In quest’Italia crociana, in cui l’unica scuola degna di questo nome sembra sia il liceo classico, la matematica viene guardata di traverso, un po’ come la donna baffuta o il vitello a due teste dei circhi fine Ottocento. Ministri dell’istruzione umanisti ne abbiamo avuti a iosa, scienziati… Ce n’è una giusto adesso.
La punizione dell’oblio colpisce di conseguenza anche i matematici, se poi sono geni del Rinascimento, gente che viveva negli stessi giorni di Raffaello o Michelangelo; beh, che si facciano da parte. È il caso di Luca Pacioli, per esempio. Genio matematico, amico di Leonardo da Vinci: è lui a stampare il primo libro con i solidi leonardeschi e con l’uomo vitruviano che abbiamo sulla moneta da un euro (De divina proportione), è lui a pubblicare il libro (Summa de arithmetica) che farà da miccia all’esplosiva diffusione della partita doppia. E non si tratta, sia chiaro, solo una noiosissima faccenda da ragionieri, ma come ha scritto il tedesco Werner Sombart, l’aedo del capitalismo, il «sistema in partita doppia avrebbe avuto per lo sviluppo dell’economia aziendale l’importanza che il sistema di Copernico ebbe nell’astronomia».
Molto probabilmente, è proprio Luca Pacioli il matematico immortalato da Erasmo da Rotterdam – l’aveva conosciuto a Venezia – nell’Elogio della pazzia: «Per mezzo di triangoli, quadrati, circoli e simili figure matematiche, sovrapposte le une alle altre e confuse a mo’ di labirinto e poi con lettere schierate a battaglia e poi ripetute or in un ordine or in un altro, spargono tenebre negli occhi degli ignoranti».
Pacioli nasce a Borgo Sansepolcro, vicino ad Arezzo, negli stessi anni in cui proprio lì viene alla luce anche un celeberrimo artista rinascimentale: Piero della Francesca. I due si conoscono e si frequentano e passerà solo una cinquantina d’anni prima che Giorgio Vasari nelle sue Vite accusi il matematico di ingratitudine verso il pittore, nonché di essersi comportato con lui «non come grato e fedele discepolo, ma come empio e maligno nimico».
Il dato certo, però, è che lo spirito del Rinascimento ha salvato Sansepolcro dalla distruzione, durante la Seconda guerra mondiale. Quando il comandante di una batteria dell’VIII armata britannica, il capitano Anthony Clarke, un appassionato d’arte, si rende conto che i suoi cannoni stanno bombardando la città che ospita l’affresco della Resurrezione di Piero della Francesca, dà ordine di sospendere il fuoco.
Pacioli all’età 19 anni viene spedito a Venezia per prendere lezioni di matematica da Domenico Bragadin, al tempo un divo dei numeri che insegna nel ginnasio di Rialto. Ma il giovane toscano non può permettersi di fare il figlio di papà e quindi per mantenersi va a fare il precettore a casa di Antonio de’ Rompiasi, un ricchissimo mercante di pellicce che abita nell’isola della Giudecca. Lì prende confidenza con quello che chiamerà “modo di Vinegia”, ovvero la partita doppia con il dare e avere su pagine contrapposte.
La sua opera – come d’altra parte il nome Summa indica – costituisce una sorta di enciclopedia del sapere matematico del Rinascimento. È il primo libro volgare stampato in Europa che parli dell’algebra e quindi segni il distacco dell’algebra dall’abaco – l’abaco è la matematica a uso del mercante, una specie di matematica finanziaria dell’epoca – e diventa per un secolo il più testo più diffuso in Italia e quello su cui si formano intere generazioni di matematici e contabili.
L’autore scrive in volgare e usa i numeri arabi, tanto per sottolineare che il suo è un prodotto mass market (sempre in relazione al XVI secolo) e non un libro in latino riservato ai dotti. Riesce nell’intento, infatti la Summa diventa una specie di best seller scientifico e influenzerà alla grande la letteratura contabile del Cinquecento. Grazie a Pacioli e al suo libro stampato a Venezia, ovunque sia nata (i genovesi la vogliono genovese, i fiorentini toscana), la partita doppia viene conosciuta come “modo di Vinegia” e “modo italiano” una volta che avrà passato le Alpi.
Il francescano diventa tanto famoso da meritarsi un ritratto, onore riservato a pochi. Il quadro, che ce lo mostra circondato da solidi geometrici e mentre compulsa Euclide, è stato dipinto nel 1495, presumibilmente da Jacopo de’ Barbari (l’attribuzione è contestata), a Venezia. Oggi il dipinto è conservato a Napoli, nel Museo di Capodimonte
Luca Pacioli era un appassionato di scacchi, si sapeva che aveva scritto una manuale sul gioco che però sembrava fosse stato perduto. Invece è riemerso dalle nebbie della storia molto di recente, nel 2006, grazie a quell’insieme di caso e conoscenze che spesso costituiscono gli ingredienti fondamentali per effettuare una scoperta. L’ha ritrovato Duilio Contin, originario di Palmanova, in provincia di Udine, nonché bibliotecario della Fondazione Luca Pacioli, a Borgo Sansepolcro. Era a Gorizia per esaminare il fondo della biblioteca Coronini Cronberg, conferito all’Archivio di stato. Gli viene sotto gli occhi un trattatello manoscritto di scacchi, ma Contin conosce benissimo la grafia di Luca Pacioli e quindi è in grado di identificare con certezza il libretto: si tratta senza ombra di dubbio del De ludo scachorum, scritto nel 1500 in onore di Isabella d’Este Gonzaga, appassionata giocatrice di scacchi, mente il frate matematico si trovava a Mantova, alla corte della duchessa. Il manuale riporta gli schemi di 114 incontri, 27 dei quali giocati con le nuove regole “a la rabiosa” che poi sono quelle ancora oggi in uso, con la regina in grado di muoversi sulla scacchiera in ogni direzione.
Nella corte mantovana, negli stessi giorni, si trovava anche un altro appassionato di scacchi, amicissimo di Pacioli e pure lui ammirato dalla duchessa Isabella, ovvero Leonardo da Vinci. È certo, in base agli studi grafologici condotti sull’operina, che la mano che ha disegnato i pezzi delle scacchiere è diversa da quella – di Luca Pacioli – che ha scritto i testi esplicativi. E allora, vuoi vedere che a fare quei disegnini è stato proprio messer Leonardo? Tesi non provata, ma nemmeno del tutto improbabile.