Nel Regno di Vezzoli i comizi d’amore post-pasoliniani s’impastano a Lady Gaga, Iva Zanicchi divide il campo con Bernard-Henri Lévy, un filo lega Gore Vidal ad Ela Weber. Falsi reality, film che non esistono, testicoli al vento, reinvenzione della “voce umana” di Cocteau, un Rothko rifatto col tessuto. La provocazione kitsch, il citazionismo nel frullatore delle forme, uno stile giudicato irritabile o sublime a seconda dei gusti, ma che lo ha imposto come arti-star globale. Tra nicchie, stucchi e sculture classicheggianti, al museo Maxxi di Roma da mercoledì 29 maggio fino al 24 novembre c’è l’impertinente “Galleria Vezzoli”, prima antologica di un museo italiano dedicata a Francesco Vezzoli. Classe 1971, bresciano, quest’anno terrà tre personali, autonome ma connesse nel progetto “The Trinity”: oltre che a Roma, al Moma PS1 di New York e al Moca di Los Angeles. Una celebrità, che proprio dall’immaginario divistico hollywoodiano (e non solo) prende ispirazione per molte sue opere: come soggetti dei suoi quadri, come attori dei suoi video.
“Just a Gigolò 3”, Silkscreen on paper, 2011
Poster per un rifacimento di Caligola di Gore Vidal, serigrafia su carta, 2005
Trailer for a remake of Gore Vidal’s Caligula, Video, 5 min., Production Still, 2005
Le 120 Sedute di Sodoma, stampa laser su tela con ricamo metallico, sedie Argyle in legno, 2004
“Madonna”, ricamo in cotone su tela, 1999
“Olga Forever” (Olga Picasso, bal des Beaumont, 1924), olio su tela, stampa laser, collage ricamato, 2012
Vezzoli, cosa sono per lei i divi?
Sono uno specchio delle ossessioni pubbliche. Sui loro volti si riversano le pulsioni della società, sono icone di desiderio. Nei divi che ho incontrato e in quelli che ho studiato per le mie opere, ho riscontrato questo tratto: l’ombra del desiderio disegnata dal mondo su di loro.
Per questo interviene sui loro volti ricamando delle lacrime sulle loro facce?
Le lacrime sono una violazione della loro intimità. Intendo anche al di là della superficialità del volto: studiando le biografie di molte dive, scoprivo che passavano il tempo libero da sole a ricamare a piccolo punto: un modo per riempire i tempi morti delle lavorazioni, ma anche per soffocare lo stress del proprio ruolo. Ho ripreso la loro abitudine e l’ho fatta mia, applicandola sul loro viso sotto forma di pianto melodrammatico.
Perché proprio il ricamo?
È un’attività così domestica, così da casalinghe… e perciò così sovversiva rispetto alla spettacolarità dei miei soggetti e dell’arte contemporanea.
Lei è uno degli artisti italiani più quotati al mondo. Si sente un divo?
No! Per carità!
Il cinema è molto presente nei suoi lavori.
Sì, il cinema contaminato dalla comunicazione pubblicitaria. Pubblicizzo l’inesistenza dei miei film attraverso i miei manifesti e i miei trailer (celebre il suo Caligola pornosoft con, tra gli altri, Milla Jovovich, Benicio Del Toro, Gore Vidal e Courtney Love, ndr). Allo stesso modo ho mostrato campagne elettorali mai tenute (nel video si fronteggiavano Sharon Stone e Bernard-Henri Lévy, ndr). A breve mi occuperò di una religione che non esiste: è un progetto per il Moma di New York, nel cui cortile costruiremo una specie di chiesa. L’ispirazione, più che da sette alla Scientology, deriva da certi predicatori americani.
Ha mai pensato di girare un film?
Non avrei le capacità. Non sono in grado di seguire una storia sullo schermo, figuriamoci se potrei mai scrivere e poi mettere in scena una sceneggiatura. Io sono interessato alla visione come esperienza concettuale e politica.
Che intende per politica?
Intendo capacità d’influenza. Che non è quella dei partiti, esecutori testamentari d’ideologie defunte. Un giorno chiesero a Pierre Cardin cosa pensasse del presidente Sarkozy, e lui rispose: «Cosa vuole che conti? Lui sta qui al Faubourg Saint-Honoré da quattro anni, io da cinquanta». Non era snobismo, aveva perfettamente ragione. Il vero potere è nell’immaginario. Io penso che sarà sempre più nelle mani di possiede i social media.
All’incrocio tra media e politica in Italia abbiamo un esempio piuttosto ingombrante.
Berlusconi intende? Mah, come replica all’amatriciana di Bill Paley (fondatore della Cbs, ndr) gli posso anche credere, come replica di Reagan non gli crederò mai, nemmeno all’amatriciana.
Lei è andato via dall’Italia molto giovane, ha vissuto all’estero, poi è ritornato a vivere in Italia. Come vive un artista in Italia?
Fantasticamente. È uno dei posti più rilassanti del mondo. La nevrosi di Milano sarà sempre una passeggiata di salute rispetto a quella di Londra o New York. Forse lo vorrei più competitivo, il mio Paese, ma non so se sarebbe un paese migliore.
Cosa direbbe a un giovane artista che comincia ora la propria carriera?
Gli direi di provare a capire innanzitutto cosa non vuole fare. Studiare molto il lavoro di chi gli sta attorno, scartare le strade già percorse, e solo allora, al termine di una lunga opera di scarto, iniziare a dare una forma alla propria idea. Quando ho iniziato io, a Londra, andavano di moda gli animali squartati e i cazzi al posto dei nasi sui volti. Intendiamoci, è un’arte che a me piaceva, adoro Hirst e i fratelli Chapman, ma non è la mia forma. Che faccio? mi chiedevo. Un bel giorno mi son messo a ricamare a punto croce. Chi diavolo ci aveva mai pensato prima?