Ogni volta che il Funkyprofessor sale sulla bilancia che tiene in casa, tutti i suoi follower su Twitter sanno in tempo reale quanto pesa. Merito di una bilancia smart che si connette direttamente al router di casa e twitta in automatico il peso di chi ci sale: con l’idea che il “pubblico ludibrio” sulla piazza digitale dovrebbe essere uno stimolo per cercare di non esagerare a tavola e rimettersi in forma. La bilancia del Funkyprofessor, alias Marco Zamperini, esperto di gadget tecnologici nonché Chief Innovation Officer presso NTT Data Italia, è solo uno dei 5 milioni di oggetti che sono oggi collegati direttamente a Internet in Italia.
Il dato è dell’Osservatorio Internet of Things della School of Management del Politecnico di Milano che dal 2011 ogni 12 mesi fa il punto su quegli oggetti, di uso quotidiano e non, che grazie alla possibilità di collegarsi direttamente alla Rete acquisiscono una vera e propria identità digitale (testimoniata anche dal fatto che hanno un proprio indirizzo IP).
In realtà il numero degli oggetti connessi potrebbe essere anche sensibilmente più alto, perché per ora l’Osservatorio, ci spiega Angela Tumino, «si è concentrato sugli oggetti che usano la rete cellulare per collegarsi a Internet”. Ovvero: hanno una SIM-card per comunicare. A rigore, quindi, la bilancia del Funkyprofessor non è contemplata nello studio, avvalendosi di un collegamento wi-fi casalingo. Ma il punto fondamentale, già anticipato dallo scrittore Bruce Sterling alcuni anni fa, è che anche nel nostro Paese come nel resto del mondo tecnologicamente avanzato Internet sta uscendo da una dimensione in cui a essere collegati tra di loro erano solamente i computer e si sta andando verso una acquisizione di identità in Rete per tutta una serie di oggetti che raccolgono, ricevono e inviano informazioni.
Addirittura, come ha raccontato recentemente a State of the Net il ricercatore dell’Università di Harvard Doc Searls, già celebre per aver co-firmato il Cluetrain Manifesto, in un prossimo futuro ogni oggetto avrà una “propria cloud”, allargando oltre la sfera fisica le potenzialità, i servizi e le funzionalità che sono parte dell’oggetto stesso. Secondo Doc Searls al momento è già possibile incamminarci in questa direzione sfruttando le potenzialità dei codici QR, quei codici che possono essere letti da smartphone e tablet e che permettono di accedere direttamente a contenuti e informazioni online. Prima di arrivare a questa rivoluzione, già oggi l’orizzonte dell’Internet delle cose si sta allargando progressivamente.
Come ricorda Marco Zampieri, che a State of the Net hapresentato un personale approccio agli oggetti smart, stiamo per esempio andando «oltre la domotica classica, quella che prevedeva l’intermediazione di una centralina che comandava il termostato, l’illuminazione e le altre tecnologie che avevamo in casa». Questo modo di collegare tra di loro gli oggetti obbligava a comperare tutto di una stessa marca, facendo così aumentare i costi per l’utente. La disintermediazione dovuta alla struttura stessa di Internet permette di eliminare la centralina «perché ogni singolo oggetto è direttamente collegato alla Rete e può essere comandato dal mio smartphone o attraverso un’applicazione sul mio computer».
In questa direzione, più aperta e creativa, va anche tutto il movimento di makers/hackers che per divertimento studiano sistemi artigianali per poter collegare oggetti che originariamente non erano progettati per farlo. La grande spinta in questo campo l’ha data lo sviluppo dell’elettronica open di Arduino. In questo settore siamo forse in una fase ancora pionieristica, ma dalle analisi svolte dall’Osservatorio del Politecnico di Milano ci sono ambiti magari meno evidenti, ma in cui l’Internet delle cose sta già modificando il paesaggio.
È il caso dei sensori che vengono impiegati per effettuare rilevamenti nelle città: qualità dell’aria, situazione del traffico, allarme incendio e così via. Secondo i dati dell’Osservatorio, questo ambito, noto come smart city o smart urban infrastructure, è attualmente uno dei settori più consistenti dell’Internet of things in Italia. «Stiamo assistendo a un cambiamento fondamentale», sottolinea Angela Tumino, «perché tutti questi tipi di sensori facevano riferimento a sistemi separati, mentre oggi la connessione attraverso Internet permette di mettere in condivisione dati e informazioni in modo integrato». Ad aiutare questo sviluppo, in Italia, c’è «stata una forte spinta normativa negli ultimi anni», che porterà – tra l’altro – al 60% la quantità di contatori intelligenti per luce e gas su tutto il territorio entro la fine del 2018. Si tratta di contatori che «comunicano direttamente in radiofrequenza e permetteranno di abbattere i costi».
Dal punto di vista del valore del mercato, i settori più importanti ad oggi sono la nuova domotica, un ambito che gli esperti chiamano in gergo “smart building”, ma anche quello delle automobili, dove si trovano già in commercio vere e proprie scatole nere che permettono di individuare in ogni momento la propria auto, ma anche di ricostruire la dinamica di un incidente grazie alle informazioni su luogo, velocità e accelerazione che sono in grado di registrare. Uno dei settori che oltre alla sensoristica per le smart city promette maggior sviluppo è quello dei pagamenti direttamente da cellulare, per esempio per comprare il biglietto quando saliamo su di un mezzo pubblico.
Altro settore interessante è proprio quello indicato da Doc Searls, ovvero la possibilità di collegare gli oggetti a specifici contenuti online che aumentino l’esperienza dell’oggetto. Vengono chiamati «puntatori verso contenuti aggiuntivi online», spiega Tumino, «e si stanno già sperimentando nell’ambito del turismo». Insomma, Internet ha messo il naso fuori da una dimensione puramente software per diventare ancora più pervasiva. Come osservano praticamente tutti gli osservatori di questo settore siamo probabilmente ancora all’inizio di un cambio di paradigma che spesso non è facile vedere, ma è già in mezzo a noi.