Sono sempre più frequenti le notizie di gesti di disperazione a fronte del pignoramento della casa, e per questo, per difendere quanto costruito con i sacrifici di una vita, molti si chiedono se e quali siano gli strumenti previsti dalla legge per mettere al riparo i propri beni, in particolare gli immobili, da possibili difficoltà economiche. Parliamo di trust, fondo patrimoniale e vincolo di destinazione.
L’aspetto particolare è che questi strumenti sono molto spesso ignorati dal comune cittadino, e a volte anche dai professionisti. Forse la scarsa diffusione di tali strumenti deriva dalla poca consuetudine con gli stessi, specialmente con il trust che, essendo di provenienza tipicamente anglosassone, può risultare – anche culturalmente – estraneo alla mentalità italiana. Per contro, benché il fondo patrimoniale rappresenti un istituto tipicamente italiano, non tutti ne conoscono la portata e l’efficacia. Tutti temi che meritano un approfondimento legale. Per questo abbiamo chiesto aiuto all’avvocato Diego Bucci del Foro di Vicenza, per avere una valutazione da tecnico del diritto, in merito a quali possono essere gli strumenti di legge per salvaguardare il patrimonio familiare, specialmente in un contesto sociale dove sembra prevalere, purtroppo, la rassegnazione
Seppure le cronache recenti e molti mass media abbiano “spettacolarizzato” gesti estremi compiuti da chi, a fronte di situazioni debitorie gravose e/o di crisi irreversibili d’impresa, ha ceduto alla disperazione davanti alla prospettiva di potersi vedere aggredito nel proprio patrimonio personale, resta indiscutibile che la responsabilità patrimoniale sancita dall’art. 2740 del Codice Civile, per la quale il debitore è chiamato a garantire l’assolvimento dei propri debiti con tutti i suoi beni presenti e futuri, costituisca un principio assolutamente imprescindibile in uno Stato di diritto che voglia tutelare la regolarità e la certezza dei negozi giuridici.
Il problema, piuttosto, è un altro: troppo spesso non si pone la dovuta attenzione al concetto di “prevenzione”, ossia alla conoscenza e all’analisi degli strumenti che il nostro stesso ordinamento giuridico fornisce a coloro che intendano tutelare i propri beni e, assieme a questi, la propria famiglia di fronte all’eventualità di futuri rovesci economici.
Ma per prevenire, allora, quali sono gli strumenti messi a disposizione dal legislatore? Come ricorda l’avvocato Bucci, vi è anzitutto l’istituto del fondo patrimoniale, previsto e disciplinato dagli artt. 167 e seguenti del Codice Civile, ossia quello strumento con il quale uno oppure entrambi i coniugi, tramite atto notarile, ovvero un terzo, anche tramite testamento, possono vincolare determinati beni immobili, oppure beni mobili registrati, oppure ancora titoli di credito, appartenenti al loro patrimonio ad una specifica destinazione, individuata espressamente nel soddisfacimento dei bisogni essenziali della famiglia. In questo modo, dunque, il nostro legislatore ha voluto introdurre la possibilità di garantire preventivamente alla propria famiglia quella sicurezza rappresentata dal fatto che i beni, oggetto del vincolo di cui sopra, non potranno essere aggrediti in via esecutiva da parte di terzi creditori se non, è bene sottolinearlo, esclusivamente in rapporto a debiti che siano stati contratti per finalità direttamente attinenti ai bisogni della famiglia stessa.
Facciamo un esempio pratico, seppure molto “scolastico”, del funzionamento di questo istituto: un piccolo imprenditore individuale, coniugato e proprietario di un immobile, già normalmente adibito a casa familiare, potrebbe costituire per atto notarile un fondo patrimoniale avente ad oggetto proprio quell’immobile, così ponendo un vincolo di destinazione su di esso nel senso di indicare espressamente, nell’atto costitutivo del fondo, che tale bene è e sarà funzionale alla soddisfazione dei bisogni dei propri figli, o più in generale della propria famiglia, al fine di garantirne la stabilità economica futura.
Pertanto, nel caso in cui il piccolo imprenditore abbia creato un fondo patrimoniale inserendovi la prima casa, questo bene potrà essere chiamato a rispondere di quei debiti che tale soggetto abbia assunto per le esigenze specifiche della propria famiglia e dei propri figli, ad esempio il debito contratto per un finanziamento bancario rivolto ad avere la liquidità necessaria a permettere ai propri figli di iscriversi a corsi di studi di alta specializzazione post-universitaria all’estero.
Per contro, qualora quello stesso piccolo imprenditore richieda un finanziamento bancario al fine di rimettere liquidità nella propria impresa individuale, oppure di acquistare i macchinari necessari per lo sviluppo dell’attività d’impresa, e non riesca però a rientrare di quel debito, egli potrà pretendere di sottrarre l’immobile, vincolato in fondo patrimoniale, alla procedura esecutiva della banca poiché il debito è stato assunto per esigenze strettamente legate alla propria attività d’impresa individuale, non per bisogni specifici della propria famiglia/figli.
