Più danni che benefici. È questo il bilancio informale dei primi mesi di applicazione della Financial transaction tax (Ftt), la tassa sulle transazioni finanziarie volgarmente chiamata anche Tobin tax. Gli 11 Paesi europei che l’hanno introdotta, fra cui c’è anche l’Italia, non hanno ancora rilasciato cifre, ma è già chiaro che gli effetti saranno ben diversi da quelli immaginati. A tal punto che la Ftt potrebbe impattare perfino sul meccanismo di trasmissione della politica monetaria della Banca centrale europea, già in precarie condizioni.
Austria, Belgio, Estonia, Francia, Germania, Grecia, Italia, Portogallo, Slovacchia, Slovenia e Spagna. Sono questi gli 11 Paesi europei in cui la Ftt è stata introdotta. E sono proprio queste le economie che potrebbero essere più penalizzate. L’obiettivo della Commissione europea è quello di raccogliere 30 miliardi di euro l’anno dalla Tobin tax. Un obiettivo perseguibile con le due aliquote, 0,1% per le transazioni sulle azioni e 0,01% per quelle sui derivati. Numeri che possono sembrare risibili, ma il cui effetto combinato è potenzialmente distruttivo.
I derivati sono forse il settore dove di più si sta sentendo l’avvio della Ftt. Le prime stime di HSBC parlano di una possibile riduzione degli scambi di circa 30 punti percentuali per i mercati over-the-counter (non regolamentati) nell’eurozona, ma la verità si saprà solo alla fine dell’anno. La banca anglo-asiatica mette in guardia Bruxelles, ma con un occhio guarda al resto del mondo. «La Ftt può creare benefici di lungo periodo solo se applicata in modo omogeneo all’interno di una data area economico-monetaria», spiega HSBC. Diverso è il discorso per l’Europa, che ha solo 11 membri su 27 che hanno deciso di approvare la tassa sulle transazioni finanziarie. Non solo. L’omogeneità non c’è nemmeno fra i magnifici undici dato che alcuni Paesi, come l’Italia, hanno gabelle particolari. Per quanto riguarda il mercato azionario Roma ha introdotto un’aliquota dello 0,2% del valore della transazione, che può essere ridotta della metà nel caso di «operazioni concluse in mercati regolamentati o sistemi multilaterali di negoziazione». Di contro, per le transazioni che avvengono sui sistemi algoritmici di negoziazione ad alta velocità, gli High-frequency trading system (Hft), l’imposta è dello 0,02 per cento. Più macchinosa la vicenda per i derivati finanziari, la cui aliquota varia da strumento a strumento (future, covered warrant, opzioni, certificati, CFD).
Disomogeneità, sovrapposizione fra imposte simili, poca lungimiranza dei legislatori nazionali. Tutti elementi che i leader europei non avevano calcolato una volta proposta l’introduzione della Ftt, spinti dalla voglia politica di trovare un capro espiatorio per la peggiore crisi della storia dalla zona euro. Il risultato è che quella che doveva essere uno dei caposaldi della nuova cooperazione rafforzata europea sui temi economico-finanziari rischia di sgretolarsi ancora prima di dare i primi frutti. «Gli investitori non sono stati fermi e hanno già trovato diverse vie per uscire dai mercati colpiti da questa imposta», scriveva a marzo, quindi agli albori della Ftt, la banca britannica Barclays, osservatrice esterna delle vicende. Il peggio però potrebbe non essere solo lo spostamento di capitali da un mercato all’altro.
Chi potrebbe essere pesantemente colpito è il settore dei repurchase agreement (repo), ovvero i pronti contro termine. Secondo uno studio dell’International capital markets authority (Icma) condotto da Richard Comotto, la contrazione che potrebbe subire questo mercato potrebbe arrivare fino al 66% su base annua. E questo significa peggiorare la situazione degli istituti di credito, che tramite i repo si rifinanziano. Gli effetti della Ftt possono quindi essere anche sull’economia reale, avverte l’Icma. Più si riduce il mercato dei repo, più le banche hanno difficoltà nel funding, più fanno fatica a elargire finanziamenti. Inoltre, secondo l’Icma c’è il rischio di un congelamento del movimento dei collaterali, uno degli snodi cruciali per l’attività bancaria. Un argomento che tocca da vicino la Banca centrale europea (Bce).
Al netto della positività dei corsi azionari, che stanno continuando un rally che non pare finire il suo slancio, la Ftt sta avendo influenze pesanti, nei Paesi in cui. A tal punto che Peter Praet, membro del Comitato esecutivo della Bce, ha detto apertamente che l’Eurotower deve ancora studiare gli effetti dell’imposta sul mercato dei money market, uno storico pilastro di liquidità per le banche. Analogo il discorso per l’impatto sui collaterali e sul meccanismo di trasmissione della politica monetaria. Ma come ricordava Yves Mersch, collega di Praet, ci possono essere significativi squilibri ad ampio spettro nei mercati finanziari europei. E non è un caso che un altro membro della Bce, il capo della Bundesbank Jens Weidmann, ha usato parole ancora più realiste. «Ci saranno sicuramente dei considerevoli effetti collaterali», ha detto Weidmann. Il problema è che non si sa né quali né quanti siano queste conseguenze sui mercati.