La Turchia scivola verso Est, ma non dimentica l’Ue

Ad aprile l’ingresso nella Shanghai Cooperation Organization come partner di dialogo

Forse ancora più che in passato, la Turchia di oggi si specchia perfettamente nella sua città più grande e importante: Istanbul. Divisa in due parti dallo stretto del Bosforo, l’antica Costantinopoli e Bisanzio si estende su due continenti e si specchia in due mari; qualcosa di molto simile a quello che cerca di fare la Turchia intera da almeno un decennio. 

Dopo aver attraversato la Guerra Fredda da grande alleato dell’Occidente e della Nato, e dopo aver affrontato per anni lo snobismo mischiato a velata xenofobia che ha caratterizzato le risposte ai tentativi turchi di accedere all’Unione europea, Ankara sembra oggi aver intrapreso un cammino che ogni anno la porta più lontana da Bruxelles.
«Buscar Ponente por el Levante», sembra lo slogan più adatto per spiegare la politica estera turca di questi ultimi anni, la quale il 26 aprile ha portato all’entrata ufficiale della Turchia nella Shanghai Cooperation Organization (Sco) in qualità di “partner di dialogo”.

La Sco comprende al momento le principali potenze dell’Asia centrale Russia, Cina, Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan e Uzbekistan. Nata in sordina nel 2001 come strumento di cooperazione fra le principali potenze regionali soprattutto sui temi dello sviluppo economico e della sicurezza, nell’ultimo decennio la Sco è notevolmente cresciuta di importanza, di pari passo con l’impressionante trend di sviluppo di cui hanno goduto i suoi membri.
L’interesse turco per l’accesso all’organizzazione è infatti di natura prevalentemente economica. La Sco racchiude le principali potenze energetiche dell’Asia, oltre che la Cina, la quale sta emergendo come la possibile futura potenza egemonica del continente. L’organizzazione è servita in passato proprio come luogo di dialogo per mitigare i crescenti timori russi causati dalla penetrazione economica cinese in Asia centrale, tradizionale “giardino di casa” di Mosca, guidata dalla crescente fame energetica di Pechino e per l’interesse delle repubbliche ex-sovietiche per il dinamico e promettente mercato cinese.

La Turchia, di cui Moody’s ha innalzato oggi il rating di credito portandolo da Ba1 a Baa3 alla pari della Spagna, da tempo intravede in queste dinamiche possibilità assai più promettentirispetto a quelle offerte dallo stagnante mercato europeo che ormai da alcuni anni si dibatte tra recessione, austerità e crisi di identità.

Tali considerazioni ha portato il premier Tayyp Erdogan ad affermare pochi mesi fa che un eventuale ammissione alla Sco avrebbe probabilmente portato ad un ridimensionamento delle aspirazioni turche rispetto all’Unione europea. Più che un vero abbandono degli obiettivi di accesso alla Ue, molti analisti hanno però visto in questa dichiarazione una provocazione volta a sottolineare l’aumentato potere negoziale di Ankara nei confronti di Bruxelles. Secondo i sostenitori di questa interpretazione, infatti, anche in questi ultimi anni di attivismo e accresciuta indipendenza diplomatica di Ankara, la Ue è rimasta il principale partner economico e commerciale turco, nonché la principale fonte di investimenti esteri.

Se questo fosse vero si ridimensionerebbero molto le dichiarazioni di Erdogan, così come l’adesione turca alla Sco, la prima da parte di un membro della Nato. Ma è ancora così?
Gli ultimi dati pubblicati a maggio dicono di sì, l’Unione europea è ancora il principale partner economico di Ankara. Ma sempre meno.
Negli anni della crisi la fetta europea dell’interscambio commerciale della Turchia con l’estero è passata dal 60% al 40%. A sorpresa, gran parte del terreno perso dalla Ue è stato guadagnato da alcuni paesi mediorientali, in primis l’Iraq e le monarchie petrolifere del Golfo. L’Iraq potrebbe spodestare in pochi anni la Germania come primo partner commerciale della Turchia, mentre i paesi del Golfo si sono lanciati negli ultimi anni nel mercato finanziario turco, uscito sostanzialmente illeso dalla crisi e fino a poco tempo fa dominio assoluto degli istituti d’investimento europei.

Nelle opere del ministro degli esteri turco Davotglu, il grande teorico della politica estera dell’Akp, si legge come la Turchia sia naturalmente portata a muoversi su tre direttrici principali: quella europea, quella mediorientale e quella asiatica. È chiaro come in questi anni di profonda crisi dell’Europa le ultime due abbiano prevalso, trasportando la Turchia e le sue aspirazioni di potenza geopolitica ed economica sempre più verso oriente.  

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