«Se fossi Enrico Letta tasserei prima le rendite finanziarie, anche retroattivamente, e poi abbasserei le tasse sul lavoro, l’Irap in primis, per rimettere in piedi le imprese. Se un dipendente prende 100 euro in busta paga e all’imprenditore costa 200, evidentemente c’è qualcosa che non va. E allora dove vuole che vada? Qualcuno è andato in Bangladesh, ad esempio». Va dritto al punto Giorgio Merletti, presidente della Confartigianato, nel commentare le scarse decisioni del consiglio dei ministri odierno. A Linkiesta Merletti dice: «Ogni anno l’Inail avanza da commercio e artigianato 1 miliardo di euro, che finisce nel calderone. Io chiedo di finalizzarlo a ciò che serve davvero, come abbassare il costo del lavoro. È dal 2003 che se ne parla, e nel frattempo si sono volatilizzati 10 miliardi di euro».
Scambierebbe il taglio dell’Imu con quello dell’Irap?
L’Irap è una tassa antipatica, ma finanzia il sistema sanitario. Noi abbiamo chiesto di alzare la franchigia in modo che chi svolge attività industriali o manifatturiere paghi solamente oltre una certa cifra, in modo da esentare le imprese di minori dimensioni. Toglierla del tutto sarebbe conveniente ma farebbe anche il gioco di banche, assicurazioni e grosse società di capitale. Se mi assicurassero che l’Imu rimanesse sul territorio e se servisse a finanziare un alleggerimento del peso del fisco sul lavoro e l’impresa, allora forse sarei contento di pagarla. Però mi lasci specificare una contraddizione.
Dica.
La questione Imu sui capannoni è iniqua per un semplice motivo: secondo i nostri calcoli pe via dell’Imu le imprese pagheranno complessivamente nel 2013 470 milioni in più di tasse, a fronte di una loro diminuzione del 4,7% nel giro di dodici mesi. L’onere grava sulle spalle di quei pochi che sopravvivono alla crisi. C’è chi classifica i capannoni come beni strumentali, ma non lo sono, è il tornio un bene che produce reddito e tasse, non il capannone che oltretutto i furbi affittano rivalendosi della maggiorazione Imu sull’affittuario.
Il decreto sui pagamenti a 30 giorni della Pa, introdotto a inizio anno, ha sortito qualche effetto?
Guardi, le nostre aziende vantano i crediti maggiori nei confronti delle imprese più grandi e dei Comuni. Le prime continuano a rinegoziare i contratti allungando le scadenze, i secondi non possono pagare, pur avendo i soldi in cassa, per non sforare il patto di stabilità. Oltretutto gli accantonamenti dei Comuni sono confluiti in un unico fondo nazionale, allontanandosi ancora una volta dal territorio dove sono prodotti.
Cosa chiedono gli artigiani a Letta?
Riforme. Il che non significa cambiare il porcellum con un’altra legge simile, ma leggi che diano una spinta al Paese, come fece a suo tempo la Germania di Schröder. Bisogna tassare la rendita, la rendita finanziaria, recuperare e tassare pesantemente chi porta i soldi all’estero, eliminando i condoni. Soltanto in Italia nei medesimi giorni in cui la magistratura mette ai domiciliari una ventina di persone per lo scandalo Sistri, viene approvata una norma che prevede l’obbligatorietà, da ottobre, del sistema di certificazione dei rifiuti. Poi avrei una serie di domande da sottoporre al governo: com’è che paghiamo ancora le tasse per il terremoto di Messina di inizio ’900? E come mai ci sono grandi imprese del made in Italy che si oppongono alla tracciabilità del prodotto?