Premessa
Il genere che consiste nella recensione di un libro è antico assai, e a mio parere finisce anche per essere un po’ antiquato. Penso che il genere abbia bisogno di un rinnovamento, e la mia risposta a questo bisogno consiste (e consisterà) nello scrivere recensioni che assomigliano ai cosiddetti “referaggi” (referee reports) degli articoli scientifici.
Che cos’è un referaggio? È una recensione anonima che viene scritta da uno o più esperti della materia a proposito di un articolo che si cerca di pubblicare su una rivista scientifica. Quali sono le caratteristiche generali del referaggio? La principale è che l’estensore del referaggio stesso deve verificare se a suo parere l’articolo sottoposto a pubblicazione è degno di essere pubblicato su quella data rivista, oppure no. Il caso intermedio (e molto più comune dell’accettazione tout court) consiste nell’ipotesi di “Revise & Resubmit”, ovvero l’autore del referaggio arriva alla conclusione che il pezzo può essere pubblicato una volta modificato secondo i suggerimenti contenuti nel referaggio.
L’autore di un referaggio spiega a vantaggio dell’editore il contenuto dell’articolo sottoposto a pubblicazione, e ne evidenzia pregi e difetti.
Come accennavo sopra, la mia idea è di scrivere recensioni a libri come se scrivessi un referaggio scientifico. Evidentemente il libro è già stato pubblicato, ma il lettore potenziale non ha ancora deciso se acquistarlo: se il referaggio scientifico consiste nel dare un giudizio all’editore su quanto vale la pena di pubblicare un dato articolo, qui si trasforma in un parere al lettore potenziale sull’opportunità di leggere o meno il libro recensito.
Mi direte: ma non è esattamente questo lo scopo di una recensione letteraria? Mia risposta: Sì e no. All’origine l’intento era quello, ma le recensioni attuali sono a mio parere troppo poco schematiche, troppo prese dall’idea di essere a loro volta un pezzo letterario o un saggio, dunque poco pragmatiche. Io voglio essere invece pragmatico e schematico. Alla faccia della letteratura.
“Eserciti di carta” di Ferdinando Giugliano e John Lloyd, Feltrinelli
È noto come il sistema mediatico italiano sia particolarmente interessante anche per uno straniero, principalmente per il ruolo particolare giocato da Silvio Berlusconi, fondatore e proprietario di Mediaset e già più volte presidente del consiglio. Il libro Eserciti di Carta di Giugliano e Lloyd racconta il mondo dell’informazione italiana non limitandosi alla televisione ma prestando attenzione anche alla carta stampata e al web.
Si tratta di un libro agile (276 pagine), ben scritto e godibile. Adeguato spazio viene giustamente dato alla peculiarità (per usare un eufemismo) rappresentata dal fatto che Mediaset e Mondadori siano possedute – e utilizzate politicamente – dall’imprenditore e uomo politico Berlusconi. Tuttavia, gli autori si preoccupano di analizzare in dettaglio il settore della carta stampata e dei quotidiani in particolare, che è sicuramente caratterizzato da un maggiore grado di pluralismo rispetto al mercato televisivo. La tesi degli autori è che i quotidiani si sono maggiormente polarizzati dal punto di vista politico a partire dalla fine del primo decennio degli anni 2000, all’epoca del cosiddetto “Noemi-gate”, degli attacchi del Giornale a Dino Boffo e della direzione di Minzolini al Tg1.
Per quanto concerne il web gli autori si concentrano su operazioni di successo – anche se ancora limitate nelle dimensioni – come i blog economici Lavoce.info e NoiseFromAmerika, il sito di gossip economico-politico Dagospia e i giornali online IlPost, Lettera 43 e Linkiesta. Non manca un capitolo minuzioso sulla storia editoriale e politica di Beppe Grillo e del MoVimento Cinque Stelle.
La principale tesi degli autori è che nel panorama mediatico italiano l’idea del giornalismo come mezzo per accontentare i desideri politici ed ideologici dal lato della domanda e dell’offerta (cioè di lettori, spettatori, proprietari e giornalisti stessi) è largamente prevalente rispetto all’idea dal contenuto maggiormente etico, secondo cui il giornalismo deve badare in primis alla ricerca e alla divulgazione della verità. A questo proposito, mi permetto di aggiungere che un giornalismo più attento all’obiettività non rappresenti necessariamente un atto caritatevole, ma potrebbe essere piuttosto una mossa lungimirante per guadagnare credibilità a lungo termine con i lettori/ascoltatori…
Alcuni commenti generali:
1) Un aspetto lodevole del libro consiste nel basare l’analisi del caso italiano sul confronto sistematico con quanto accade negli Usa e nei principali paesi europei. In questo modo emergono bene le somiglianze e le differenze, evitando il rischio di uniformare tutto, o di fare apparire il caso italiano come un unicum senza paragoni. Dall’altro lato, talora la dimensione storica si perde un po’. Detto in altri termini: gli autori preferiscono i confronti tra paesi rispetto ai confronti storico/dinamici tra quel che accade oggi in Italia e quel che accadeva 20 anni fa. Questa analisi storica non manca, ma potrebbe essere sviluppata di più. Peccato che il libro rischia di diventare molto meno agile!
