All’Italia è servito quasi un decennio per adeguare la normativa sul WiFi agli standard europei, ma alla fine ce l’ha fatta. Il “decreto del fare” varato dal governo Letta ha mandato in soffitta le ultime disposizioni sopravvissute al progressivo smantellamento del decreto Pisanu del 2005. A causa di questa disciplina, secondo il parere di numerosi esperti di diritto, l’Italia ha accumulato un ritardo importante rispetto al resto d’Europa nella diffusione delle connessioni wireless aperte al pubblico.
È estremamente difficile fare una mappatura del WiFi in Italia e le rilevazioni fatte in passato sono poi state criticateper le carenze nel metodo e l’approssimazione nei risultati. Di sicuro siamo agli ultimi posti nell’Europa occidentale per numero di hot spot (luoghi in cui è presente una connessione internet aperta al pubblico) relativamente alla popolazione, e il Meridione è più indietro rispetto al Nord. Non solo, spesso in Italia l’accesso al WiFi è a pagamento. Una recente indagine di Hrs – portale leader in Europa per i viaggi d’affari – riporta ad esempio che il 47% degli hotel fa pagare la connessione wireless a internet, contro una media europea del 33 per cento. Diventa quindi sempre più rilevante la questione del WiFi gratuito e pubblico.
In questo ambito si sono registrati dei progressi, in particolare a partire dalla fine del primo decennio degli anni 2000, quando l’interesse per il tema è aumentato e c’è stato un primo depotenziamento del decreto Pisanu. La Provincia di Roma, nell’ambito del progetto “Provincia WiFi”, a partire dall’inizio del 2009 ha installato nei vari Comuni più di 600 hot spot per l’accesso gratuito e senza fili a internet. A questi vanno aggiunti circa altri 500 hot spot di privati “federati” con la Provincia e i 200 del progetto “Digit Roma”, del Comune della capitale. In via sperimentale da quest’anno anche alcuni mezzi pubblici dell’Atac offriranno un servizio WiFi gratuito.
A Milano, con il progetto “Milano Wireless”, a partire dal 2012 sono stati creati – in più riprese e federando le reti già esistenti, come il “WiMi” varato dalla precedente amministrazione – poco meno di mille hot spot per connettersi gratuitamente. A quelli inizialmente presenti nelle biblioteche comunali, nei musei, nelle sedi dell’anagrafe e a Palazzo Marino (“Free WiFi indoor”) se ne sono aggiunti molti altri, circa 500, nelle stazioni della metro, nelle piazze e nei giardini (“Open WiFi Milano”). Nei prossimi mesi, stando a quanto annunciato dalla giunta Pisapia, dovrebbero essere attivati altri mille hot spot per coprire circa altri 400 luoghi dove potersi connettere gratuitamente.
Sulla stessa linea si sono mossi, o si stanno muovendo, anche molti altri enti locali italiani. Ad esempio la Regione Sardegna e il Comune di Venezia già dal 2010 hanno lavorato in coordinamento con la Provincia di Roma perché gli utenti potessero mantenere un unico “user id” e password per le diverse reti. Il Trentino già dal 2008 col progetto “Free Luna”, una specie di social network del WiFi, ha aperto 1.300 hot spot disseminati strategicamente nel territorio per portare internet anche ad alta quota. A Napoli nell’aprile di quest’anno sono stati aperti i primi hot spot e, secondo le intenzioni della giunta, dovrebbero seguirne altri, anche sui mezzi pubblici. A Genova da settembre 2011 è stato avviato il progetto “FreeWiFi Genova”, che ha portato nel corso degli anni alla copertura di 15 aree della città ed all’iscrizione di circa 10 mila cittadini. E l’elenco potrebbe continuare.
Molte delle città citate hanno approfittato nel 2011 dell’iniziativa, promossa da Unidata e Wired per celebrare l’anniversario dell’Unità d’Italia, “150 piazze WiFi”. Grazie a questa sono stati installati centinaia di hot spot nelle piazze italiane e le amministrazioni pubbliche hanno potuto scegliere se mantenere o meno il servizio terminata la promozione. Ma il WiFi si sta diffondendo non solo grazie agli enti locali. Nel pubblico le Università, i trasporti (ad esempio Trenitalia), scuole e fondazioni mettono a disposizione sempre più spesso accessi gratuiti alla rete. Stesso discorso per il settore privato, dove sono locali, hotel, ristoranti e negozi a offrire il servizio, anche se non sempre gratuitamente.
«In termini di percezione – spiega l’avvocato Guido Scorza, esperto di diritto delle nuove tecnologie – si può parlare di un forte incremento del WiFi a partire dal 2011. Uno dei problemi però è che all’aumento della domanda da parte dei cittadini non è corrisposta una diversificazione dell’offerta. Il wireless offerto da aeroporti, treni, hotel etc, è spesso appannaggio delle grandi compagnie di telecomunicazioni. Questo ha una serie di conseguenze: non è sempre garantita la gratuità e c’è un effetto-pubblicità notevole, quindi questo servizio che dovrebbe essere “pubblico” finisce per esserlo un po’ meno, e il perdurare dell’identificazione tramite sim spesso crea ostacoli insormontabili per i turisti».
Sul tema dell’identificazione è intervenuto anche il “decreto del fare”, rendendola non più obbligatoria verso le persone ma solo verso i dispositivi. Tuttavia non essendo eliminato il rischio che i fornitori della rete wireless debbano rispondere in sede giudiziaria dei comportamenti degli utenti – se non rintracciabili – l’identificazione di fatto è destinata a non scomparire.
«Sono possibili – prosegue l’avvocato Scorza – soluzioni alternative alla sim per andare incontro ai turisti, come ad esempio chiedere i dati della carta di credito e far pagare un centesimo. Tuttavia il problema della responsabilità si risolve evitando di attribuire un peso sproporzionato alla questione. La possibilità che un criminale informatico decida di utilizzare la rete WiFi di un bar per commettere qualche illecito è piuttosto remota, e se proprio questa fosse la sua intenzione non mancano i metodi per aggirare anche l’eventuale identificazione. Più controverso mi sembra il tema della concorrenza. Col “decreto del fare” abbiamo finalmente eliminato gli ultimi vincoli burocratici per l’apertura di hot spot e la nostra legge è ora allineata con il resto d’Europa. Adesso per colmare il divario “reale” servirebbe una “rivoluzione copernicana” nell’atteggiamento nei confronti della rete, per cui non viene più considerata solo un servizio ma un diritto dei cittadini. Così le pubbliche amministrazioni dovrebbero essere obbligate a fornire internet gratis ai cittadini, almeno in certi luoghi, e alcuni soggetti privati – come i bar o gli hotel – dovrebbero essere obbligati a garantire l’accesso gratuito del pubblico alla rete. Un po’ come già accade coi servizi igienici. In questa situazione – conclude Scorza – andrebbero pensati dei limiti al WiFi per impedire, come dicevo, una grave lesione della concorrenza a danno degli operatori privati. Si potrebbe ad esempio limitare il tempo di accesso o la velocità di navigazione o, ancora, consentire solo una serie limitata di operazioni».
Prima però di pensare alle contromisure sarà necessario fare questa “rivoluzione”. Con il decreto in materia del governo si è fatto qualche passo in avanti. Nel corso dei prossimi mesi sarà possibile valutarne gli effetti concreti osservando l’eventuale aumento degli hot spot.