Fra le tante misure per il lavoro, spesso si discute anche della possibilità di introdurre incentivi all’assunzione sotto forma di minori tasse (sul reddito o sui contributi previdenziali e assistenziali) sul lavoro per i neo-assunti.
Il problema economico – e politico – è che, in presenza di un vincolo di bilancio pubblico molto stringente, le risorse da impiegare per un taglio generalizzato delle tasse sul lavoro sono ovviamente poche. La ratio di un provvedimento simile sarebbe dunque quella di concentrarsi sui gruppi maggiormente in difficoltà nella ricerca di lavoro, notoriamente i giovani (specialmente se non dotati di qualifiche richieste nel mercato del lavoro).
In realtà in un buon numero di paesi Ocse questi tipi di programmi sono stati utilizzati sin dall’occorrere della Grande Recessione (e quelle precedenti). L’Italia è tra i paesi che spende più della media Ocse in tali tipi di sovvenzioni: lo 0,14% di Pil a fronte di un numero di partecipanti elevato che rappresenta il 2,4% della forza lavoro totale, contro 1,6% nei paesi Ocse.
Figura 1- Participanti ai programmi di sussidi all’assunzione (% della forza lavoro)
Figura 2- Spesa per programmi di sussidi all’assunzione (% del Pil)
Tali sovvenzioni possono essere efficaci solo se strutturate attraverso un attento targeting su gruppi svantaggiati, includendo severe condizioni di controllo per i datori di lavoro. Sebbene siano noti i limiti dell’efficacia di tali misure per migliorare l’occupazione totale netta, questi sussidi possono rivelarsi utili in periodi di recessione, quando le probabilità di trovare un lavoro sono particolarmente basse per gruppi svantaggiati (a causa di importanti afflussi di nuovi disoccupati che competono per un numero limitato di offerte di lavoro).
Il vantaggio principale dei sussidi all’assunzione, se comparati con riduzioni generalizzate del cuneo fiscale, è che tendono ad essere più convenienti da un punto di vista economico. E’ vero che riduzioni generalizzate possono essere relativamente facili da implementare e più efficaci nel sostenere l’occupazione nel breve periodo, almeno rispetto agli effetti occupazionali di altre forme di stimolo fiscale, ma causano spesso significative perdite alle entrate fiscali. Dal momento che il sussidio è pagato per tutti i posti di lavoro (compresi quelli che sarebbero esistiti anche in assenza della sovvenzione) questo implica importanti perdite secche.
Concentrandosi esclusivamente sui nuovi posti di lavoro, i sussidi per gruppi specifici sono potenzialmente molto più convenienti, sebbene introducano una segmentazione spuria del mercato del lavoro. Il rischio è che lo schema incentivante si riduca ad un utilizzo meramente “di convenienza” del sussidio: si assumono persone con produttività bassa, causando un turnover indesiderato che scaturisce dalla mera sostituzione di personale più costoso, senza effetti quindi sul totale degli occupati.
Inoltre, se implementato sotto forma di una riduzione dei contributi previdenziali, implicherebbe una notevole perdita di risorse per il sistema pensionistico. Quindi, senza una adeguata fiscalizzazione, il mancato pagamento dei contributi si traduce in una diminuzione delle pensioni contributive dei neo-assunti.
Il modo corretto per aumentare l’efficacia di tali misure e per impedire che gli effetti negativi siano preponderanti è ampiamente dibattuto e di non facile soluzione. Il targeting può essere raggiunto direttamente tramite l’individuazione dei gruppi svantaggiati nella forza lavoro o in certe industrie specifiche. In alternativa, può essere ottenuto indirettamente tramite la progettazione di un sussidio plafonato per numeri di lavoratori o di impresa.
Il targeting diretto per industria è in genere problematico, poiché non è affatto ovvio come determinare quali imprese o industrie meritano più di altre il sostegno, senza contare che la distorsione introdotta indurebbe probabilmente una più bassa riallocazione di lavoro fra industrie in declino e altre in espansione.
Inoltre, il targeting diretto di lavoratori svantaggiati è associato anche a rischi di aumento degli oneri amministrativi necessari per gestirlo, oltre a rafforzare lo “stigma” implicito negativo che mina le probabilità di trovare un lavoro per le persone facenti parte dei gruppi svantaggiati.
In altri casi, il targeting può rivelarsi più effiace in via indiretta. Per esempio, prevedendo dei tetti al numero di lavoratori per impresa che possa godere del sussidio. Tra le altre cose, i tetti sul totale dei lavoratori per impresa tendono implicitamente a favorire le piccole imprese rispetto alle grandi, una cosa da tenere a mente data la struttura industriale del nostro paese. Non va però dimenticato che è necessario in questi casi prevedere condizioni più rigorose sui datori di lavoro che partecipano al programma, per diminuire gli effetti di spiazzamento che si produrrebbero.
Ad esempio, l’assunzione di sussidi può provocare un’eccessiva riallocazione di lavoratori se questi ultimi vengono assunti solo per la durata della sovvenzione e sostituiti da altri al termine. In alternativa, ci si potrebbe scontrare con effetti “revolving-door”, che si riferiscono alla situazione in cui le imprese utilizzano i sussidi solo per sostituire lavoratori più costosi. Un modo di prevenire questo problema potrebbe essere quello di prevedere sussidi proporzionali alle variazioni occupazionali nette, invece che alle assunzioni lorde.
Questa pratica a volte indicata come “marginal stock subsidy” ha comunque lo svantaggio di incentivare l’outsourcing della forza lavoro a imprese di nuova costituzione con possibilità – essendo in espansione – di godere di più sussidi. Diversi economisti hanno proposto la “doppia sovvenzione marginale”, in base alla quale un’impresa che assume un lavoratore aumentando l’occupazione di sopra del suo livello di riferimento riceve pagamenti sovvenzionati sia per il nuovo lavoratore che per uno già impiegato. In linea di principio, questo rafforza gli incentivi per la creazione di occupazione netta, riducendo i rischi di lucrare sul regime di sovvenzioni attraverso l’outsourcing.
Al di là degli aspetti tecnici, l’insegnamento da trarre è che la via per stimolare nuovo lavoro attraverso incentivi mirati è di non facile progettazione e soggetta a rischi elevati nella sua implementazione. Se non ben valutata questa politica rischia di trasformarmarsi nel solito gioco in cui l’imprenditore scappa col sussidio senza vantaggi netti di lungo periodo per il lavoratore e la produttività delle imprese.