È in un clima sospeso, di inquietante surplace, che Silvio Berlusconi scenderà ancora una volta in piazza, venerdì al Colosseo, per sostenere la candidatura di Gianni Alemanno, mentre Enrico Letta, assieme al ministro delle Riforme Gaetano Quagliariello, organizzerà dopodomani un altro conclave, dopo quello di Spineto, un vertice stavolta allargato ai rappresentanti parlamentari di Pd, Pdl e Scelta Civica.
L’Italia politica si muove lenta, in una logica da eterno ritorno, settimana dopo settimana, gli stessi tic, il riavvolgersi di un identico nastro dentro una bolla trasparente che dà l’impressione di poter scoppiare da un momento all’altro. Il governo compie un mese e l’operazione delle larghe intese rimane fragile. Le riforme che dovevano essere annunciate la settimana scorsa saranno oggetto della discussione del nuovo vertice di maggioranza, mercoledì prossimo. Tra ambizioni eccessive, pigrizie e tatticismi, persino la legge elettorale appare un obiettivo complicatissimo da raggiungere, tanto che nessuno scommette sul conclave di mercoledì: è impossibile che i capigruppo di Pd, Pdl e Scelta civica si trovino d’accordo su come riformare una legge che tutti vorrebbero piegare ai loro immediati interessi elettorali.
Giorgio Napolitano osserva preoccupato i partiti e si muove con attiva circospezione, il presidente fa da scudo al governo e con Letta è stato molto chiaro: tira dritto, lascia stare le polemiche, ai partiti ci penso io. Per adesso il Quirinale fa da motore immobile ed esercita la ben nota persuasione morale sugli attori politici. Ma c’è una scadenza: l’estate. Napolitano attende il Consiglio d’Europa del 26 e 27 giugno, Letta spera di uscirne vincitore, di strappare alla Feld-marescialla Merkel concessioni e fondi europei anche grazie alla sponda francese di Francois Hollande. Ma dovesse andare male? A quel punto, in mancanza di riforme interne, sarà il vecchio Napolitano a intervenire. Rumorosamente.
Nel frattempo ciascuno fa il suo gioco. Il Cavaliere ha depotenziato la carica esplosiva delle sue uscite pubbliche, ha marcato un vistoso passo indietro sui temi esulceranti della giustizia e delle intercettazioni, mantiene un piglio da pacato uomo di stato (malgrado le sentenze in arrivo, Ruby è il 24 giugno), e sembra dunque intenzionato, almeno così si raffigura, ad assecondare di buon grado la tranquilla navigazione del governo. Eppure a Berlusconi continua a essere attributo ogni genere di retropensiero, lui non è mai unidimensionale, il Cavaliere di facce ne ha sempre almeno due.
Così nella sua corte eterogenea non sono pochi i falchi che, negli angoli più bui di Palazzo Grazioli, evocano lo spettro pauroso della tenaglia giudiziaria, del processo Ruby e della sentenza in Cassazione sul caso Mediaset, un meccanismo di morte pronto a scattare. Si chiedono: “Ma non è che le larghe intese servono solo a prendere tempo, a dare agio ai magistrati di fare fuori Berlusconi?”. Alcuni, come l’avvocato e onorevole Niccolò Ghedini, versano parole d’allarme nelle orecchie del Cavaliere sempre inquieto, mentre altri, nel chiuso del Castello, bellicosi finiscono con il disegnare una strategia della provocazione rivolta contro il Pd, una manovra studiata sulle debolezze del confuso partitone di centrosinistra: «A quelli dovremmo fargli saltare la mosca al naso», dicono. «Dobbiamo indurli a fare cadere loro il governo che non possiamo far cadere noi». Si tratta ancora di posizioni minoritarie, non pienamente autorizzate dal grande capo amletico, umori rancidi, secrezioni irrazionali, paure.
Ma quello della corte di Arcore è pure un mormorio insistente, liquido, che si infiltra sinuoso tra le crepe di un centrosinistra popolato da molti sabotatori pronti ad amplificare dall’interno la propaganda berlusconiana (avete presente l’esultanza del Cavaliere intorno alla sospensione dell’Imu e la reazione rabbiosa di una parte del Pd?). L’obiettivo dei rinfocolatori è di utilizzare la spavalderia di Berlusconi per liberarsi dal suo abbraccio incestuoso e fare ruzzolare via, lontano, anche Letta con il suo governo indigeribile. C’è chi davvero vuole far saltare le larghe intese usando – o facendosi usare? – dal Cavaliere. La settimana scorsa si è chiusa con il capogruppo Luigi Zanda che proponeva di votare l’ineleggibilità di Berlusconi, e sabato scorso la Fiom, che persegue un suo destabilizzante disegno strategico, ha contestato Letta perché troppo compromesso con il nemico di Arcore.
C’è chi a sinistra sogna ancora, e a dispetto della realtà o degli eventi più recenti, di poter accarezzare la barba di Beppe Grillo, di poter erigere con lui quel fantasioso governo del cambiamento che pure non è riuscito a Pier Luigi Bersani, un progetto che al vecchio segretario è anzi costato carissimo. E Grillo lascia intendere di avere capito tutto: «Vedrete, alla fine resteremo solo noi e il nano». Il Pd secondo lui farà il botto, boom, mille pezzi di Pd a far da cornice a un plebiscito elettorale tutto populista tra Berlusconi e Grillo. Matteo Renzi e gli altri ne sono consapevoli, vero?