Per il commissario europeo alla Tassazione, Algirdas Semeta, sarà il vertice in cui i leader dovranno «sostenere con tutto il loro peso politico la lotta all’evasione fiscale a livello Ue». Alta in agenda è in effetti proprio la questione dell’evasione fiscale che, insieme all’elusione, secondo la Commissione Europea, sottrae in totale nell’Ue qualcosa come 1.000 miliardi di euro l’anno agli stati. Soldi preziosi soprattutto in tempi di crisi. A parole, sono tutti d’accordo. Nei fatti però, tanto per cambiare, si registrano le solite divisioni e spaccature. E il vertice difficilmente resterà negli annali.
La divisione riguarda già la famosa riforma della direttiva sul risparmio. Direttiva che, nello stato attuale, prevede che gli stati membri attuino una politica di scambio automatico di informazioni sugli interessi bancari percepiti da cittadini residenti in altri paesi dell’Unione. Finora solo due paesi – i due ex paradisi fiscali Austria e Lussemburgo – hanno avuto un’opzione transitoria, ossia prelevare alla fonte una tassa del 35% sugli interessi bancari senza fornire informazioni agli stati di origine dei beneficiati.
Con la riforma della direttiva – avanzata già nel 2008 – decadrebbe questa opzione e, più in generale, la Commissione vuole togliere una serie di lacune che lasciano spazio a scappatoie, ad esempio includendo tra i soggetti su cui si devono fornire informazioni automatiche, oltre alle persone fisiche, anche quelle che si celano dietro trust e fondazioni. Austria e Lussemburgo hanno finalmente dato il via libera al mandato negoziale alla Commissione per trattare con la Svizzera, il Liechtenstein, Andorra, San Marino e il Principato di Monaco un aggiornamento del trattato fiscale vigente (basato sulla direttiva), ma continuano a bloccare, come da cinque anni a questa parte, la riforma della direttiva stessa. La speranza è che i leader riescano a ottenere quel che i ministri delle Finanze non sono riusciti a fare lo scorso 14 maggio all’Ecofin.
Non è probabile che ci riescano. Nonostante le pressioni, i due paesi (soprattutto il Lussemburgo, che pure ha già accettato il passaggio allo scambio automatico di informazioni al posto del prelievo alla fonte) puntano i piedi. La cosa più divertente è che Vienna e il Granducato legano il via libera alla modifica della direttiva all’esito del negoziato con la Svizzera e con gli altri quattro paradisi fiscali. Eppure proprio il negoziato deve portare a un nuovo accordo, fondato proprio sulla nuova direttiva. Un cane che si morde la coda.
Un’Europa che non riesce neppure a trovare un’intesa su una modifica a una direttiva destinata ad arginare la piaga dell’evasione non dà certo un bel segnale. E a leggere la bozza delle conclusioni del summit, di cui chi scrive ha copia, non c’è da stare particolarmente allegri. Si parla genericamente di «accelerare il lavoro» al fine di «estendere lo scambio di informazioni automatiche a livello Ue per coprire un’ampia gamma di reddito» (la Commissione punta a includere anche proventi da hedge fund, dividendi, capital gains, royalties, dunque non solo interessi bancari). Si parla di una «forte posizione coordinata» nel quadro di negoziati con G8 e G20 per più ampi standard.
Tra le poche cose concrete, la richiesta di adottare entro luglio prossimo «le misure per contrastare le frodi Iva». Per il resto è, come si dice in gergo, pura fuffa: si parla di «lavoro» da «attuare» sul fronte della cosiddetta «pianificazione fiscale aggressiva» (tradotto: elusione fiscale da parte di grande società tramite trucchi fiscali formalmente legali) e si chiede l’adozione «entro l’anno» della terza direttiva Ue contro il riciclaggio del denaro sporco. Non a caso, la bozza rinvia al summit del dicembre 2013 per «fare il punto su tutte queste questioni».
Traduciamo: un vertice da cui – salvo un’improbabile svolta sulla riforma della direttiva – a parte chiacchiere e solenni proclami, non avverrà nulla di concreto sulla questione, pur cruciale, della lotta all’evasione fiscale a livello Ue. E già, perché ormai, si sa, soprattutto con la Commissione guidata da José Manuel Barroso, probabilmente la più debole, insignificante e subordinata ai governi (soprattutto alcuni) che l’Ue ricordi, gli stati sempre più ricorrono a soluzioni intergovernative, che scavalcano alla grande Bruxelles, per la gioia dei britannici.
Già è stato il caso del famoso Patto fiscale, e rischia di essere così anche per la lotta all’evasione fiscale. Certo è che sta letteralmente dilagando l’iniziativa lanciata in chiave bilaterale da Italia, Spagna, Francia, Germania e Gran Bretagna per un «progetto pilota» con scambi automatici molto più vasti di quelli previsti dalla direttiva (sia la vecchia, sia quella riformata a venire), sul modello del Fatca (Foreign Account Tax Compliance Act) degli Usa, che impone agli Stati esteri di segnalare al fisco di Washington tutti i conti detenuti nelle proprie banche da cittadini americani.
Ebbene, al momento, altri 11 paesi si sono aggiunti: per la precisione Belgio, Repubblica Ceca, Irlanda, Olanda, Polonia, Portogallo, Romania, Slovacchia, Danimarca, Finlandia e Svezia. I 16 hanno pubblicato proprio nel giorno dell’Ecofin, il 14 maggio, un comunicato in cui ribadiscono la volontà di andare avanti con l’accordo pilota, ed esortano gli altri stati Ue ad aderire. Se il numero crescerà, a quel punto la direttiva diverrà obsoleta -– e così pure il negoziato con la Svizzera e gli altri 4 paradisi fiscali europei.
Starebbe bene ad Austria e Lussemburgo, che si risparmierebbero di dover attivare lo scambio automatico di informazioni. E soprattutto a Londra, che sempre più aborre qualsiasi normativa che coinvolga l’odiata Bruxelles e coglie ogni occasione per favorire il metodo intergovernativo al posto del comunitario. Il commissario Semeta si sgola che la Commissione farà una proposta che recepisce tutte queste cose, ma a livello Ue. A parole, nella bozza del summit i leader la incoraggiano a «fare proposte» in tal senso. Dove soffia il vento, però, sembra già chiaro: lotta all’evasione sì, ma senza l’Ue.