La morte in culla della Convenzione per le riforme

Anche Berlusconi la boccia: è tutto tempo perso, non è prevista dalla Costituzione

Addio Convenzione per le riforme. A breve il Parlamento potrebbe dare l’estremo saluto al sogno di Enrico Letta. Doveva essere lo snodo principale dell’intera legislatura. L’organismo che avrebbe permesso la transizione dalla seconda alla terza Repubblica. Ma negli ultimi tempi i dubbi sulla nascita della bicameralina sono in costante aumento.

Le improrogabili riforme strutturali della nostra Carta dovevano passare da qui. Una commissione speciale, autorizzata da un apposito disegno di legge costituzionale, per dar vita a semipresidenzialismo, taglio dei parlamentari, superamento del bicameralismo perfetto. Ma soprattutto per archiviare l’odiato Porcellum.

Un organismo misto, composto da politici e studiosi. Rigorosamente bipartisan e con poteri redigenti. Segno concreto del nuovo clima di pacificazione nazionale. E invece niente da fare. Dopo discussioni, polemiche, veti e controveti, adesso la Convenzione per le riforme potrebbe non nascere mai.

Ufficialmente alle Camere si lavora ancora in attesa del varo. In molti assicurano che non appena saranno eletti i presidenti delle commissioni parlamentari – il voto è atteso questo pomeriggio – la Convenzione tornerà d’attualità. Ma il rischio è che il progetto sia già naufragato. Pensare che il premier Enrico Letta ne aveva fatto uno dei passaggi fondamentali della legislatura. Alla Convenzione aveva persino legato il destino del governo. Se a 18 mesi dall’avvio dei lavori non ci saranno risultati tangibili «non avrei esitazione a trarre le debite conseguenze», il suo monito durante il voto di fiducia a Montecitorio. Una minaccia neppure troppo velata di dimissioni dell’esecutivo.

È proprio l’impegno del presidente del Consiglio a tenere ancora in vita la prospettiva della Convenzione. «Letta ci ha messo la faccia, il progetto non può scomparire da un giorno all’altro» ammette qualcuno nel Partito democratico. «Forse ci vorrà un po’ più di tempo per avviare i lavori, ma alle fine l’organismo nascerà». Non tutti sono d’accordo. «In realtà Letta ha messo la faccia sulle riforme – racconta il vicepresidente della Camera Roberto Giachietti in Transatlantico – non sulla nascita della Convenzione». Nel dubbio, tra qualche ora il deputato del Centro democratico Pino Pisicchio depositerà una proposta di legge per istituire un’apposita Bicamerale. «E le riforme si potranno fare lì, senza perdere troppo tempo».

Il timore di molti è che lo scontro politico potrebbe avere la meglio. Il centrodestra rivendica la presidenza della Convenzione. Silvio Berlusconi non ha mai fatto mistero di ambire alla guida dell’organismo che ridisegnerà «l’architettura istituzionale» del Paese, come ama ripetere.

In realtà è proprio l’ingombrante candidatura del Cavaliere ad aver minato seriamente il percorso. Nel Pd si è già alzato un coro di polemiche. Primo tra tutti il sindaco di Firenze Matteo Renzi, che probabilmente non ha alcun interesse ad assistere – da esterno – a una legislatura lunga e ricca di riforme. Veti espliciti, quelli dei democrat, a cui replicano sdegnati i vertici del Pdl. Poco disposti a vestire ancora una volta i panni degli “impresentabili”.

Ma non è solo l’assegnazione delle poltrone a complicare l’avvio della  Convenzione. In Parlamento tiene banco il caso Porcellum. Cambiare il sistema di voto è troppo importante. E troppo alto è il rischio di legare la modifica della legge elettorale ad altre riforme, che potrebbero inevitabilmente affossarne l’approvazione (come successo nella scorsa legislatura).

E così si torna a puntare sul Parlamento. Luogo naturale per dar vita alle riforme costituzionali. Stamattina il presidente del Senato Pietro Grasso ha confermato i suoi dubbi sulla Convenzione. «Per me – le sue parole a Radio Anch’io – non ci può essere che una soluzione: quella parlamentare». Tra qualche ora l’elezione di presidenti “di peso” alle commissioni Affari costituzionali potrebbe rappresentare un primo segnale. L’ex capogruppo Pd a Palazzo Madama Anna Finocchiaro guiderà la commissione al Senato? Per alcuni è la conferma inequivocabile che le riforme saranno approvate in quella sede. Del resto lo stesso ministro per le Riforme Gaetano Quagliariello ha più volte assicurato che la Convenzione «deve essere uno strumento, non il fine». Insomma, le modifiche costituzionali possono avvenire anche altrove. «Ci sono riforme regolamentari – ha spiegato un paio di giorni fa a Repubblica – quelle che si possono fare attraverso leggi ordinarie e infine le riforme costituzionali»

Il dibattito prosegue sotto traccia tra chi è certo che alla fine la Convenzione nascerà e chi già ne celebra la prematura scomparsa. Ieri alcuni parlamentari del Partito democratico hanno sollevato la questione. Con una lettera ai colleghi di Camera e Senato è stato chiesto un supplemento di riflessione all’interno dei gruppi democrat. «A giorni alterni registriamo la pressante e ricattatoria richiesta di Silvio Berlusconi di assumerne la presidenza – hanno scritto Pippo Civati, Sandra Zampa e Sergio Lo Giudice – Leggiamo interviste del ministro Quagliariello che ne indica il numero dei componenti, compiti e modalità di funzionamento, salvo metterne in dubbio l’opportunità subito dopo». 

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