Catania, Bianco ci riprova nella roccaforte del Pdl

Si vota anche a Catania, ultimo fortino berlusconiano

C’era una volta la “Milano del sud”. Erano gli anni sessanta e la metropoli della Sicilia orientale, Catania, era stata ribattezzata così. Erano gli anni dell’espansione edilizia, gli anni dello sviluppo industriale della città ai piedi dell’Etna. Anni gloriosi per la città che ha dato i natali al primo vero andreottiano di stirpe siciliana, quell’Antonino Drago, più volte sottosegretario, e anche sindaco e Presidente della Provincia di Catania. Anni gloriosi anche gli ottanta e i novanta con la stagione della primavera dei sindaci ad incoronare l’avvocato Enzo Bianco, cresciuto alla scuola di Bruno Visentini, Ugo La Malfa e Giovanni Spadolini, poi Ministro dell’Interno con Massimo D’Alema e Giuliano Amato.

Ma Catania è anche la città «più nera» dell’isola, come dimostrano le percentuali prima del Movimento Sociale Italiano, e poi di Alleanza Nazionale, che qui veleggiava a doppia cifra. «Una città di destra», ripetono ancora oggi in via Etnea i cittadini. «Ricordo ancora il 13 giugno del 1971, alle regionali il Msi raccolse il 16% dei consensi», spiega un vecchio camerata. Insomma Catania è una città che «non voterebbe mai per un comunista», e lo ha dimostrato nel 2008 quando “Annuzza” Finocchiaro, catanese doc e figlia dell’alta borghesia del capoluogo, si candidò alla presidenza della Regione. «Finocchiaro, chi?», rispondono i cittadini. Perché «chidda viene qui solo a dormire», sbottano. In città il Pd è diviso in faide, ed è stato recentemente commissariato a causa delle dimissioni del segretario provinciale Luca Spataro, che non ha condiviso la decisione dei democratici di non svolgere le primarie per la selezione del sindaco. E anche il sottosegretario alla giustizia Giuseppe Beretta risponde con distacco sulla ri-discesa in campo di Bianco: «Sosterrò il partito». Punto. 

Tuttavia il capoluogo ai piedi dell’Etna, pur di non eleggere «un comunista» – si chiami Mario Libertini, Giovanni Burtone, o Claudio Fava – si rifugia per anni nel berlusconismo più ortodosso. Elegge per ben due volte il medico di fiducia del Cavaliere di Arcore, ci riferiamo a Umberto Scapagnini. E dopo due stagioni di disastri economici prodotti dalla sua giunta, insiste sull’esperienza berlusconiana, promuovendo a sindaco un pdiellino di ferro come Raffaele Stancanelli. Uno che oggi, nonostante la regione abbia virato a sinistra con l’elezione di Rosario Crocetta, ci riprova e crede nella rielezione fra un paio di giorni: «Io ho messo in sicurezza i conti anche attraverso la riduzione del personale, il taglio degli stipendi del personale politico, la dieta delle società partecipate». Semplice. Del resto, sussura uno degli uomini vicini al sindaco uscente usando un espressione che rende l’idea: «Stancanelli ha mangiato pane e cipolla perché la città era sull’orlo del dissesto».

A Catania l’armata berlusconiana, questa volta senza Berlusconi – «il Cavaliere non è potuto scendere, preferisce non interferire, avrebbe potuto danneggiare il governo Letta» – è forte del sostegno dell’ultimo re di Catania, l’uomo di Ramacca, l’ex presidente della regione Sicilia, «l’uomo politico più politico più potente dopo Totò Cuffaro», alias Raffaele Lombardo. Uno che, dopo aver fatto eleggere il figlio “Toti” all’Assemblea regionale siciliana, dal quartier generale di via Pola, sede regionale del Movimento per l’Autonomia, continua a comandare, a raccogliere consensi «senza farsi vedere», restando dietro le quinte. E da dietro le quinte lui e l’ex senatore Firrarello, il plenipotenziario di Bronte, starebbero lavorando per Raffaele Stancanelli con i vecchi metodi: «Telefonate, incontri a porte chiuse, e promesse di incarichi in società partecipate», mormora un conoscitore del palazzo catanese. In realtà l’attivismo di “Arraffaele”, lo chiamano così in virtù della sua capacità di piazzare suoi uomini ovunque, sarebbe giustificato da un patto stipulato con il Cavaliere, al quale avrebbe promesso qualche settimana fa: «Stancanelli sarà sindaco, ma lei, Presidente, mi deve promettere che mi candiderà alla Europee». Stando ad alcuni sondaggi, la lista dell’ex governatore dell’isola sarebbe accreditata intorno al 10%: «Lombardo è sempre decisivo in città».

