Una firma di tutto riposoL’Italia rischia l’abbandono degli investitori esteri

Il Paese non è attrattivo ma i politici pensano solo agli investimenti pubblici

In una cornice un po’ warholiana (l’Hotel Principe di Savoia era circondato dalle fan degli One Direction, le onedirectioners, in attesa dei loro idoli) ieri a Milano sono stati presentati i risultati di un’intervista a 33 top manager di grandi imprese Usa sull’attrattività del nostro paese rispetto agli investimenti diretti dall’estero. Lo studio è opera dell’American Chamber of Commerce in Italy, in collaborazione con Fabrizio Onida dell’Università Bocconi. Ho partecipato all’incontro tra il pubblico e ho piacevolmente notato la quantità di dati e osservazioni interessanti che ne sono uscite.

Gli investimenti privati servono a far ripartire la crescita di un paese infiacchito come il nostro: sapere ciò che li ostacola dovrebbe essere priorità per tutti, specialmente per i politici. Chi era presente all’incontro di ieri? Gli unici erano l’ex ministro al bilancio Giancarlo Pagliarini, Raffaello Vignali e Mario Melazzini del Pdl. Ha parlato Luigi Casero, viceministro dell’economia, che si è lamentato dell’interesse eccessivo per la legge elettorale nel dibattito attuale, e insufficiente per le politiche economiche, e – aspetto interessante assai – non ha fatto alcun cenno all’Imu. L’incontro è iniziato tardi a motivo del suo ritardo (come notato su Twitter dall’ex ministro del bilancio Giancarlo Pagliarini) e la sua permanenza è stata breve, certamente a motivo di impegni più importanti. Tuttavia ci si domanda: che si ricava da un incontro in cui si parla soltanto e non si ascolta?

Si comincia dopo perché’ si aspetta il vice ministro Casero. Mettere la sveglia prima no?

— Giancarlo Pagliarini (@vecchiopaglia) 20 maggio 2013

Eppure di cose da ascoltare ve ne sono state parecchie: A partire dal nuovo millennio l’attrattività dell’Italia come meta di investimenti è calata molto, così come dimostrato dal bilancio tra nuove partecipazioni e dismissioni (pagina 11 del rapporto, disponibile qui o cliccando sull’immagine sotto).

Le interviste evidenziano le debolezze dell’Italia come luogo per fare investimenti: vanno dagli oneri fiscali all’efficienza della pubblica amministrazione, dalla lunghezza dei processi civili alla rigidità del mercato del lavoro. Una lamentela forse meno conosciuta al grande pubblico, però, è quella sulla scarsa protezione dei diritti intellettuali (marchi e brevetti). Gli aspetti positivi si concentrano sul lato delle risorse umane: l’Italia è ancora attrattiva per il livello del capitale umano e per la capacità di innovazione (Figura 3.2.1 nel rapporto).

Entrando nel merito delle interviste, l’88% dei top manager ritiene che il regime fiscale italiano costituisca uno svantaggio competitivo, e uno svantaggio forte per il 58%. Un dato ancora peggiore è che per l’85% dei manager intervistati l’efficienza e la competenza delle istituzioni pubbliche italiane rappresentano un forte svantaggio competitivo per il paese (Figura 3.2.2 nel rapporto).

Quali sono le aree dove l’Italia ha recentemente compiuto dei progressi? Per il 64% dei manager intervistati il riordino della finanza pubblica è il settore in cui Italia ha ottenuto progressi rilevanti. Si tratta della percentuale massima su 12 settori possibili, con la lotta all’evasione fiscale come seconda area di successo, ma a larga distanza: solo il 27% dei manager riscontra qui progressi rilevanti (Figura 3.2.4).

Dal punto di vista prettamente pratico: quali sono i campi in cui è necessario intervenire con maggiore urgenza per migliorare l’attrattività dell’Italia come meta di investimenti? Il 64% dei manager ritiene urgente la presenza di personale pubblico specializzato nell’agevolare i rapporti tra fisco e imprese, mentre il 58% attribuisce priorità alta alla creazione di uno sportello unico per pratiche burocratiche.

Non di soli dati vive l’uomo (ahimè) ma anche di interpretazioni. Il messaggio forse più forte lanciato durante l’incontro è quello di Pietro Guindani, presidente di Vodafone Italia e membro del Comitato per gli Investitori Esteri di Confindustria: l’equazione che spiega a livello di singola impresa gli investimenti diretti dall’estero in Italia è la stessa che spiega gli investimenti delle imprese italiane in Italia. Detto in altri termini: i fattori che ostacolano gli investimenti dall’estero sono gli stessi che ostacolano gli investimenti domestici, con buona pace della crescita economica e della creazione di posti di lavoro.

Dato che siamo in vena di statistiche, ci si può chiedere quale percentuale dei parlamentari italiani – interrogati sul tema degli “investimenti”– pensi immediatamente agli investimenti pubblici, senza che il concetto di investimenti privati nemmeno passi per l’anticamera del cervello. E un’ultima statistica si può fare in forma di elenco: Rodotà, Landini, Cofferati, Vendola, Orfini, Civati, Barca, Nerozzi, Vita, Mineo, Cuperlo. Sono solo alcuni dei politici presenti alla manifestazione Fiom di sabato scorso. Tutte le cautele sono d’obbligo, perché è una manifestazione avvenuta a Roma, l’altro è un convegno a Milano, ma la questione resta: i politici italiani prestano attenzione agli investimenti privati, oppure hanno solo in testa una mega macchina di investimenti pubblici?

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