Il ruolo delle piccole e medie imprese è cruciale per l’economia italiana: rappresentano circa il 99,4% delle imprese (fino a 50 dipendenti) e coprono circa l’80% della forza lavoro; queste imprese sono tra le più colpite dalla stretta del credito, proprio nel momento in cui questo diventa sempre più necessario. Non a caso anche la Bce e la Banca Europea degli Investimenti – ha dichiarato Mario Draghi nel comunicare il taglio dei tassi di interesse 25 punti base – si sono mobilitate al fine di trovare un meccanismo per fare arrivare credito alle piccole e medie imprese.
La situazione è davvero critica: secondo una recente pubblicazione dell’Ocse tra il 2010 ed il 2011 i tassi di interesse per le Pmi sono cresciuti di più di un punto percentuale. Non solo: già nel 2011 il credito alle Pmi era diminuito del 1,9% rispetto al 2010 contro un aumento del 6,6% tra il 2009 ed il 2010.
Nonostante un eventuale intervento a livello europeo sia più che auspicabile, da più parti vengono invocati a gran voce anche provvedimenti da parte dello Stato italiano. Tuttavia, non è semplice aggirare gli stringenti vincoli di bilancio pubblico: una possibile soluzione è la garanzia pubblica dei debiti delle Pmi.
Le garanzie pubbliche per l’accesso al credito sono una delle tante forme di aiuto alle imprese: in Italia, le imprese possono accedere a questo tipo di strumento sia attraverso consorzi volontari di imprese (confidi), volti a facilitare l’accesso dei loro membri al credito bancario abbassandone anche i costi, sia attraverso il fondo di Garanzia del Ministero dello Sviluppo Economico.
Nonostante l’ampia diffusione di tali misure, l’evidenza empirica sulla loro efficacia è ancora scarsa e i risultati sono spesso contrastanti. Un recente lavoro di Alessio d’Ignazio e Carlo Menon, pubblicato da Banca d’Italia, fa maggiore chiarezza sull’effetto di queste politiche, analizzando l’impatto di un programma di garanzia attuato in una delle maggiori regioni italiane a partire dal 2008. Il programma aveva una dotazione annuale di 20 milioni di euro e operava attraverso una banca convenzionata con la regione. In particolare, la banca procedeva, parallelamente alla Pubblica Amministrazione, alla valutazione del merito di credito dell’impresa richiedente e, in caso di esito favorevole, erogava il finanziamento. La garanzia regionale copriva fino all’80% delle perdite sostenute dalla banca in caso di fallimento dell’impresa.
I risultati dello studio suggeriscono che il programma ha avuto effetti sostanziali sulla sostenibilità finanziaria dell’impresa. In primo luogo, la presenza della garanzia pubblica ha ridotto il costo dell’accesso al credito bancario (anche se l’entità di questa riduzione è relativamente modesta – circa lo 0,5%). Inoltre, sebbene non sembrano esserci effetti sul volume totale del debito dell’impresa nei confronti delle banche, questo strumento ha favorito una ricomposizione dell’indebitamento delle imprese beneficiarie verso strumenti a più lunga scadenza. Questo è un risultato importante, dal momento che le Pmi italiane presentano una struttura del debito più sbilanciata verso la componente di breve periodo rispetto alle piccole imprese di altri paesi. Tuttavia, non sembrano emergere effetti apprezzabili sul fatturato e sugli investimenti delle imprese, che hanno mostrato un aumento significativo solo nel primo anno.
Questi risultati sono estremamente rilevanti in termini di policy e si aggiungono a quanto osservato da Salvatore Zecchini (Tor Vergata) e Marco Ventura (ISAE) in un articolo del 2009. Lo studio analizza l’effetto del Fondo di Garanzia, trovando che l’accesso alla garanzia del Fondo comporta una riduzione del costo per interessi di circa il 16-20% e un aumento del credito erogato di circa il 12,4%.