Se questo, a grandi linee, è il funzionamento del fondo patrimoniale, ovviamente esso è caratterizzato anche da precisi limiti legislativi. Un simile strumento presuppone, infatti, la sussistenza e la permanenza del vincolo coniugale, pertanto il fondo patrimoniale (ed il vincolo di destinazione) verrà meno in caso di cessazione degli effetti civili del matrimonio mentre, in caso di figli minorenni, il fondo durerà sino al compimento della maggiore età dell’ultimo figlio; parimenti, i frutti prodotti dai beni vincolati in fondo patrimoniale devono essere impiegati per i bisogni della famiglia.
Si deve tenere presente, in ogni caso, che il legislatore non ha concepito il fondo patrimoniale come un meccanismo da utilizzare “in frode” rispetto a quel principio di responsabilità patrimoniale che è sancito dall’art. 2740 c.c., difatti qualora la costituzione di esso venisse compiuta con l’intento di sottrarre determinati beni alla garanzia del soddisfacimento di crediti altrui, già sorti ovvero soggetti a condizione/termine, tale atto sarebbe inesorabilmente colpito dalla scure dell’azione revocatoria prevista dall’art. 2901 c.c., con la quale il creditore – in presenza di determinati presupposti di Legge – potrà chiedere che venga giudizialmente dichiarata inefficace nei suoi confronti la costituzione di detto fondo patrimoniale. Si tratta quindi di uno strumento di tutela “preventiva” per chi voglia salvaguardare certi beni dal rischio di futuri rovesci economici, ma non certo di uno strumento con il quale si possa tentare di sottrarsi agli effetti del principio di responsabilità patrimoniale.
Se questi sono i pro, e i contra, del fondo patrimoniale, vi sono anche altri strumenti, come il trust di marca anglosassone che presenta alcune importanti differenze sostanziali, pur nella similarità dell’impostazione di fondo. Se infatti, per un verso, entrambi gli istituti producono un effetto di “segregazione”, ossia di separazione, di un determinato patrimonio, che viene destinato a finalità particolari e specifiche, il Legislatore italiano ha voluto chiaramente imporre una specifica destinazione a questo patrimonio separato individuandola nelle “esigenze familiari” e rendendo, pertanto, tale separazione patrimoniale ammissibile e tutelabile se ed in quanto rivolta al bene della famiglia.
Per converso il trust non è vincolato a questa finalità e si presenta certamente più flessibile, essendo il disponente (il nostro piccolo imprenditore dell’esempio precedente) libero di decidere, nel relativo atto istitutivo, quale sia la destinazione da dare ai beni che ne costituiranno oggetto, entro i limiti di ciò che è possibile e lecito, nel migliore interesse dello stesso disponente e del beneficiario della gestione.
Ne consegue che mentre il fondo patrimoniale è molto più rigido, quanto a struttura e finalità, il trust si presenta invece più duttile e maggiormente adattabile, nella pratica, alle esigenze specifiche di chi intenda ricorrere ad esso. Oltre a ciò, il trust potrà essere utilizzato anche da parte di soggetti non coniugati, ad esempio nell’ottica di provvedere ai bisogni di una famiglia di fatto, ed altresì tale istituto – qualora venga utilizzato da soggetti legati da vincolo di matrimonio – rimane totalmente slegato dalle vicende relative alla durata del rapporto coniugale, salvo che nella relativa regolamentazione non sia stato previsto con specifiche clausole cosa debba succedere, in relazione ai beni posti ad oggetto di esso, una volta che il rapporto coniugale sia terminato.
Allo stesso modo, mentre il fondo patrimoniale previsto dall’ordinamento italiano non individua chi possano essere, in concreto, i beneficiari in senso tecnico della gestione del patrimonio separato, limitandosi a sottolineare la destinazione dei beni del fondo alla soddisfazione delle esigenze della famiglia, nel trust è molto più marcata l’individuazione specifica di chi sarà il beneficiario finale della gestione del relativo patrimonio, con conseguente sua legittimazione ad agire legalmente verso il gestore fiduciario nel caso in cui quest’ultimo si renda responsabile di atti contrari all’interesse del beneficiario stesso.
Appare evidente in definitiva, come rilevato nella nostra conversazione con l’avvocato Bucci, la diversa impostazione culturale sottesa a questi due istituti: il fondo patrimoniale vuole essere uno strumento di “prevenzione” limitato però dalla necessità di non renderlo inconciliabile con il principio di responsabilità patrimoniale e, parimenti, di farne un istituto di precipua salvaguardia delle esigenze della famiglia; il trust, per contro, è caratterizzato da un’estrema flessibilità individualistica e mira, nei suoi aspetti fondamentali, a garantire al massimo grado possibile l’interesse concreto del disponente e del beneficiario, per il tramite dell’attività del gestore fiduciario.
Twitter: @andreaguarise