Un’organizzazione criminale segreta, simile alla massoneria. Con presunti esponenti della ‘ndrangheta e altri con un passato nella destra eversiva. Che sarebbe stata così inserita nelle istituzioni da ipotizzare la violazione della legge Anselmi, che all’articolo 1 recita:
Si considerano associazioni segrete, come tali vietate dall’art. 18 della Costituzione, quelle che, anche all’interno di associazioni palesi, occultando la loro esistenza ovvero tenendo segrete congiuntamente finalità e attività sociali ovvero rendendo sconosciuti, in tutto od in parte ed anche reciprocamente, i soci, svolgono attività diretta ad interferire sull’esercizio delle funzioni di organi costituzionali, di amministrazioni pubbliche, anche ad ordinamento autonomo, di enti pubblici anche economici, nonché di servizi pubblici essenziali di interesse nazionale
Grazie alla stessa legge, fu sciolta la loggia del venerabile Licio Gelli e i beni della P2 vennero confiscati. La procura di Reggio Calabria fa un altro passo avanti nelle indagini che coinvolgono l’ex tesoriere della Lega Nord Francesco Belsito e i suoi sodali Stefano Bonet, detto “lo shampato”, e Romolo Girardelli, conosciuto come “l’ammiraglio”.
L’inchiesta nata nel 2012 in seguito allo scandalo che ha riguardato il Carroccio e gli investimenti in Tanzania segnala le perquisizioni a tappeto della Direzione Investigativa Antimafia calabrese negli uffici degli indagati. Soprattutto in quell’ufficio di Bruno Mafrici nella centralissima via Durini a Milano, dove sarebbero stati soliti riunirsi politici, imprenditori e banchieri provenienti da Nord e da Sud. Proprio lì dove Belsito aveva un ufficio e dove lavorava Lino Guaglianone, ex appartenente dei Nuclei armati rivoluzionari, sarebbero state trovate carte molto utili ai fini dell’indagini che vedrebbero come burattinaio di tutta la vicenda la cosca calabrese dei Di Stefano.
La storia sta diventando sempre più scottante. Perché la Mgim di via Durini, a due passi dal Duomo, non è uno studio di diritto commerciale qualsiasi. Guaglianone, del resto, è sempre stato molto legato alla politica lombarda: candidato nelle file di Alleanza Nazionale di Ignazio La Russa poi consigliere d’amministrazione di Ferrovie Nord. Se a questo si aggiunge che l’inchiesta su Belsito nasce da un filone di quella relativa a Finmeccanica, cioè dalle dichiarazioni rese da Lorenzo Borgogni, l’ex responsabile delle relazioni esterne del colosso pubblico, si spiegherebbe il rischio che la presunta “cupola” avesse molto spazio all’interno delle istituzioni. Non fosse un gruppo di professionisti qualunque, ma aspirasse agli appalti di Expo 2015 e Finmeccanica. Del resto, “Tombolotto”, soprannome dell’ex tesoriere leghista, era diventato vicepresidente di Fincantieri e sottosegretario alla Semplificazione Normativa.
E infatti Bonet e Girardelli avrebbero approfittato di questo suo inserimento nelle maglie della politica. In particolare, quelle della Lega Nord di Umberto Bossi. Il sospetto dei magistrati è che, proprio attraverso le casse di via Bellerio (la sede del Carroccio) la cosca De Stefano riciclasse denaro sporco. Nel frattempo Roberto Maroni, il nuovo segretario leghista, ha preso le distanze dall’indagine, attaccando chi mette in relazione la Lega Nord con le indagini attuali. Eppure sarebbe partito tutto dai contributi pubblici che arrivavano nelle casse del movimento padano e venivano poi gestiti da Belsito. L’ex tesoriere è come una mina vagante e potrebbe essere presto interrogato anche dal pubblico ministero Eugenio Fusco per l’indagine che riguarda Finmeccanica.
Così tutto si intreccerebbe: politica, economia criminale, eversione e associazione segreta. Non è mai stato un mistero che il filone più imbarazzante e allo stesso più importante dell’intera inchiesta sulla Lega Nord fosse quello portato avanti a Reggio Calabria. Per farsi un’idea di come Milano e Reggio siano “vicine” è sufficiente guardare all’inchiesta “Breakfast” del pubblico ministero reggino Giuseppe Lombardo e il decreto di scioglimento del comune di Reggio Calabria per infiltrazioni della ‘ndrangheta.
I nomi e le società ricorrono da una e dall’altra parte e gli intrecci si snodano sovente con gli interesse del potente clan della ‘ndrangheta dei De Stefano. Il cuore delle operazioni sarebbe lo studio milanese del consulente legale e sedicente avvocato Bruno Mafrici nella dorata via Durini. Così si scopre che lì hanno sede legale società in cui compare come socio o amministratore Pasquale “Lino” Guaglianone, ex-militante dei Nuclei Armati Rivoluzionari (NAR), condannato, nel 1992, dalla quarta Corte d’Assise di Milano per associazione sovversiva e partecipazione a banda armata e sedutosi poi su poltrone dei consigli di amministrazione di Ferrovie Nord Milano e Fiera Congressi Milano. Nella giornata del 25 giugno gli investigatori hanno perquisito anche la palestra milanese di Guaglianone, uno che tentò vanamente anche il salto in politica, portato in palmo di mano da Ignazio La Russa in persona «ci interessa dare posti a quella destra più a destra di noi». Secondo il pm Giuseppe Lombardo e Francesco Curcio della Direzione Nazionale Antimafia le indagini proverebbero la caratteristica di segretezza della presunta associazione fra professionisti e imprenditori in odore di ‘ndrangheta, tanto da rientrare nella fattispecie prevista dalla Legge Anselmi.
