Treviso dopo vent’anni di Lega è ancora senza fogne

Si ripresenta ancora una volta lo sceriffo Gentilini

Il 26-27 maggio al Nord si voterà in 95 comuni lombardi, 50 piemontesi, 47 veneti, 18 liguri, ma sono solo tre le città da sempre considerate centri nevralgici dell’economia italiana, che andranno alle urne : Brescia, Vicenza e Treviso. Non saranno però elezioni all’insegna del cambiamento. A cinque anni dall’inizio della crisi, i candidati, eccetto per i “grilli”, come vengono chiamati ormai con lessico familiare i militanti del M5s, sono sempre gli stessi o quasi. Sindaci uscenti in cerca di una riconferma, candidati trombati alle scorse amministrative che cercano di rientrare in gioco, oligarchie che hanno monopolizzato la politica, senza dimostrare di essere all’altezza delle sfide globali e di dare risposte tempestive alla crisi economica. Vecchi arnesi della politica, che non scaldano i cuori e sono fonte di angoscia per i sondaggisti. In città, che in passato state l’emblema del benessere, dell’innovazione, dell’ascesa sociale e del made in Italy imprenditoriale, ora invece plasmate da cinque anni di crisi economica, da radicali mutamenti sociali e anche da una nuova geografia dell’anima, che rende i cittadini smarriti, esasperati, col cuore gonfio di pericoloso rancore. Indifferenti alla campagna elettorale e combattivi (ogni tanto) ma solo nella lotta anti-casta.

Treviso – «Le fogne». «Come le fogne?» «Sì le fogne, se privatizziamo le società partecipate, riusciamo a racimolare un tesoretto di 30 milioni di euro per ampliare le fogne, la fibra ottica, la banda larga, creare le piste ciclabili. Non lo sapeva che a Treviso la rete fognaria funziona solo per il 34% degli abitanti e il resto finisce tutto nel fiume Sile? Secondo la classifica Legambiente a stare peggio di noi ci sono solo gli abitanti di Catania e di Benevento».

A svelare questo pubblico segreto, di cui non si trova traccia nel dibattito elettorale è il candidato sindaco di Fare Treviso Futura: Beppe Mauro, ex assessore alle Attività Produttive del Comune, in rotta di collisione con la Lega, ha voltato le spalle al Pdl e ha accettato di rappresentare lo schieramento montiano. Anche se non si presenta con il simbolo di Scelta Civica perché nel frattempo si è messo di traverso Enrico Renosto, che ha usato il simbolo di Mario Monti per sostenere un altro aspirante sindaco del Pdl, Massimo Zanetti. Obbligando il senatore Andrea Olivero, coordinatore nazionale dello schieramento montiano, a vietare l’uso del simbolo di un partito, che non è ancora nato. E così Beppe Mauro corre con una lista che si chiama Fare futuro Treviso, che evoca la fondazione di LCdM, Luca Cordero di Montezemolo da cui è partita l’avventura dell’ex premier Mario Monti in Veneto, dopo l’alleanza fra gli ex esponenti del Pdl di Italia Futura e i fuoriusciti del Pd di Verso Nord, guidato da Diego Bottacin. Un piccolo esempio della frantumazione del centrodestra nella marca trevigiana, che dimostra fino a che punto si è spinta la crisi della politica insieme a quella dell’economia.

