“La mentalità dell’alveare”: se Grillo è l’ispirazione

Il nuovo libro di Vincenzo Latronico

Puoi governare con le migliori intenzioni, secondo il canone della democrazia diretta, in cui ogni processo deliberativo è affrontato tramite consultazioni, ogni carriera politica sottoposta a revisione periodica, tutto viene perfezionato grazie al culto collettivo dell’online, che nell’ideologia super purista del grillismo dovrebbe sovrintendere il caos. Puoi essere animato dalle migliori intenzioni, ma alla fine le cose andranno male comunque. È la tesi di Vincenzo Latronico, uno dei migliori scrittori della sua generazione (è nato nel 1984), che ha appena pubblicato La mentalità dell’alveare. Latronico preferisce non chiamarlo romanzo; ha quella forma ma le intenzioni sono diverse. Vuole essere un intervento politico, un pamphlet narrativo.

La mentalità dell’alveare, uscito da pochi giorni per Bompiani, racconta un’Italia immaginaria in cui al potere c’è la Rete dei Volenterosi, che governa secondo i principi della democrazia digitale e diretta, attraverso la vicenda sentimental-politica di due giovani sposi, Camilla e Leonardo.

Il libro è stato scritto in meno di una settimana, di getto, dopo le elezioni politiche di febbraio, dopo una discussione molto accesa con alcuni suoi amici a Berlino, dove Latronico vive da quattro anni. Come ben si capisce, la Rete altro non è che una trasposizione letteraria del Movimento 5 stelle. A fondarla, Pinò Calabrò, ex presentatore, che nel libro compare poco, resta sullo sfondo, scelta voluta dell’autore, che ha preferito raccontare una storia politica intrecciandola con quella personale-sentimentale dei due protagonisti. Tutto ruota attorno a un provvedimento fatto approvare dalla Rete: la non pignorabilità della prima casa, che è peraltro uno dei punti nel programma del M5s.

Il primo effetto immediato è che i mutui sono diventati più costosi, perché le banche corrono più rischi. Leonardo riesce a trovare una falla, del tutto legale, nella norma; se si compra una parte di un qualsiasi altro immobile, facendolo apparire come prima casa, quella che in realtà è la prima vera casa, si può pagare ottenendo dalla banca un prestito meno oneroso. Dopo aver visto che l’idea funziona – i due giovani sposi riescono così a permettersi un’abitazione decente, anche in vista di futuri pargoli – Leonardo decide di fondare un’associazione per offrire gratis questo tipo di mediazioni.

Una consultazione sull’Alveare – il blog-piattaforma utilizzato dai volenterosi per confrontarsi su tutte le decisioni da prendere – impedisce però la divulgazione del metodo. Troppa paura dei giornali cattivi che potrebbero usarlo come pretesto per accusare il Movimento, pardon, la Rete, di incoerenza. Leonardo però, che di mestiere fa l’economista all’università, inizia a collaborare con le pagine online del Guardian e cita in un articolo questa possibilità offerta dalle strettissime maglie della neo-legislazione italiana. La cosa acquisisce una certa notorietà, perché uno dei frequentatori del blog istruisce una consultazione in cui denuncia il fatto. Praticamente ne nasce un processo e alla fine Leonardo sarà costretto ad ammettere, in pieno stile staliniano, colpe-che-non-sono-colpe: ha fondato un’associazione che aiuta legalmente a non farsi spennare dalle banche, offre un piccolo rimborso spese a un’assistente che lo aiuta nell’immensa mole di lavoro, ha messo un link dell’Alveare sul sito dell’associazione (creando, nell’immaginario collettivo dei frequentatori del blog, un collegamento diretto, e quindi una palese contraddizione con i valori della Rete).

Il processo è istituito dalla giuria popolare dei like, o meglio dei post, molto attenta alle accuse e molto meno attratta dalla cospicua difesa che Leonardo è costretto a imbastire. Tutto questo avrà serie conseguenze sulla vita privata di Leonardo e di Camilla, che nel frattempo da semplice attivista ha iniziato a far carriera nella Rete riuscendo a farsi eleggere in Consiglio comunale.

Latronico non ha voluto scrivere un libro luddista o feroce nei confronti della Rete-Movimento. È convinto però che il modello di democrazia digitale sia fallimentare proprio nel massimo del suo splendore. Specie quando essa si applica nei processi politici decisionali. «Nel libro – spiega Latronico – mi interessava rendere chiaro che c’è qualcosa di disfunzionale nel modello di democrazia digitale, anche nel migliore dei casi. Anche quando c’è un governo molto efficiente. Per dire, dopo la salita al potere della Rete dei Volenterosi, lo spread scende. Ma le cose sono destinate ad andare male comunque. O si ha la paralisi, cioè l’incapacità di prendere decisioni, perché ci sono troppe voci da consultare e troppi parametri da tenere in considerazione, oppure l’idea di democrazia diretta diventa un alibi».

Alle consultazioni per il presidente della Repubblica, per esempio, «quanti voti ha preso Stefano Rodotà? Quattromila? È democrazia digitale il fatto che il candidato del 25 per cento degli elettori italiani sia nominato da 4mila persone online? Ci vorrebbe un altro termine per definirla. Non il potere dei pochi, dei tanti o dei migliori. Ma il potere di chi ha voglia. Una vogliocrazia: chi ha deciso quale fosse il candidato alla presidenza della Repubblica del M5s non erano tutti, non erano pochi, ma era chi ne aveva voglia. E ne avevano voglia in 4mila».

Twitter: @davidallegranti

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