«La gestione delle operazioni politiche ed economiche» scrivono i pm per spiegare la contestazione dell’associazione segreta «ha consentito alle persone sottoposte ad indagini di divenire il terminale di un complesso sistema criminale, in parte di natura occulta, destinato inoltre
- ad acquisire e gestire informazioni riservate, che venivano fornite da numerosi soggetti in corso di individuazione, collegati anche ad apparati istituzionali e canalizzate a favore degli altri componenti della ramificata organizzazione;
- a consentire il proficuo utilizzo delle notizie riservate al fine di dare concreta attuazione al già esposto ed articolato programma criminoso della associazione per delinquere oggetto di contestazione, i cui componenti risultano portatori di interessi specifici tra loro concatenati;
- a gestire una struttura imprenditoriale, prevalentemente impegnata in operazioni ad alta redditività nel campo immobiliare e finanziario, destinata al riciclaggio e reimpiego di risorse economiche di provenienza delittuosa riconducibili ad ambienti criminali legati alla cosca De Stefano».
Nella mattinata di martedì 25 giugno gli uomini della Direzione Investigativa Antimafia hanno effettuato perquisizioni tra Reggio Calabria, Milano e Genova, e il primo punto che il decreto di perquisizione ha voluto fissare è stato proprio quello sulla componente segreta all’interno dell’associazione criminale.
Sono almeno due i campi di interesse: «quello economico e finanziario, nel cui ambito si pianificano complesse attività di riciclaggio e reimpiego di capitali di provenienza illecita e di controllo delle attività imprenditoriali», riferibili alla cosca De Stefano, il cui tramite sarebbe stato Paolo Martino, espressione dello stesso clan in Lombardia. In seconda battuta, stando a quanto riportato nel decreto di perquisizione l’associazione avrebbe agito anche in campo «politico ed istituzionale, nei quali le relazioni personali, tra cui quella con Belsito Francesco, vengono sfruttate al fine di consolidare ed implementare la capacità di penetrazione e di condizionamento mafioso».
Ed ecco che poi i pm, sulla scorta del lavoro investigativo arrivano ad elencare nomi, cognomi e società di quella «struttura criminale, connotata da segretezza, nella quale operano, fra gli altri con ruoli organizzativi», personaggi che, come si diceva in precedenza entrano ed escono dalle società che sarebbero infiltrate dalla ‘ndrangheta e oggetto delle indagini dell’antimafia.
Vi sono i “noti professionisti” Mafrici e Guaglianone di cui già si è scritto e Giorgio Laurendi, amministratore unico della società Milasl e subentrato a Guaglianone nel ruolo. Milasl è una delle società citate nel decreto di scioglimento del comune di Reggio Calabria, con sede in via Durini 14 a Milano e perquisita dal personale della Direzione investigativa Antimafia. Lo stesso Laurendi detiene il 20% dello studio Mgim e figura insieme a un altro degli indagati, Michelangelo Tibaldi, nella compagine di Multiservizi, società partecipata al 51% dal comune di Reggio Calabria, sciolta per mafia alcuni mesi fa per infiltrazioni della cosca Tegano.
E lo studio di via Durini sarebbe continuato ad essere snodo, come notavano i commissari inviati dall’allora ministro dell’Interno Cancellieri a Reggio Calabria: «non può non evidenziarsi la convergenza di una serie di interessi societari all’indirizzo di Milano, via Durini n.14 ovvero non può non rilevarsi lo stretto collegamento tra il Tibaldi Michelangelo Maria e i nominati Mafrici Bruno Giovanni, Guaglianone Pasquale e Laurendi Giorgio».
L’elenco degli indagati non è finito, perché il pm Giuseppe Lombardo vuole approfondire anche la posizione di Giuseppe Sergi, ex consigliere comunale e tra i fedelissimi del presidente della Regione Calabria Giuseppe Scopelliti. E agli atti non mancano le intercettazioni tra lo stesso Sergi e il solito Bruno Mafrici. Gli uomini della Dia hanno bussato anche alle porte del bancario Ivan Pedrazzoli e dell’investigatore privato genovese Angelo Viola, (colui che aveva redatto il dossier su Roberto Maroni, incaricato da Belsito).
Sono poi due conti correnti che maggiormente hanno attirato in questa indagine l’attenzione degli inquirenti: uno presso Banca Aletti, e un altro presso la Banca Popolare di Novara. Qui probabilmente si troverebbe il canale per ripulire fondi, tra cui alcuni milioni di euro che sarebbero riconducibili proprio alla cosca De Stefano. Altre perquisizioni sono state effettuate nelle società dei fratelli Mucciola e di Pietro Cozzupoli, al momento non ancora iscritti nel registro degli indagati (molto dipenderà dall’esito delle perquisizioni), anch’essi soci privato all’interno della Multiservizi.
Perquisizioni, quelle di questa mattina, volte soprattutto a portare in Procura file e memorie informatiche, che già un anno fa diedero impulso fondamentale alle indagini proprio dall’ ufficio Mgim di via Durini 14. Gli inquirenti sono convinti che ci siano tutti gli elementi per dimostrare l’esistenza di questa organizzazione criminale occulta e che Belsito sia stato un lasciapassare per «operazioni politiche ed economiche che hanno consentito alle persone sottoposte ad indagini di divenire il terminale di un complesso sistema criminale di natura occulta».
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