Insomma, per farla breve, nella città considerata un gioiello della storia dell’arte, epicentro di quello che fu l’Eldorado del miracolo economico, dopo vent’anni di dominio leghista, ci sono i porfidi, i canali, le aiuole fiorite, canali, affreschi, chiese e cappelle di straordinario valore architettonico, strade e marciapiedi perfetti, ma non ci sono le fogne. E in un quartiere manca pure l’acquedotto. In compenso il presidente ultra-ottuagenario di quella che è stata la cassaforte della città, la fondazione Cassamarca, Dino De Poli, nemico giurato della Lega del sindaco uscente di Gianpaolo Gobbo, è riuscito a portare a termine un’operazione immobiliare, che i trevigiani chiamano in modo dispregiativo la «Mona rossa» : la Cittadella delle Istituzioni. Un complesso edilizio rosso e opprimente, progettato fuori dalle mura del centro storico dall’architetto Mario Botta, che ha fatto infuriare la maggior parte dei cittadini e dei commercianti perché nella piazza centrale delle Istituzioni, evviva la fantasia, sono state trasferite la Questura, le sedi di Unindustria Treviso e di Confartigianato della marca trevigiana. Lasciando il centro storico in balia della sindrome «Vendesi, affittasi, vendesi» di esercizi commerciali defunti. Anche se poi i comizi o i confronti elettorali si fanno nella piazza dei Signori, resa famosa dal regista Pietro Germi, dove non arrivano mai più di cento cittadini ad ascoltare i confronti fra i candidati.

È qui che è partito il tour «Tutti a casa» di Beppe Grillo dedicato alle città del Nord (altre tappe Vicenza e Brescia) nella speranza di rianimare la rabbia anti-casta. La posta in gioco in queste elezioni trevigiane è solo una: riuscire a spezzare la dinastia leghista. Che potrebbe essere conservata solo se Genty, come chiamano tutti l’ex sindaco sceriffo di Treviso Giancarlo Gentilini, riuscirà a essere rieletto per la terza volta. Contro la volontà di un pezzo della Liga veneta, che fa riferimento al sindaco uscente Giampaolo Gobbo e al governatore Luca Zaia, e contro la volontà di un pezzo del Pdl, sostenuto dall’ex ministro Maurizio Sacconi, che invece hanno voluto sostenere l’imprenditore del caffè Segafredo Massimo Zanetti (inizialmente lo voleva anche il segretario federale della Lega Nord, Roberto Maroni). Anche se poi Gianpaolo Gobbo si è adeguato (capolista della lista leghista a sostegno di Gentilini). Consapevole che, se la Liga veneta perde la sua roccaforte trevigiana, il Carroccio sarà ulteriormente e forse irreversibilmente emarginato dal sistema politico.

Massimo Zanetti, anche lui sostenuto dal centrodestra, si presenta ai dibattiti elettorali distratto e apparentemente svagato, forse perché sa che la partita è già persa in partenza. E nella sua agenda elettorale aveva anche incluso la promessa clientelare di dare cento posti di lavoro nelle società municipalizzate (Alemanno docet), che poi ha tolto, quando qualcuno gli ha fatto notare che le campagne elettorali, soprattutto in un momento di grave esasperazione sociale ed economica, non si fanno offrendo un po’ di poltrone. Genty invece, che si è candidato, dopo essere passato nelle file della banda di Flavio Tosi, con una lista civica senza simboli né colori della Lega. E un manifesto elettorale bianco-azzurro, con il suo profilo disegnato con uno stile, che sembra ispirato a quello di Osvaldo Cavandoli, il disegnatore che creò il tratto de La Linea delle pentole Lagostina. «Cavandoli o Hitchcock?», si interrogava con sarcasmo Marco Bonet, un cronista del “Corriere Veneto” su Twitter, il giorno dopo la presentazione del manifesto personale di Genty, fatto in sprezzo a tutte le gerarchie leghiste.

Giancarlo Gentilini, 83 anni, ha un programma semplice: onestà, trasparenza, dedizione. E fa una campagna elettorale ancora più semplice: andare per le strade, nelle trattorie, al raduno degli Alpini, nei mercati, in qualche oratorio. Lui conta sulla sua popolarità, sulla sua singolare eresia che piace (o piaceva) anche a chi leghista non è mai stato. E conta di vincere, grazie alla sua eccentrica presenza fisica, il timbro di voce di un tono sempre più alto rispetto a quello dei suoi interlocutori, ma si fa notare soprattutto perché continua a litigare con l’establishment leghista, forse per dimostrare l’ indipendenza dal partito. E non si capisce se potrebbe farcela davvero, come temono gli altri candidati ( lo si intuisce dalla faccia che fanno quando parlano di Gentilini). O se siano tutti intimiditi dalla sua popolarità, che trascende le sue origini della Lega prima maniera.

