte di responsabilità in una vicenda gravemente destabilizzante per la Chiesa universale. 

Resta da dire che fra i primi atti ufficiali del pontificato del papa argentino, c’è stata proprio la sottolineatura del rinnovato impegno sul fronte dell’antipedofilia. All’inizio di aprile la Santa Sede aveva infatti diffuso un comunicato, in seguito a un colloquio avuto dal Papa con il prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, Gerhard Muller, nel quale si affermava che il Pontefice invitava il dicastero vaticano a proseguire sulla strada della pulizia interna, del perseguimento dei colpevoli, dell’aiuto alle vittime.

Se questi sono gli intenti, certo è che il caso australiano mostra da vicino, una volta di più, quale sia la portata dello scandalo nella Chiesa e quali conseguenze possa avere a cominciare da quella messa in discussione dell’istituzione e delle sue attività educative e assistenziali che caratterizzano in modo decisivo la Chiesa cattolica nel mondo.  

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