Israele sa bene cosa vuol dire essere boicottati nello sport. Il nuotatore iraniano Mohammed Alirezaei non scese in vasca per una gara di nuoto alle Olimpiadi di Pechino 2008 (e replicò ai Mondiali di Roma 2009) per la presenza in batteria un atleta israeliano. Nel 2011 la tunisina Sarra Besbes, ai Mondiali di scherma, è rimasta immobile sulla pedana contro l’avversaria Noam Mills, ovviamente israeliana. Uno dei casi più clamorosi riguarda il calcio. Nel 1974, su pressione dei Paesi arabi, la Federazione Calcio Asiatica (Afc) estromise Israele, impedendole quindi la partecipazione ai tornei continentali. La nazionale di tel Aviv si trovò quindi costretta a peregrinare da una federazione continentale all’altra, diventando membro provvisorio sia di quella europea (Uefa) che per due volte addirittura di quella oceanica (Ofc). Solo nel 1994 Israele, da Paese asiatico, ha potuto finalmente trovare posto da membro effettivo della Uefa.
Una affiliazione che permette a Tel Aviv di candidarsi ad ospitare competizioni continentali, come l’Europeo Under 21 che comincerà il prossimo 5 giugno. La decisione della Uefa non è andata giù a molti calciatori, tutti coinvolti dall’attaccante ex Siviglia (e di religione musulmana) Frederic Kanoutè, che lo scorso dicembre ha pubblicato sul proprio sito web una lista di 60 calciatori firmatari di un appello alla Uefa per fermare l’Europeo israeliano.
«È inaccettabile che i bambini vengano uccisi mentre giocano a calcio. Il fatto che Israele ospiti il campionato europeo UEFA Under 21, in queste circostanze, verrà visto come un premio per azioni che sono contrarie ai valori dello sport», scrive Kanoutè sul proprio sito, riferendosi all’attacco israeliano sullo stadio di Gaza che lo scorso 10 novembre ha causato la morte di 4 ragazzi impegnati in una partita di calcio (Mohamed Harara e Ahmed Harara, di 16 e 17 anni e i diciottenni Matar Rahman e Ahmed Al Dirdissawi). Una vera e propria battaglia politica e civile quella di Kanoutè che, appoggiato da colleghi altrettanto famosi come Demba Ba e Eden Hazard del Chelsea e Didier Drogba (ex Blues, ora in Turchia), ha anche chiesto tramite il suo appello che fine avessero fatto Omar Rowis, di 23 anni, e Mohammed Nemer, di 22 anni, calciatori della squadra Al Amari detenuti in Israele senza capi d’accusa né processo.
Una battaglia ripresa dall’organizzazione Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni (Bds) che attraverso il proprio sito web ha deciso di rilanciare l’appello di Kanouté, organizzando sit-in di protesta e chiedendo spiegazioni alla Uefa, che si è trincerata dietro una spiegazione semplice: le scelte operate da Nyon sull’assegnazione delle competizioni sono apolitiche. Una spiegazione che non ha convinto gli attivisti. Dal dicembre 2012, con la creazione della campagna europea “Cartellino rosso all’Apartheid Israeliana”, le motivazioni del boicottaggio si sono allargate. La competizione calcistica comincerà il 5 giugno: quel giorno del 1967 cominciò la cosiddetta “Guerra dei 6 giorni”, mentre tra il 1947 ed il ’48, nei giorni in cui Israele diventava uno stato riconosciuto dall’Onu, molti villaggi palestinesi venivano distrutti ed ora si giocherà in impianti costruiti negli anni su parte di quelle rovine.
E proprio il passaggio storico sul 5 giugno ha creato tensioni anche in Italia, con il portavoce della comunità ebraica di Roma Fabio Perugia che ha attaccato il giovane deputato grillino Manlio Di Stefano, reo di aver chiesto al ministro dello sport Josefa Idem di esprimere solidarietà al popolo palestinese in occasione dell’inizio della competizione, facendo riferimento al 5 giugno come giorno in cui Israele fece partire l’attacco occupando Gaza e Cisgiordania. Secondo Perugia, il deputato ha dato «prova di come la scarsa preparazione dia luogo alla nascita di clamorosi falsi storici e di come molti dei 5 Stelle, informandosi su fonti web non certificate, inciampino nelle più becere teorie antisemite». E perchè? «Nella guerra dei Sei Giorni Israele si difese dai Paesi confinanti che, dall’Egitto all’Iraq, ammassarono le proprie truppe ai confini e dichiararono ufficialmente guerra allo Stato Ebraico chiudendo gli Stretti. Non fu, dunque, Israele ad attaccare ma fu Israele a difendersi riuscendo a salvare il proprio popolo dalle minacce di distruzione». Insomma, quello di Di Stefano è stato solo un «goffo tentativo di boicottaggio d’Israele».
Nel frattempo, al boicottaggio si è unito anche Mahmoud Sarsak, giocatore palestinese incarcerato nel 2009 da Israele e liberato nel 2012 dopo un lungo sciopero della fame. Per chiedere che fine avessero fatto i colleghi Rowis e Nemer, Sarsak appoggiato dal Bds ha occupato la sede della Federcalcio francese incatenandosi all’ingresso. E in tutta Europa, la protesta ha conosciuto nelle ultime settimane il proprio picco tra l’Italia e l’Inghilterra. A Roma una delegazione di Bds ha incontrato a Roma in Federcalcio il direttore generale Valentini mentre a Milanello, sede del ritiro della nostra Under 21, alcuni attivisti hanno manifestato contro la loro partenza per Israele. A Londra, sede dell’ultimo congresso della Uefa, alcuni attivisti hanno fatto irruzione a una cena organizzata da Platini e alla quale erano presenti anche David Beckham e Sir Alex Ferguson.
In maniera meno veemente, ma di certo più rumorosa, il Guardian ha pubblicato lo scorso 24 maggio una lettera contro l’Europeo in Israele scritta dall’arcivescovo Desmond Tutu ed appoggiata da altre grandi personalità come il regista Ken Loach e l’ex vice presidente del Parlamento Europeo Lusia Morgantini: «La Federazione ha individuato norme molto severe per punire i fenomeni di razzismo e discriminazione in questo sport, ma troviamo sconvolgente che questa stessa organizzazione dimostri totale insensibilità relativamente a quanto accade nei confronti dei palestinesi».
A tutto questo, il calcio israeliano non ha risposto. Anzi. Lo scorso gennaio i tifosi della squadra del Beitar Gerusalemme, in un match contro il Bney Yehuda, hanno intonato diversi cori inneggianti alla pulizia etnica della propria squadra: i dirigenti del Beitar avevano annunciato di voler acquistare due calciatori ceceni di fede islamica. Beitar pura per sempre. Proprio quando si celebrava la Giornata della Memoria.
La Uefa non ritirerà l’Europeo, soprattutto ora che tutto è pronto per il calcio d’inizio. La Fifa però non è rimasta a guardare e con una decisione certo politica vuole ridare una speranza al calcio palestinese. Grazie all’inserimento del paese nel progetto ”Goal”, l’organismo che governa il calcio mondale garantirà alla Palestina un investimento di quattro milioni e mezzo di dollari. Un progetto che prevede il completamento del quartier generale della Federazione Palestinese di Calcio (Pfa) ad Al Ram, oltre all’apertura di una Football Academy della fedecalcio ad All Birreh e all’istallazione di capi in erba artificiale a Tulkarem e Ram. E poi, la ricostruzione dello stadio di Gaza, con un investimento di 200.000 dollari.