Pd e Pdl, la carica dei siciliani a Roma

Spediti al governo per risolvere problemi di equilibrio in Sicilia

C’è parecchia Sicilia fra i sottosegretari del governo di Enrico Letta. Quattro sottosegretari di peso sono stati assegnati a uomini siciliani di centrodestra e centrosinistra. E «non è un caso», fanno notare nei palazzi del potere. Perché se da un lato il governo centrale guarda con interesse al prossimo appuntamento elettorale, le amministrative di maggio e giugno, dove in Sicilia si voterà in quattro capoluoghi di provincia tra cui Catania e Messina, dall’altro i sottosegretari isolani rappresentano un segnale rivolto ai siciliani in chiave anti Movimento Cinque Stelle. Il partito di Grillo naviga infatti in doppia cifra nella terra che un tempo fu roccaforte democristiana e durante la Seconda Repubblica fece raggiungere percentuali bulgare al Cavaliere di Arcore. Ma nell’ultimo anno lo scenario è cambiato, e alle recenti politiche dello scorso 24 e 25 febbraio il M5s è stato il primo partito sfiorando addirittura il 35%.

Tuttavia, assicurano a Linkiesta, nel caso dei siciliani all’interno del governo Letta ha prevalso sopratutto la logica delle correnti sia nel caso Pd che in quello del Pdl. Non è un caso che i due sottosegretari in quota Pdl siano proprio Simona Vicari (Sviluppo economico) e Giuseppe Castiglione (politiche agricole). In Sicilia il partito di Berlusconi è comandato dall’ex Presidente del Senato Renato Schifani, e dal vice Presidente del Consiglio Angelino Alfano.

Vicari, già sindaco di Cefalù, e nelle precedente legislatura senatore della Repubblica, si è distinta come relatrice della finanziaria targata Mario Monti. E nell’ultimo anno è stata protagonista di apparizioni televisive in talk show. Ma i maligni vogliono che “Simona” sia lì in quota Schifani. «È una creatura di Renato. È stato lui a lanciarla sindaco di Cefalù», sbotta un ex dirigente di Forza Italia. Del resto «Renato c’ha provato in tutti i modi a diventare ministro, ma le prime linee sono state messe da parte, e così ha voluto puntare sulla sua creatura».

Mentre Castiglione, genero del plenipotenziario di Bronte l’ex senatore Pino Firrarello, è in quota Alfano. In realtà l’ex presidente della provincia di Catania, è considerato fra i più competenti in materia di politiche agricole, essendo già stato assessore regionale all’agricoltura e uno componenti della commissione agricoltura all’Europarlamento. Ma il tratto distintivo del suo curriculum è quello di relatore della riforma Pac (Politica Agricola Comunitaria). Tant’è che da più parti mormorano che «Castiglione sarà il vero ministro dell’Agricoltura» essendo Nunzia De Girolamo, titolare del dicastero, alla prima esperienza. Invece rumors catanesi leggono la nomina di Castiglione in chiave amministrative. Raccontano che nelle ultime settimane “Peppuzzo”, lo chiamano così, avrebbe manifestato più di un malumore sulla candidatura a sindaco di Catania dell’uscente Raffaele Stancanelli, e Castiglione avrebbe addirittura minacciato di non sostenerlo e di voler far convergere il pacchetto di voti «di famiglia» sul centrosinistra.

Sul fronte centrosinistra si segnala la nomina di Giuseppe Beretta come sottosegretario alla Giustizia. Un «bravo ragazzo», avvocato, alla seconda legislatura a Montecitorio. Beretta ha sempre militato a sinistra, essendo uno dei prodotti politici della tradizione Pci-Pds-Ds-Pd della città di Catania. E, secondo quanto riferiscono a Linkiesta, sarebbe in stretto contatto con Anna Finocchiaro, e di certo ascolterà «i consigli di Annuzza». Tuttavia anche in questo caso la nomina di Beretta non è affatto casuale. L’avvocato catenese avrebbe voluto prendere parte alle primarie per la selezione del candidato sindaco di centrosinistra del capoluogo di provincia siciliano. Già lo scorso inverno passeggiando per le vie della città di Catania era possibile ammirare i manifesti elettorali che rappresentano il viso di Beretta con scritto: «Giuseppe Beretta candidato sindaco di Catania». Ma le primarie sono saltate perché i vertici locali del Pd avrebbero preferito puntare su un evergreen come Enzo Bianco, sindaco di Catania negli anni della primavera. Beretta ha minacciato di far saltare, facendo sapere a mezzo stampa che non avrebbe mai sostenuto e votato l’avversario Bianco, e il Pd catanese è stato addirittura commissariato. Ecco perché i maligni mormorano che la nomina di Beretta rappresenti un modo per rintuzzare le ire dell’allievo dell’avvocato cassazionista Adriana Laudani.

Discorso a parte merita il caso Micciché. Il protagonista della stagione del “61 a zero”, che una volta si autodefinì «più berlusconiano di Berlusconi», non è stato eletto alle recenti politiche, ma grazie alla percentuale di Grande Sud è riuscito a far ottenere il premio di maggioranza al Senato al Cavaliere in una regione chiave come la Sicilia. E non importa che in occasione delle regionali dello scorso ottobre abbia fatto perdere il “destro” Nello Musumeci, sostenuto dal Pdl. Del resto Berlusconi aveva proposto lui come candidato in Sicilia : «Gianfranco è il mio candidato ideale a governare la Sicilia». E se non sarà “governatore”, sarà il suo sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con delega alla pubblica amministrazione.  

@GiuseppeFalci 

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