Alla luce dei risultati di questi lavori l’appeal di questo tipo di politica aumenta, soprattutto in un momento in cui si fa sempre più pressante la necessità di sostenere le Pmi minimizzando però l’impiego di risorse pubbliche: va infatti ricordato che questi schemi di garanzia non richiedono alcun esborso immediato dato che le risorse saranno utilizzate solo nel momento in cui l’impresa effettivamente non sia in grado di ripagare il debito.
Non mancano tuttavia le criticità (come sempre, nessun pasto è gratis). Dal lato delle banche, è possibile che la presenza di una garanzia le renda meno propense a monitorare il comportamento dell’azienda, favorendo possibili utilizzi “indebiti” dei fondi ricevuti. Non solo: le banche potrebbero essere indotte a ridurre i tentativi di recuperare il debito dall’impresa, approfittando della presenza della garanzia pubblica.
Un’altra possibile preoccupazione è che la presenza della garanzia non sia sufficiente ad attrarre le risorse del sistema bancario. La presenza di altri possibili investimenti, come i titoli del debito pubblico, potrebbero rendere sostanzialmente inutile questo intervento. Questi ultimi, in particolare, risultano estremamente attraenti sia perché possono essere facilmente scontati presso la Bce, sia per il fatto che le banche non potrebbero in ogni caso sopravvivere al default statale e quindi accumulare questi titoli non aumenta la rischiosità del loro bilancio. Inoltre, i rendimenti dei titoli di stato sono stati per alcuni mesi particolarmente attraenti. Le misure di controllo del deficit sembrano aver mitigato parte di queste preoccupazioni sia riducendo l’offerta di titoli sia riducendo il loro rendimento e facendo tornare allettanti altre forme di investimento. In ogni caso, questo tipo di problematiche rimangono sul tavolo.
Dal lato delle imprese invece la maggiore facilità di accesso al credito potrebbe indurle a intraprendere progetti più rischiosi, aumentando la loro probabilità di default. Inoltre, la presenza di questo strumento può consentire alle imprese meno produttive di rimanere sul mercato immobilizzando risorse che porterebbero essere utilizzate per aiutare la crescita delle imprese più produttive.
In ultimo, fra gli altri problemi di questo tipo di intervento vanno citate le possibili distorsioni politiche che potrebbero indirizzare i prestiti verso determinate imprese, indipendentemente dagli esiti delle valutazioni, nonché la possibilità che i prestiti vengano erogati ad aziende che non avrebbero avuto in ogni caso problemi di accesso al credito.
Si noti che gli strumenti per implementare rapidamente un intervento del genere sono già presenti nel quadro istituzionale italiano. Non si parte dal nulla. In particolare, il Fondo di Garanzia, istituito nel 2000, svolge già questa funzione ed il suo utilizzo è andato crescendo negli ultimi anni. In base ai rendiconti del fondo, se tra il 2000 ed il 2010 il totale erogato era stato di circa 13,362 miliardi, nel solo 2011 sono stati erogati 4,419 miliardi e un valore analogo è stato garantito nel 2012, per un totale di 8,2 miliardi di prestiti e 61.408 operazioni interessate.
I dati sembrano incoraggianti, ma queste cifre risultano largamente insufficienti per l’economia italiana. Infatti, gli 8,2 miliardi di prestiti rappresentano poco meno del 4% del totale dei prestiti alle piccole e medie imprese in base a dati Ocse (1). L’entità dell’intervento nel 2011 è comparabile a quello di Francia e Spagna, tuttavia si potrebbe sostenere che sia necessario aumentare le risorse per questo programma a fronte alle crescenti difficoltà riscontrate dal sistema produttivo italiano.
Grafico – Quota dei crediti alle Pmi garantiti dallo Stato
Nelle prossime settimane, il nuovo governo si troverà a dover affrontare una serie infinita di problematiche che affliggono il paese. I risultati brevemente presentati sembrano mostrare che supportare questo tipo di politica, aumentando i fondi a disposizione, potrebbe avere un effetto positivo sulle condizioni di credito delle Pmi, contribuendo a affrontare un problema che ormai non può più essere rimandato.
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