L’élite economica trevigiana spera però nella vittoria del suo principale competitor del Pd: Giovanni Manildo, che rappresenta un rinnovamento soft e soprattutto, vista l’inesperienza politica, una presenza poco ingombrante. Avvocato della Treviso bene, 43 anni, faccia pulita, ex lupetto degli scout e cattolico. Con un’ idea in testa: trasformare il capoluogo della marca trevigiana in un’aerea metropolitana che guardi al futuro, attraverso il progetto della Smart City. Ossia ridisegnare la città secondo criteri tecnologi ed eco-sostenibili, per dare una spinta all’economia paralizzata della provincia. La stessa idea degli industriali, che aspirano a costruire la Smart City di marca trevigiana e sperano di riuscire a voltare pagina grazie a un moderatissimo centrosinistra, invece di affidarsi a un vecchio arnese della Lega, che ascolta la pancia in un momento in cui va usata la testa per evitare di inabissarsi ancora di più nella crisi economica.

«Con mille aziende in meno in un anno», come spiega a Linkiesta il presidente della Confartigianato della marca trevigiana, Mario Pozza, «e 4mila posti di lavoro persi», dice scuotendo la testa, mentre scorre sullo smartphone gli appelli disperati degli artigiani, che non sanno come pagare debiti, trovare crediti, tenere aperte le aziende e gli scrivono una sola frase: «Per favore, Mario, aiutaci!» E chissà se questi artigiani andranno ancora dietro le fanfare di Beppe Grillo, i sondaggisti lo escludono, anche se alle elezioni politiche, qui il M5s è diventato il secondo partito, con il 25% di voti. Il candidato è Alessandro Gnocchi, 37 anni, chimico industriale, e funzionario della Provincia di Treviso che si presenta col motto: “Siete in buone mani: le Vostre!”». E chissà se i trevigiani si faranno incantare ( secondo i sondaggi ci sarà un calo netto dei voti grillini) dal suo programma che è essenzialmente ambientalista; rifiuti, attività agricole, parchi urbani, orti condivisi, diffusione di prodotti locali, risparmio energetico ( ma nessun riferimento sulla rete fognaria, che già nel 2009 aveva indotto l’Unione Europea ad aprire una procedura d’infrazione per le acque reflue).

Sicuramente non si faranno ammaliare dalle luci, seppur vitali, della candidata di Indipendenza veneta, Alessia Bellon. Un’alternativa chic alla Lega, rappresentata da una quarantenne appassionata di jogging e motori, che fa campagna elettorale all’ora dell’aperitivo, dello spritz, dello struscio nel centro storico a Treviso, distribuendo volantini mentre corre, e sfoggia un collier comprato da Tiffany. «Se si arriva al ballottaggio, come tutti ipotizzano, ora Gentilini stacca Manildo solo con due punti di vantaggio, magari si recita un bel requiem della Liga veneta che non sa più intercettare i voti della marca trevigiana», spiega a Linkiesta un noto industriale.

Anche se i trevigiani fanno fatica a crederci, sono dubbiosi, financo timorosi di voltare pagina. E magari, a causa della frantumazione del centrodestra, potrebbe finire come in Friuli. Ossia che il centrosinistra vince per caso. Con un sindaco giovane, ma di successo, che vorrebbe incentivare l’agenda digitale, la green economy, i finanziamenti europei per aiutare le start-up, e conta molto sul desiderio della sua generazione di un rinnovamento di una città da troppo tempo arroccata su se stessa, ormai senza prospettiva. Anche se prima della green economy, Treviso, per essere smart, ha soprattutto bisogno di una cosa sola: sistemare le fogne, che le giunte leghiste hanno ricoperto col porfido. 

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