Si è riaperto il cantiere delle pensioni. L’obiettivo? Irrobustire i risultati raggiunti dalla riforma Fornero in termini di controllo della spesa e, nel contempo, inserire flessibilità nelle scelte di pensionamento all’interno di un intervallo di età agganciato alla dinamica della vita attesa. Sarebbe forse più corretto dire “reinserire”, perché questa era l’impostazione della riforma Dini del 1995, poi modificata dallo scalone Maroni-Tremonti del 2004, dagli scalini Prodi del 2007, e infine dalla riforma Fornero dell’anno scorso.
Data l’urgenza di contenere le spese nell’immediato, queste tre riforme hanno innalzato i requisiti di età e anzianità, con tutte le polemiche e gli scontenti che sono conseguiti e che conosciamo bene, di fatto eliminando (o riducendo in maniera significativa) la flessibilità in uscita. Ma una soluzione che consente ancora flessibilità ci sarebbe: qui di seguito si propone un metodo di correzione degli importi delle pensioni a seconda dell’età di pensionamento.
Fra l’altro, tali correzioni, se riferite alle pensioni già in decorrenza, gettano luce sul grado di generosità con cui sono state concesse. Spesso, infatti, sentiamo parlare di iniquità, ma troppo poco spesso si parla del concetto di equità attuariale, in base alla quale ciascun contribuente dovrebbe ricevere una pensione commisurata ai contributi versati. Oggi, molte pensioni in erogazione, specialmente quelle dei cosiddetti “baby pensionati” hanno un rendimento implicito elevatissimo se confrontato a quello delle pensioni cui avranno accesso i giovani. La proposta che si descrive consentirebbe anche di richiedere un contributo maggiore a chi in passato ha già ricevuto molto, aiutando a ristabilire l’equilibrio fra generazioni.
La tabella qui sotto presenta l’andamento della vita attesa degli uomini dal 1975 al 2010. La penultima riga della tabella ricostruisce, per ogni anno, quale sarebbe l’età “giusta” (pivot) per il pensionamento partendo da un livello fissato oggi a 65 anni e andando a ritroso di 3 mesi ogni 3 anni (secondo la regola che nei prossimi mesi dovrebbe essere applicata per guidare l’aggancio all’aspettativa di vita), l’ultima riga indica invece l’anzianità pivot.
I pivot sono fondamentali perché sono i punti di riferimento che consentono il cosiddetto pensionamento flessibile: le pensioni possono essere “corrette” a seconda della distanza dal pivot (ovvero si può scegliere di andare in pensione prima dell’età o dell’anzianità pivot ma accettando una riduzione dell’assegno pensionistico).
Non solo; i livelli pivot consentono di definire un ordine di grandezza di quanto le pensioni già erogate differiscono dall’importo che sarebbe “giusto” se fossero stati rispettati.
L’esigenza di adeguare gli assegni a seconda dell’età o dell’anzianità di pensionamento si pone per le pensioni calcolate col criterio retributivo e per le quote retributive delle pensioni calcolate col criterio misto (retributivo-contributivo). Le pensioni interamente contributive, invece, godono già della proprietà di commisurare i benefici alla storia contributiva e alla vita attesa. Queste pensioni sono state introdotte nel 1995 assieme al pensionamento flessibile, e sono pronte per il suo pieno reinserimento.
DUE ESEMPI:
Per chiarire il funzionamento di questo metodo, di seguito si riportano due esempi, uno di un lavoratore che vuole andare in pensione oggi, ma che non ha i requisiti di età e anzianità richiesti dalla riforma Fornero, l’altro che ricalcola la pensione “giusta” di un lavoratore che è andato in pensione prima dell’introduzione del sistema contributivo.
1) Si prenda un lavoratore di 60 anni compiuti che voglia andare in pensione nel 2013 con una anzianità di 35 anni (si tratta di una pensione mista). Con le regole attuali il pensionamento non sarebbe possibile. Si potrebbe, tuttavia, permetterlo, ma a patto di correggere al ribasso la pensione di una percentuale che eguagli:
– il valore attuale della pensione ad importo corretto su un numero di anni pari alla vita attesa a 60 anni
– al valore attuale pensione ad importo pieno su un numero di anni pari alla vita attesa all’età pivot.
Di fatto, così facendo, si consente flessibilità, ma a condizione che la “ricchezza pensionistica” non vari rispetto a quella cui si avrebbe accesso rispettando il pivot:
Nel 2013 la vita attesa a 60 anni è pari a 22,37 anni; per ipotesi l’età pivotale è pari a 65 anni, e la vita attesa a 65 anni è pari a 18,3 anni.
Per uguagliare i due valori attesi è necessario scegliere un tasso di sconto. In coerenza con quanto avviene per la trasformazione in rendita della parte contributiva della pensione, si utilizza il tasso dell’1,5%, che dovrebbe cogliere la crescita media del Pil nel periodo di erogazione della rendita. Questo parametro – che adesso appare ottimistico ma che va valutato su archi temporali lunghi (18-20 anni) – necessita manutenzione periodica affinché rispecchi il più possibile le prospettive di crescita del sistema economico.
Alla luce di tutto ciò, per andare in pensione a 60 anni compiuti, invece che a 65, il lavoratore dovrebbe accettare una riduzione dell’assegno di poco meno del 16%. Se nel 2013 l’età del lavoratore fosse stata di 62 anni, la penalizzazione sarebbe stata di poco più del 10%.
2) Nel caso delle pensioni già erogate si consideri un lavoratore andato in pensione nel 1990 all’età di 55 anni compiuti e con 30 anni di contributi. Si tratta di un caso di pensione retributiva calcolata con le regole precedenti le riforme pensionistiche degli anni ’90.
Nel 1990 la vita attesa a 55 anni era pari a 22,49 anni, per costruzione a ritroso l’età pivotale, nel 1990 era di 62,7 anni, e la vita attesa a quell’età sarebbe stata di 16,87 anni. Anche in questo caso utilizziamo un tasso di sconto del 1,5% (dal 1990 ad oggi questo il tasso è rappresentativo della dinamica media del Pil).
A conti fatti quindi, questa pensione avrebbe dovuto essere più bassa di circa il 24%, un taglio elevato, che si spiega con i circa 7 anni in più di pensionamento rispetto allo scenario pivot.
Ovviamente, è irrealistico pensare che si possa chiedere la restituzione del maggior importo lungo tutto il periodo di pensionamento, compreso quello già decorso. La riflessione che questa proposta deve stimolare riguarda piuttosto l’opportunità di chiedere alle pensioni più alte di concorrere a sostenere i sacrifici imposti dalla crisi.
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