Ma Stancanelli dovrà vedersela con l’ex sindaco della stagione della primavera catenese, Enzo Bianco. Colui che, dopo una esperienza da uomo delle istituzioni e da dirigente nazionale del Pd, vuole tornare a fare il sindaco della città che ha governato per più di dieci anni. Alla stessa maniera di Leoluca Orlando, che lo scorso anno spopolò a Palermo con lo slogan “Io, il sindaco, lo so fare”, “Enzo” è convinto di farcela forte di un’alleanza eterogenea che va da un pezzo di sinistra radicale a movimenti filocentristi. Un’alleanza che in città definiscono «eterogenea» con tutti dentro: ex lombardiani, ex cuffariani, ex berlusconiani. Uomini che per anni Bianco ha combattuto con tutte le forze, come ad esempio Lino Leanza, oggi sono al suo fianco, uno che può vantarsi di essere stato vice Presidente della Regione ai tempi di Totò Cuffaro, e superconsulente della giunta di Umberto Scapagnini. Il movimento art.4, si chiama così la lista di Lino Leanza, ha uomini di peso del calibro dell’ex senatore Mimmo Sudano, della parlamentare regionale Valeria Sudano, nipote di Mimmo, e Luca Sammartino. Al punto che Bianco dice: «Con articolo 4 ho messo il turbo». Sono sette le liste a sostegno a Bianco, e fra queste c’è anche la lista del governatore regionale Crocetta, il “Megafono”, che a Catania «si gioca la faccia», e da una serie di liste civiche, da “Patto per Catania” a “Primavera per Catania”, passando per “Sinistra per Catania”.

Ma la campagna elettorale non è mai decollata, e i candidati sindaco hanno sempre cercato di smarcarsi dai partiti di appartenenza. Bianco non ha mai esternato «nei comunicati o nei manifestati» il logo del Partito democratico. Stessa cosa per Stancanelli: nel sito del sindaco non è presente il logo del Pdl. «È stata una campagna anomala, non si vedono manifesti del Pd o del Pdl. Ma solo manifesti di liste civiche», osserva un esperto del territorio catanese. Tanto che gli osservatori non si sbilanciano e pensano che sarà un «match equilibrato». Con un Bianco che andrebbe forte nei quartieri della “Catania-bene”, mentre il centrodestra spopolerebbe nei quartieri popolari, come Librino, Monte Po, San Cristoforo e via Plebiscito. Dal quartier generale di Bianco, che si trova in via Oliveto Scamacca, un open space attivo da settimane dove l’ex sindaco riceve giovani, associazioni, sostenitori e democratici, c’è entusiasmo: «Guardi, potremmo farcela al primo turno. Il centrodestra è a picco nei sondaggi». Dal centrodestra alzano le spalle, e rilanciano: «Ma quale, si andrà al ballottaggio, e al secondo turno vinceremo». L’impressione è che «gli apparati e tutta la vecchia Dc sia con Bianco, mentre il popolo, la gente semplice voterà per Bianco. In sostanza – spiega una fonte a Linkiesta – soltanto chi ha cointeressi con la politica sta con Bianco».

Sullo sfondo c’è un terzo incomodo che potrebbe rovinare i piani di Stancanelli e di Bianco. Si chiama Maurizio Caserta, ed è un docente universitario molto stimato in città. Caserta ha schierato nella sua squadra di governo anche Loretta Napoleoni, economista di fama nazionale. E starebbe raccogliendo sopratutto fra i giovani universitari e fra l’intellighenzia catanese. «Toglierà consensi a Bianco, pesca nello stesso serbatoio di voti», profetizzano alcuni. Ma a correre per la poltrona di Palazzo degli Elefanti ci sarebbe anche la grillina Lidia Adorno. Una precaria che nei sondaggi non sfonda, e sarebbe stata snobbata anche dallo stesso Beppe Grillo. Insomma si prefigura un match a due: Stancanelli contro Bianco. Due catanesi che furono eletti la prima volta in consiglio comunale nel 1988, quando ancora il capoluogo ai piedi dell’Etna veniva chiamata la Milano del sud.

Twitter: @GiuseppeFalci 

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