Né Lega Né Grillo, il Nord non sa più per chi votare

Treviso, Vicenza e Brescia. C’era una volta la pedemontana forzaleghista

Forse è uno di quei momenti in cui si può dire che un’epoca politica è davvero tramontata. Almeno fra Brescia e Treviso, dove, lungo l’asse strategico dell’economia italiana, fino a cinque anni fa la partita politica si giocava ancora sulla questione settentrionale. L’esito di questa tornata amministrativa al Nord, piegato dalla recessione economica, ha un significato inequivocabile: il populismo, sia forzaleghista sia di matrice grillina non intercetta più consensi. Il voto nordista e/o di protesta anti-casta non paga più. I candidati del M5S, a soli tre mesi dal primato ottenuto alle politiche, fanno flop e non superano la soglia del 7%, e quindi non riescono a salire a bordo di un treno che pensavano di guidare, mentre i leghisti, dilaniati dai loro scontri interni e boicottati dal fuoco amico del Pdl che, come la Lega non convince più gli elettori, devono affrontare un’ulteriore sconfitta elettorale che avrà ripercussioni nazionali, sebbene quelle appena votate siano elezioni amministrative e perciò condizionate dalle politiche locali. 

Il risultato più clamoroso è certamente quello di Vicenza. Achille Variati, sindaco uscente del Pd, è riuscito a vincere al primo turno, nonostante il forte astensionismo che ha allontanato dalle urne il 20% di elettori, come nel resto d’Italia. E viene riconfermato con il 53,4% dei voti. Nella città simbolo del popolo delle partite Iva, feudo della piccola impresa che non riesce più ad essere competitiva, la Liga veneta invece rischia di vanificarsi. Dal 15% di consensi ottenuti nel 2008, il suo bacino elettorale si riduce ulteriormente: la lista della Liga veneta ha conservato solo il 4,52%, perdendo quasi 10 punti, mentre la lista civica della candidata leghista, Manuela Dal Lago “Libera dagli schemi”, si è liberata più che altro da se stessa: non è riuscita ad andare oltre il 11,7%. “Risultato straordinario”, ha commentato il sindaco democrat, allievo di Mariano Rumor, sorpreso da un esito anche per lui inaspettato, visto che, nonostante 4 cittadini su 10 non siano andati a votare, lui ha ottenuto un plebiscito. E ancora più voti del 2008, quando raggiunse il 50,4%. L’unico sindaco, delle tre città capoluogo settentrionali, ad essere riconfermato al primo turno. Lo si poteva intuire già poche ore dopo la chiusura delle urne , quando i cittadini, rispondendo a un giocoso concorso on line sul sito de Il Giornale Di Vicenza per cercare di indovinare il vincitore, avevano quasi tutti riposto nello stesso modo: Variati al primo turno. Infatti Manuela Dal Lago si è complimentata con il sindaco riconfermato a metà dello spoglio, dopo 62 sezioni scrutinate su 112, e poi, affranta, ha commentato: «Non si capisce perché i cittadini dovrebbero votarci», mentre la sfidante grillina, Liliana Zaltron, rimasta al 6,5%, ha detto: “È stata persa un’occasione per un cambiamento».

E così Achille Variati, che nel 2008 aveva vinto cavalcando la protesta popolare contro al base americana Dal Molin, ora può dire «Con me Vicenza diventerà una città europea», mentre gli avversari dei leghisti hanno brindato perché a Vicenza la Liga veneta si è ripiegata oltre il suo minimo storico. Anche grazie al voto disgiunto degli elettori del Pdl, che hanno boicottato la candidata leghista, per vendicarsi dello stesso trattamento subito alle scorse elezioni quando il candidato era Lia Sartori, del Pdl. Veti incrociati che poco hanno a che vedere con le politiche locali, e rivelano la fine di un’alleanza ormai logorata, fra Lega e Pdl, che non è più capace di rappresentare il Nord. Variati, supporter del sindaco di Firenze, Matteo Renzi, è riuscito a convincere l’elettorato moderato vicentino, in un passato ormai remoto base sociale del berlusconismo, a concedergli la propria fiducia. Il candidato del Pd è stato promosso al primo turno perché il suo mandato è stato apprezzato soprattutto per la gestione tempestiva dell’alluvione nel 2010 e perché è riuscito a convincere ciò che rimane del popolo delle partite Iva di essere una garanzia anche per artigiani e piccoli imprenditori, che sperano di poter rialzare la testa. Alle ragioni di natura locale, si aggiungono però considerazioni, vincolate alla politica nazionale. I grillini fanno flop e i candidati democrat di fede renziana avanzano probabilmente perché, davanti alla crisi, i cittadini hanno espresso un desiderio di rinnovamento, ma non radicale.

