Tassare la prostituzione: un atto di equità e giustizia

Come chiede con forza Efe Bal da Santoro

Forse davvero è il caso, nel paese della prostituzione intellettuale, e della prostituzione politica diffusa, di tessere un elogio della Equi-prostituta laboriosa, che non vuole pagare più le multe, ma che vuole pagare le tasse. La prostituta “Equa”, dunque: non perché magnanima nelle tariffe, ma perché spera nella possibilità di poter contribuire al fisco, e considera questo passaggio un momento della sua crescita civile. Equa perché questa tipo di prostituta – una di loro Efe Bal, transessuale e scrittrice, l’abbiamo vista ieri ruggire di orgoglio a Servizio Pubblico – è davvero l’unica lavoratrice italiana che considera non grave essere oggetto delle attenzioni di Equitalia, perché immagina che la sua emersione dal nero non rappresenti un’angheria, ma un riconoscimento di status.

Ed è davvero curioso che, nel tempo della crisi che ci ha reso poveri, spietati e feroci, la politica risponda ad un problema vero con un riflesso condizionato obsoleto, e pensi di potersi permettere ancora il lusso di essere ancora pregiudiziale, ideologica e bacchettona. I politici fino ad oggi si sono illusi di poter ripetere – sia a destra che a sinistra – noi non ne vogliamo nemmeno discutere, perché questo ci imbarazza, ci fa perdere consensi, ci rovina l’immagine. Per cui nemmeno se ne dibatte, proprio nell’unico paese al mondo in cui un parlamentare – ricordate il celebre caso di Cosimo Mele? – ha compromesso la fama di una prostituta con cui ha passato una notte (mentre di solito in tutti gli altri passi accade il contrario).

Vorrei ricordare che secondo le stime di un seriosissimo studio del Dipartimento delle Pari opportunità, in Italia esistono nove milioni di clienti del sesso mercenario. E che secondo la commissione Affari sociali della Camera, le prostitute nel nostro paese costituiscono un piccolo esercito: da 50 a 70mila (senza contare in questo inventario la prostituzione maschile). Ancora oggi, malgrado le aspirazioni della legge Carfagna il 65% delle prostitute lavora in strada, il 29,1% in albergo, il resto in case private. Il volume di affari, dicono calcoli induttivi ma attendibili (sono ponderati per difetto) stimano un settore il cui fatturato si aggira intorno a 25 miliardi. La legge Merlin che chiuse le case chiuse per combattere lo sfruttamento delle donne risale al 1958: era un altro secolo, era un’altra Italia.

Eppure, piaccia o meno, la legge non impedisce di vendere il proprio corpo. Ecco perché a distanza di mezzo secolo, trovare nuove forme di regolamentazione è un dovere. Regolamentare, oggi, vuol dire anche poter combattere lo sfruttamento meglio di prima. E significherebbe soprattutto (come in Germania) produrre un enorme gettito, garanzie sanitarie e previdenziali per chi fa questo lavoro. Sarebbe bello investire in opere sociali gli introiti delle aliquote sessuali, inventare un welfare erotico, e festeggiare, nel paese degli evasori che vivono da parassiti, il senso etico delle Equi-prostitute che vogliono contribuire alla salvezza dello stato sociale.  

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