I parlamentari del Movimento Cinque Stelle raccontano la scuola e l’università italiane. Il risultato è impietoso. Tagli ai finanziamenti, assenza di insegnanti, strutture non agibili, gravi limitazioni al diritto allo studio. La mozione che i deputati M5S hanno presentato a Montecitorio fa luce su una realtà spesso sconosciuta. Un documento più ampio, dove si ragiona sull’intero comparto “cultura” del Paese, evidenziando criticità e avanzando proposte per rilanciare il settore. I firmatari sono tutti esperti del settore. Gli otto deputati grillini della commissione Cultura della Camera – a cui si sono aggiunti altri tre parlamentari – sono tutti in qualche modo legati al mondo dell’istruzione. Insegnanti di scuola primaria, professori delle superiori. Ma anche studenti e giovani laureati.
I numeri non lasciano troppo spazio all’ottimismo. Solo per quanto riguarda scuola e università i tagli approvati nella scorsa legislatura – così denunciano i deputati M5S – hanno privato il settore di 7.565 milioni di euro. «Un taglio alla voce di bilancio dello Stato che passa, negli ultimi cinque anni, dal 10,6 per cento al 9,1 per cento, producendo un processo di impoverimento culturale e sociale che mina la stabilità del vivere civile e solidale». Una politica inversamente proporzionale a quella dei nostri partner europei. Dato che Francia e Germania, si legge ancora, investono nell’istruzione fino a dieci volte in più rispetto all’Italia.
Le conseguenze dei tagli sono evidenti. Dal 2008 allo scorso anno il numero degli studenti dalla prima elementare all’ultimo anno di liceo è cresciuto di 90.990 unità. «In uno sviluppo normale dei rapporti discente-docente» si legge nella mozione, a questo aumento sarebbe dovuta seguire l’immissione di almeno 9mila insegnanti. E invece nello stesso arco di tempo, si registra un taglio di 81.614 docenti. Più alunni, meno professori, e le classi “pollaio” dilagano. Negli ultimi cinque anni, dato l’incremento degli studenti, sarebbero servite 4.550 classi in più. E invece ne sono scomparse 9.285. «Il limite di 20 alunni per classe in presenza di un compagno con disabilità – regola definita per legge – quasi mai viene rispettato».
Intanto alla fine dell’anno scolastico più di 2mila scuole scompariranno, finendo accorpate con altri istituti. Mentre ben 557 rimarranno «senza un preside né un dirigente amministrativo». Per non tacere di un altro record italiano: il dramma del precariato scolastico. Un fenomeno che ormai riguarda oltre 200mila «tra insegnanti abilitati e non formalmente abilitati anche se idonei all’insegnamento».
L’aspetto più preoccupante evidenziato nel documento del M5S riguarda lo stato degli edifici scolastici. La mozione cita un rapporto Legambiente del 2012, secondo cui «quasi la metà degli edifici scolastici non possiede le certificazioni di agibilità, più del 65 per cento non ha il certificato di prevenzione incendi e il 36 per cento degli edifici ha bisogno d’interventi di manutenzione urgenti, senza contare che il 32,42 per cento delle strutture si trova in aree a rischio sismico e un 10,67 per cento in aree ad alto rischio idrogeologico».
Non è tutto. Il decreto approvato lo scorso ottobre dal governo Monti sul Piano straordinario per la messa in sicurezza degli edifici scolastici ha meritoriamente stanziato oltre 100milioni di euro per mettere in sicurezza 989 edifici scolastici. «Tuttavia – denunciano i deputati a Cinque Stelle – non si può fare a meno di rilevare che dalla ripartizione regionale dei fondi il rapporto tra il valore del finanziamento con il numero di scuole (pubbliche e private) presenti in ciascuna regione (dati ISTAT 2011), il nord ne riceverà il 69 per cento, il centro il 28 per cento e il sud e isole appena il 3 per cento, un’evidente ripartizione squilibrata che ci consegna un’Italia con territori che non hanno gli stessi diritti di avere scuole di uguale livello in termini di sicurezza».
Non fa differenza il sistema universitario. Nel 2008 – denuncia ancora la mozione – sarebbero stati ridotti i Fondi di finanziamento ordinario della università di ben 1440 milioni di euro. La prima conseguenza è una rilevante riduzione del personale. Nel 2010 gli atenei erano in grado di mantenere un reclutamento parti al 41 per cento dei pensionamenti? Presto «la percentuale media – stando alle simulazioni del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca – sarà almeno dimezzata, con conseguente migrazione dei ricercatori all’estero».
Secondo i dati presentati, solo nell’ultimo anno i ricercatori strutturati sono passati da 23.800 a 23.400. È andata peggio a quelli precari. Ridotti da 33mila a 13.400. «Quasi ventimila precari sono stati di fatto “espulsi” dal sistema accademico: niente rinnovo, niente tutele, niente università». E così tra blocco del turn over e riduzione dei finanziamenti, l’associazione dottorandi e dottori di ricerca italiani ha calcolato che oltre l’ottanta per cento degli attuali assegnisti di ricerca non intraprenderà mai la carriera universitaria. Come se non bastasse «il decreto legislativo n.68 del 2012 – si legge – ha modificato completamente l’impianto del diritto allo studio, già abbastanza iniquo, riducendo drasticamente il numero di idonei per le borse di studio».
Tanti gli obiettivi proposti dai parlamentari del M5S. I grillini della commissione Cultura chiedono al governo di dar vita a un piano di rientro di tutte le risorse sottratte negli ultimi cinque anni al settore cultura e istruzione. Ma anche di procedere a un piano triennale di assunzioni nella scuola, per stabilizzare gran parte dei docenti precari. E ancora, un piano di messa in sicurezza degli edifici scolastici «per l’adeguamento di tutti i plessi nell’arco di 4 anni». Più fondi per le borse di studio e per finanziare le strutture di accoglienza nelle università.
La domanda, persino banale, è sempre la stessa. Dove prendere i soldi? Stavolta i firmatari della mozione elencano anche le voci di spesa da tagliare, per dare copertura economica al progetto. Sono otto le «possibili fonti di finanziamento». Si va dalla ridistribuzione dei tagli lineari già previsti nelle ultime finanziarie, all’abolizione graduale delle risorse destinate alle scuole paritarie. Passando per alcuni più noti cavalli di battaglia grillini: taglio delle province, abolizione dei contributi elettorali ai partiti, riduzione della spesa militare, taglio dei finanziamenti all’editoria.