«Non ha mai vinto. La sua, è la gestione peggiore della storia partitica italiana. L’epilogo naturale sarebbe che lui si dimettesse». All’indomani della tornata elettorale delle amministrative e siciliana si riapre il “caso Alfano”. Si dimetterà da segretario politico del Pdl dopo la sonora sconfitta elettorale? Colui che si è innamorato di Silvio Berlusconi guardando la televisione, e per anni è stato considerato dal Cavaliere di Arcore l’eterna promessa del centrodestra, ha fallito tutte le competizioni elettorali da segretario politico del Pdl.
E oggi più che mai i “falchi” di via dell’Umiltà chiedono un passo indietro del delfino di Berlusconi: «Non riesce a vincere nella sua terra. In Sicilia abbiamo perso ovunque». Nell’isola il risultato del Pdl è preoccupante. Perché la Sicilia è la terra del “61 a zero”, storica performance datata 13 maggio 2001 quando alle elezioni politiche nazionali il centrodestra non fece toccar palla al centrosinistra, conquistando 61 collegi su 61. Di lì a poco il Pdl riuscì a scalare i principali capoluoghi dell’isola, da Palermo a Catania, passando per Siracusa, Trapani e Messina. Non c’era storia, nella terra che un tempo fu democristiana, e che si colorava inesorabilmente di azzurro. Forza Italia era radicata sul territorio, l’allora segretario regionale, il dirigente di Publitalia Gianfranco Micciché, «con tutti i limiti caratteriali» spiegano a Linkiesta «tirò sù centinaia e centinaia di circoli di Forza Italia». Al punto che Renato Schifani, all’epoca capogruppo al Senato di Fi, pensò a Micciché come coordinatore nazionale del partito: «Gianfranco ha dimostrato grandi ed indiscutibili capacità politiche ed organizzative».
Ma due prime donne non possono giocare nella stessa squadra. E le rivalità fra Micciché e il giovane Alfano hanno travalicato gli interessi del partito di Silvio Berlusconi. “Angelino” è puntiglioso, non sbaglia un colpo, una dichiarazione televisiva, è ormai il «preferito» del Cavaliere. Mentre “Gianfrà”, l’uomo del “61 a zero”, nonostante il curriculum d’eccezione, si autodefinisce «un battitore libero». «Genio e sregolatezza», così lo descrive chi lo conosce. È, allo stesso tempo, «più berlusconiano di Berlusconi», ma non sopporta che debba essere «rimproverato» da un lealista come “Angelino”.
Quando nasce il Pdl, e siamo nel dicembre del 2007, «il partito di Berlusconi in Sicilia» riferisce un ex dirigente regionale di Forza Italia «è già un partito spappolato in mille rivoli». Infatti dal 2005 il timone di FI nell’isola è in mano al giovane avvocato di Agrigento, figlio di un democristiano, e ultimo segretario provinciale dei giovani democristiani della città. Di certo un giovane «preparato, colto e di belle speranze» aggiungono alcuni insider di via dell’Umiltà, sede nazionale del Popolo della Libertà, ma distante dalle problematiche territoriali «perché già pronto a fare il salto di qualità nei palazzi della politica nazionale».
Ecco perché Forza Italia si riduce ai minimi termini, e diventa un partito diviso in faide e correnti. Tuttavia la nascita del Pdl e l’ennesimo colpo genio di Silvio Berlusconi, con la promessa del taglio dell’Ici, rintuzzano vizi prodotti dalla gestione Alfano, e la Sicilia torna a brillare di azzurro. «Nel 2008 non c’è stata storia perché il Cavaliere è sceso in campo mettendoci la faccia», spiega un ex parlamentare del Pdl. D’altronde se non fosse stato così le divisioni siciliane sarebbero emerse e avrebbero consentito al centrosinistra di spuntarla in una regione da sempre «moderata».
