Le tre debolezze che costano troppo alle pmi italiane

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Nella decisione della Bce che ha portato a un nuovo taglio dei tassi euro e soprattutto nelle parole del governatore Draghi si coglie tutta la preoccupazione sulla tenuta delle piccole e medie imprese e sulla loro capacità di resistere a un prolungato periodo di difficoltà nell’accedere al credito bancario. Il dibattito sul credit-crunch è salito di un livello: non si discute più se la stretta creditizia esista o meno, ma di come risolverla con interventi esterni che possano indurre le banche a concedere più credito (attraverso cartolarizzazioni di prestiti) o gli stati membri a supplire alla carenza di credito con nuovi veicoli e iniziative.

Penso che mai come prima ci si stia rendendo conto del rischio di mettere in ginocchio una parte così rilevante del tessuto economico a causa della crisi del sistema bancario. In questa situazione si moltiplicano studi e osservatori per comprendere le determinanti del problema e indirizzare gli interventi. Uno studio molto interessante arriva proprio dalla Bce ed è appena stato pubblicato (“Survey on the access to finance of small and medium-sized enterprises in the euro area”). Si tratta dell’ottava rilevazione di un’indagine campionaria su 7510 PMI europee svolta tra Ottobre 2012 e Marzo 2013 e le tavole che ho selezionato sono in grado di giustificare il titolo del post.

Cominciamo con la prima che dimostra come sotto l’aspetto dell’andamento economico le Pmi italiane insieme a quelle spagnole, portoghesi, greche e irlandesi abbiano subito tra il 2010 e il 2012 notevoli cali del fatturato e dei margini di profitto.

Nella seconda tavola si può vedere l’impatto della finanza sulla performance delle Pmi europee e in questo caso l’aumento degli oneri finanziari subito dalla Pmi italiane appare il peggiore in tutta l’Europa, persino più elevato di quanto accaduto alle Pmi greche e portoghesi. Se fate il confronto con le curve in Germania, Belgio e Austria la divaricazione è devastante.

Nella terza tavola sono rappresentate con barre cumulative i principali problemi che le Pmi del campione hanno evidenziato. Qui potete notare come il problema principale delle Pmi tedesche sia la ricerca di nuovi clienti e la ricerca di personale con le giuste competenze. A proposito di quanto ho scritto ieri sulla necessità di portare competenze nelle piccole imprese, il grafico mostra purtroppo come le Pmi italiane siano molto preoccupate dell’accesso al credito e del costo del lavoro, ma poco sensibili rispetto alle colleghe-concorrenti della Germania di inserire competenze in azienda.

Tornando sul fronte del credito la quarta tavola mostra la fame di linee bancarie a breve da parte delle Pmi italiane e francesi a fronte di una scarsa domanda (addirittura negativa) da parte di quelle tedesche e di una domanda tutto sommato contenuta da parte delle piccole e medie imprese spagnole.

La 5a tavola mostra le componenti che determinano la domanda di finanza delle Pmi intervistate e qui si può vedere come le imprese tedesche siano in forte domanda di investimenti e circolante, mentre le imprese italiane pur avendo una discreta componente volta a nuovi investimenti, sono più orientate al finanziamento del circolante per i noti motivi legati ai ritardi di pagamento dello Stato e delle grandi imprese private (queste ultime stanno peggiorando a quanto mi viene riferito da molti imprenditori).

Sintesi della ricerca:

→ PMI italiane in grande difficoltà sui risultati economici anche a causa di un aumento del carico di oneri finanziari applicati dalle banche;

→ L’accesso al credito è un problema su tutta la fascia del sud Europa ma per le dimensioni economiche e il numero di PMI l’Italia è il sorvegliato speciale dell’attuale credit-crunch;

Le PMI tedesche non hanno problemi di credito e di performance, pensano solo a conquistare mercati e clienti, a investire in attrezzature e in capitale umano. Le PMI italiane sono poco sensibili alla spesa in competenze (e si sbagliano di molto).

Dunque la discussione su come porre fine alla stretta operata dalle banche ha un fondamento e una sua importanza per la crescita economica. Di questo sarebbe bene che tutti gli attori prendessero coscienza perché, come ha scritto Alessandro Plateroti sul Sole 24 Ore, se il sistema bancario continua a trovare più conveniente e meno rischioso investire la liquidità della Bce in Bto e Btp il nostro sistema economico si avviterà sempre più su stesso e le conseguenze sulla ripresa (anche delle banche…) sarà piuttosto nefasta.

E pur avendo ricevuto finanziamenti a costo “quasi-zero” per oltre 1.100 miliardi di euro, le banche europee ne hanno lasciati quasi la metà in deposito alla Bce, il resto in cassaforte e sui mercati azionari e del debito. Nello specifico italiano, le banche hanno utilizzato quasi completamente gli oltre 250 miliardi di euro di prestiti a sconto della Bce (tra l’altro estesi ieri fino al 2014) per comprare BoT e BTp, a loro giudizio più redditizi e meno rischiosi dei prestiti alle imprese: nel solo mese di marzo, per avere un’idea del fenomeno, le banche italiane hanno speso quasi 10 miliardi di euro nell’acquisto di titoli di Stato – che altro non sono che un prestito ai Governi – ma appena 1,9 in finanziamenti all’economia.

E se le Pmi italiane sono arrivate molto deboli al test della crisi europea è altrettanto vero che le banche italiane, con i loro problemi di capitale scarso e di bassa redditività stanno contribuendo non poco a peggiorare la situazione delle imprese caricando tassi sempre più onerosi. Quindi giusto chiamare tutti alla saggezza di comportamenti meno egoistici e più coraggiosi.

Il campione utilizzato per l’osservatorio della Bce era così formato:

*tratto da Imprese + finanza,  blog di Fabio Bolognini

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