2) Riguardo al caso di Berlusconi, avrei sottolineato il fatto che prima del suo arrivo sulla scena televisiva vi era un grado molto minore di scelte disponibili per il telespettatore. Non solo: la presenza della Rai come monopolista sul mercato televisivo nazionale implicava prezzi molto elevati per gli inserzionisti pubblicitari. Maggiore concorrenza sul mercato implica prezzi più bassi per gli inserzionisti.
3) Mi è piaciuto molto il capitolo sul giornalismo online. Nel discutere del passo imprenditoriale successivo che dovrebbe essere compiuto da questi nuovi soggetti, avrei citato il noto caso del sito Huffington Post, che nel 2011 è stato acquistato per 315 milioni di dollari da America On Line (Aol) il meno noto caso del sito di economia Freakonomics (ad opera dell’economista Steven Levitt e del giornalista Stephen Dubner), che nel 2007 è stato incorporato nel mega-sito del New York Times, per poi scorporarsi nuovamente nel 2011. Detto in parole povere: fusioni e acquisizioni potrebbero costituire la fase imprenditoriale successiva per il giornalismo online italiano, sulla falsariga di ciò che è già successo e sta succedendo negli Usa.
4) Secondo gli autori, un contributo alla professionalizzazione dei giornalisti e alla diminuzione della partigianeria politica potrebbe essere dato da una riforma complessiva della Rai, che tolga spazio alla lottizzazione politica. Mi sembra un ottimo punto, ma la domanda è: chi è in grado di riformare i meccanismi di controllo politico della Rai? I politici stessi?
Alcuni commenti brevi:
1) È ben fatta l’analisi degli editori cosiddetti “impuri”, cioè che possiedono altre imprese oltre a quelle editoriali. Gli editori impuri sono forse più ricattabili da parte del potere politico rispetto ad editori puri, e d’altro canto possono accettare di fare perdite dal lato editoriale del loro gruppo, se ciò dà vantaggio ad altri settori.
2) Trovo molto interessante il capitolo sul “bipolarismo muscolare” sui quotidiani, così come esemplificato dai casi di Noemi, Boffo e Tulliani; in particolare, gli autori notano come una maggiore polarizzazione ideologica possa essere specialmente costosa per testate più moderate come il Corriere della Sera e La Stampa.
3) È altrettanto gradevole il capitolo sulla rivista Chi, e sull’uso politico che ne ha fatto il direttore Alfonso Signorini.
4) È ben fatta l’analisi comparata degli ascolti prima e dopo l’arrivo di Augusto Minzolini come direttore del Tg1: godetevela.
5) Attenzione a pagina 161: mi sembra che siano state invertite le didascalie relative ai tempi dedicati ai diversi temi da Riotta e da Minzolini durante il loro periodo di direzione del Tg1.
6) Ho trovato gradevole il parallelismo tra il rischi per il giornalismo dal lato destro dello schieramento politico, nella forma di un potere politico eccessivo (Berlusconi), e dal lato sinistro, nella forma di un potere politico troppo debole, che lascia spazio ad un ruolo di sostituto per il gruppo Repubblica-Espresso.
7) È interessante l’analisi del futuro delle forme di finanziamento dei mass media, con particolare riferimento alla pubblicità e ai sussidi pubblici. Avrei gradito qualche paragrafo in più sul finanziamento tramite acquisto e/o abbonamento da parte dei lettori, che è particolarmente rilevante dal lato del mercato online delle notizie.
8) Gli autori mettono i puntini sulle i a proposito della posizione elitistica di Norberto Bobbio, Eugenio Scalfari e Giovanni Sartori sul mercato della televisione. Parole sante!
9) In una prossima edizione del libro i capitoli dovrebbero avere un titolo, in quanto ciò faciliterebbe molto il lettore (e il recensore!)
Rapporto finale per il lettore potenziale:
Caro lettore potenziale,
Se ti interessano almeno un po’ la politica e i media italiani, questo è un godibilissimo libro da acquistare e da leggere.
Twitter: @ricpuglisi, @FerdiGiugliano, @feltrinellied