E infatti anche a Treviso, dopo vent’anni di dominio incontrastabile, la roccaforte potrebbe essere espugnata. Il candidato leghista, l’ex sindaco sceriffo Giancarlo Gentilini, in cerca di una terza incoronazione, rimane fermo al 34,9% , ma la sconfitta non è tanto la sua, quanto quella dei partiti che lo hanno sostenuto: la Liga veneta ha perso quasi 7 punti rispetto al 2008, mentre il Pdl, frantumato e diviso, è passato addirittura dal 13% al 5,24%. Genty, come lo chiamano familiarmente i trevigiani, ieri se l’è presa con i comunisti, ma anche con Bossi e Berlusconi. E ha dichiarato «le colpe dei padri non ricadranno su Gentilini», visto che spera di vincere al secondo turno (per inciso: lui da solo ha preso il 20%, la stessa percentuale di consensi ottenuti dal suo predecessore Gian Paolo Gobbo). Lo sceriffo andrà al ballottaggio con il candidato democrat, praticamente sconosciuto, il giovane e anche lui renziano Giovanni Manildo, che riesce a raggiungere il 42,5% dei consensi. Anche per lui vale lo stesso ragionamento, però: il suo partito, il Pd, non avanza, anzi. Nel 2008 il Pd aveva preso il 27% contro il 23% di questa votazione, ma riesce a farsi strada grazie al sostegno di diverse liste civiche ed è stato favorito dalla frantumazione del centrodestra, che ha gettato nell’arena comunale altri due candidati del Pdl, Beppe Mauro, montiano, di Fare Treviso Futura, e l’imprenditore del caffè Segafredo, Massimo Zanetti, che ha sottratto al Pdl il 10,4% . Certo, al ballottaggio potrebbe vincere ancora Gentilini, se si allea con Massimo Zanetti, ma per la prima volta la Lega rischia di perdere la sua ultima roccaforte. Con effetti devastanti per il Carroccio, che in Veneto già guarda spaventato alle elezioni regionali del 2015. E forse ora deve ripensare la sua controversa e litigiosa alleanza con il Pdl, che ha subito una sconfitta, forse irreversibile.

Nonostante l’astensionismo, però, i trevigiani hanno espresso un desiderio di cambiamento, anche generazionale che guarda al centrosinistra moderato. Una richiesta di cambiamento che non si esprime più, come si ipotizzava solo tre mesi fa, alle elezioni politiche, attraverso il voto di protesta per il M5S. Anche a Treviso i cittadini hanno voltato le spalle ai grillini, che non oltrepassano il 6,8%. La crisi morde e la paura del futuro induce gli elettori ad allontanarsi dai populismi, che non pagano più.

Anche a Brescia, dove la candidata del M5S, Laura Gamba si ferma al 7,3%, l’offerta politica del centrodestra non convince più. Adriano Paroli, sindaco uscente, ciellino, sostenuto dal centrodestra si ferma al 38%, esattamente come il suo competitor del Pd, Emilio Del Bono, che alle scorse elezioni amministrative aveva perso al primo turno con il 35,7%. Probabilmente il ballottaggio verrà vinto dal candidato democrat, ex parlamentare dell’Ulivo, che potrebbe apparentarsi con alcuni dei candidati civici che provengono dal centrosinistra, come Laura Castelletti, ex socialista, che ha ottenuto quasi il 7%. Paroli, che ha parlato ieri di un “astensionismo preoccupante” paga il prezzo di una crisi, che ha ridotto la produzione industriale nella provincia bresciana del 25% in cinque anni e sconta anche una serie di errori di politica economica, sociale e ambientale, che ha allontanato il 20% dei bresciani dalle urne. Del Bono ha affermato «C’è voglia di cambiamento», anche se nei suoi confronti appare piuttosto timido e la partita rimane aperta fino al ballottaggio. Così si ripete ciò che è successo un mese fa in Friuli Venezia Giulia, dove la candidata democrat, anche lei ora renziana, Debora Serracchiani, è riuscita a strappare la Regione al centrodestra per duemila voti ( e ieri infatti ha dichiarato: «Ricominciamo a vedere la luce»). Allora sembrò un caso, quasi un miracolo per il centrosinistra, sfiancato dalla pessima perfomance durante le elezioni del presidente della Repubblica. Ora, forse, la sua vittoria sembra avere una logica. Il centrodestra viene punito dall’astensionismo, i grillini non rappresentano una valida alternativa, mentre il centrosinistra, seppur fiaccato, avanza. Un’epoca si chiude, quassù al Nord, ma gli elettori non mostrano alcuna fiducia nei partiti e votano soprattutto liste civiche. Perciò la domanda lecita è la seguente: se si chiude l’epoca dei populismi settentrionalisti (mentre quella anticasta ha perso la battaglia in partenza), se ne apre un’altra? Quale?

Twitter: @GiudiciCristina
 

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