Rotelli dice sì all’aumento Rcs, con i soldi di Intesa

La ristrutturazione dell’editore del Corriere della Sera

A fianco del salotto nella ricapitalizzazione, ma non con i suoi soldi. Secondo quanto risulta a Linkiesta, Giuseppe Rotelli – primo azionista fuori patto di Rcs, società editrice del Corriere della Sera e della Gazzetta dello Sport – potrebbe partecipare all’aumento di capitale della compagnia. La modalità di cui sta studiando la fattibilità potrebbe essere da una parte un finanziamento targato Intesa Sanpaolo verso Rotelli, dall’altra un conferimento di una parte del pacchetto azionario dell’imprenditore nel campo della sanità privata all’istituto di credito. Il tutto si dovrebbe accompagnare anche ad un ricambio della struttura manageriale. 

Ca de’ Sass diventerebbe così un’azionista forte sia all’interno del patto di sindacato sia fuori, essendo al contempo il principale creditore di Rcs (con un’esposizione pari a 300 milioni di euro) e parte del consorzio di garanzia dell’operazione. L’ipotesi potrebbe essere sul tavolo della riunione del patto, prevista per lunedì prossimo, ed è frutto di una vicinanza di vedute tra l’imprenditore attivo nella sanità privata e il presidente del consiglio di sorveglianza di Intesa, Giovanni Bazoli.

Sarebbe questa dunque l’agognata quadratura del cerchio, che giustifica l’ottimismo di Enrico Cucchiani, consigliere delegato di Intesa Sanpaolo, il quale a margine del convegno organizzato a Bagnaia (Si) dall’Osservatorio permanente giovani editori ha affermato: «Penso che l’aumento di capitale andrà in porto». E dire che soltanto ieri, citando il governatore della Banca d’Italia Guido Carli, proprio Cucchiani aveva osservato come le banche non debbano entrare nell’editoria. Fiducioso anche l’altro socio di peso, John Elkann: «Sarei molto sorpreso se per egoismo, per interessi personali o per calcolo volessero bocciare le proposte e di fatto mettere in una situazione di grandissima difficoltà una delle istituzioni più importanti del nostro paese» ha detto il presidente della Fiat.

Sempre lunedì i soci sindacati dovranno stabilire chi prenderà il posto di Giampiero Pesenti, presidente del patto per nove anni, dimessosi la scorsa settimana. Con ogni probabilità l’interim fino al closing dell’operazione sarà gestito da Francesco Merloni, nonostante l’uscita del figlio Paolo dal board in polemica con le condizioni della ricapitalizzazione, e la conseguente mancata partecipazione. Nel pomeriggio di venerdì 24 maggio Carlo Pesenti, figlio di Giampiero, ha invece spiegato che la famiglia, azionista parte del patto al 7,4%, si prenderà tutto il tempo necessario per una decisione saggia. Specificando: «Se sosterremo l’aumento sarà solo in funzione dei numeri e tanti numeri devono essere ancora definiti e individuati».

All’incontro dei Giovani editori Federico Ghizzoni, amministratore delegato di Unicredit, istituto esposto per 110 milioni di euro su Rcs, ha cercato di gettare acqua sul fuoco della rinegoziazione relativa alle condizioni di rimborso dei prestiti bancari, una volta chiuso l’aumento di capitale. «I colleghi stanno lavorando insieme alle altre banche», ha chiarito il manager piacentino, aggiungendo: «Non mi sembra che ci siano particolari criticità». Ghizzoni ha parlato di «clima costruttivo» e di assenza di «tensioni particolari». L’ad di Unicredit ha poi rassicurato, a nome dell’istituto: «A noi non interessa entrare nell’editoria».

Insomma, quella di venerdì 24 maggio è stata una giornata insolitamente ricca di esternazioni da parte di chi è abituato a parlare poco e tessere molto. Attualmente all’interno del patto di sindacato, gli aderenti sono Fiat, Intesa Sanpaolo, Mediobanca, Mittel, Edison, Pirelli, Unipol-Fonsai, Eridano Finanziaria (Gruppo Bertazzoni), ovvero il 43% del capitale sociale. Le Generali, titolari del 3,7%, non parteciperanno all’aumento, ma un voto non in linea con Mediobanca, loro principale azionista e socio al 13% di Rcs, all’assemblea del 30 maggio sembra difficile. Dal punto di vista finanziario, il 91% dell’aumento di capitale è garantito dal consorzio composto da Banca Imi, Centrobanca, Bnp-Paribas, Mediobanca e Banca Akros, che si sono impegnati a dare garanzie per 166 milioni. Nelle scorse settimane, a garanzia della buona riuscita dell’operazione le banche creditrici avrebbero oltretutto imposto un lock-up ai pattisti di sei mesi.

Con il possibile coinvolgimento di Rotelli a fianco di Intesa il fronte che si oppone all’aumento di capitale perderebbe la sua capacità di bloccare l’operazione, a meno che qualcuno in questi giorni non abbia fatto incetta di titoli e sia salito nell’azionariato. Per fermare l’aumento di capitale da 400 milioni serve infatti il voto contrario dei due terzi del capitale presente. Ovvero il 50-60% del capitale, considerando una partecipazione tra l’80 e il 90 per cento all’assise. Il patto parasociale aggrega il 58% del capitale, ma nello statuto non sono previste indicazioni di voto esplicite per l’assemblea. Se Rotelli, Della Valle, i Pesenti, i Merloni e i Benetton avessero votato no, si sarebbe arrivati al 40% del capitale. Senza Rotelli, la bocciatura dell’aumento diventa una mission quasi impossible.

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