Il Cavaliere torna a Palazzo Chigi, e “Angelino” viene nominato Ministro della Giustizia, un ministero «importante» per il Cavaliere di Arcore da sempre aficionado ai temi della giustizia. Da via Arenula l’avvocato di Agrigento impartisce ordini e piazza i suoi uomini ai vertici della segretaria regionale. Ormai «Angelino sta a Roma», mormorano dal Pdl palermitano. Alfano continua a costruirsi un profilo da leader nazionale. E il Pdl siciliano si sfalda in due sottogruppi in Assemblea regionale. Gianfranco Micciché con 10 parlamentari eletti fra le file del Pdl lascia il partito e fonda un movimento dal profilo sudista, “Grande Sud”. E la separazione forza con Micciché ricalca quello che da lì a poco sarebbe successo con Gianfranco Fini a livello nazionale. «Non importa, la Sicilia è sempre dalla nostra parte. Chi voterà uno come Micciché?», si domandano ironicamente dallo staff di Alfano. Infatti la storia continua, e il Cavaliere rilancia il partito affidandolo proprio all’avvocato di Agrigento.
L’1 luglio del 2011 Angelino Alfano viene acclamato segretario politico nazionale al consiglio nazionale del Pdl. «Angelino devi essere tu a impegnare le tue giovani forze al servizio di tutti noi», profetizza il Cavaliere. Il discorso dell’avvocato di Agrigento disegna il nuovo Pdl che «dovrà essere il partito degli onesti e nel 2013 tornerà a vincere le urne». Gli applausi sono scroscianti, ma i mugugni aumentano giorno dopo giorno. Gli ex An non digeriscono la gestione Alfano, e nelle regioni del Sud a trazione berlusconiana il partito perde peso giorno dopo giorno.
Il primo test elettorale è rappresentato dalle amministrative siciliane del 2012. «Vediamo cosa riuscirà a fare», mormoravano in quei giorni amazzoni come Daniela Santanché. Alfano scende nell’isola per la campagna elettorale ma non tocca palla. Per la prima volta il centrodestra non arriva al ballottaggio, e si ferma su percentuali poco sopra il 10%. Un dato “preoccupante”, se si pensa che nel 2008 nel capoluogo siciliano il Pdl veleggiava intorno al 35 per cento. Ma non finisce qui. La storia si ripete anche nella «sua» Agrigento. Il candidato alfaniano non supera il primo turno, e il Pdl esce con le gambe a pezzi dalla tornatina elettorale.
Il cliché si ripete anche in occasione delle regionali dello scorso ottobre. Per la prima volta dopo più di dieci anni il centrodestra non elegge il governatore della Sicilia, e, sopratutto, il partito di Berlusconi conferma il trend delle amministrative di Palermo, superando di poco il 10 per cento. Ci si aspetta un gesto da parte dell’ex Ministro della Giustizia. Ma Alfano vuol provare a vincere le primarie. «Si celebreranno la seconda domenica di dicembre», ripete ai giornalisti. Ma non se ne farà nulla perché il Cavaliere deciderà di ri-scendere in campo. E dei gazebo non ci sarà traccia.
Alle politiche di febbraio il Pdl perde ancora consensi ma l’operazione berlusconiana di far tornare in coalizione Raffaele Lombardo e Gianfranco Micciché salva il salvibile. In Sicilia le percentuali crescono in virtù della presenza di Silvio Berlusconi, che in due giorni fa il giro dell’isola e occupa le piazze di Palermo e Catania. Una boccata d’ossigeno, ma dura poco. Perché la tornata elettorale siciliana accompagnata dal secondo turno nel resto del continente segna la fine del centrodestra. E, sopratutto, in Sicilia il Pdl scompare: non raggiunge il ballottaggio in capoluoghi di provincia come Messina, Catania, Ragusa e Siracusa. Un tempo proprio in quei capoluoghi avrebbe passeggiato e strappazzato il centrosinistra.
Oggi non c’è traccia di consensi e classe dirigente. Infatti, raccontano a Linkiesta «in realtà come Partinico, comune del palermitano superiore ai 1mila abitanti, e da sempre roccaforte del centrodestra, il Pdl si ferma al 3,5% e non entrerà in consiglio comunale». Un esempio che fa toccare con mano la crisi del centrodestra e del Pdl in una regione che un tempo regalava 61 seggi su 61. Ecco perché la domanda che circola con sempre più insistenza anche nell’isola è: quando si dimetterà Angelino Alfano da segretario del Pdl?
Tuttavia “Angelino” tira dritto. Spera che questo governo duri più a lungo possibile. «È la sua ultima chance», dicono alcuni. D’altronde, giurano a via dell’Umiltà, se Renzi dovesse essere il leader del centrosinistra il Cavaliere vorrebbe puntare su Alfio Marchini, «il volto giusto sul quale investire».
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