L’assunzione a tempo indeterminato di giovani tra 18 e 29 anni prevede l’azzeramento totale dei contributi per i primi 18 mesi nel caso in cui venga assunto un lavoratore non impiegato dall’impresa con contratti precari e di 12 mesi nel caso ci sia una trasformazione a tempo indeterminato. Lo ha spiegato ieri il ministro del lavoro, Enrico Giovannini, a valle del Consiglio dei Ministri. Queste assunzioni devono riguardare lavoratori, di età compresa tra i 18 ed i 29 anni, che rientrino in una delle seguenti condizioni alternative: a) siano privi di impiego regolarmente retribuito da almeno sei mesi; b) siano privi di un diploma di scuola media superiore o professionale; c) vivano soli con una o più persone a carico. Un’ulteriore condizione a capo dell’impresa è che questa aumenti l’occupazione rispetto alla media aziendale dell’anno precedente.
Che giudizio dare del piano lavoro varato ieri dal governo Letta? Si tratta di un decreto pieno di dettagli e condizioni: quelle misure con il cacciavite di cui si parla spesso. Sono tutte condizioni dettate dalla necessità di circoscrivere l’ambito di applicazione dei sussidi e di evitare di sussidiare delle assunzioni che verrebbero comunque fatte. La ragione è semplice: i soldi sono pochi e non vanno dispersi. Occorre inoltre evitare di incorrere in costose violazioni della disciplina europea degli aiuti di Stato, come accadde in passato per gli sgravi fiscali e contributivi concessi per i contratti formazione lavoro. Ad esempio è confermato il tetto di 650 euro al mese per lavoratore e gli sgravi saranno a “tempo determinato”: di 18 mesi per le nuove assunzioni e di 12 per chi trasforma i contratti a tempo indeterminato. Non possiamo certo sbilanciarci in stime previsionali delle nuove assunzioni perché in questi tempi anche le assunzioni sussidiate potrebbero essere scarse, ma se la domanda delle imprese è ridurre il costo del lavoro subito, questo è un primo passo concreto in questa direzione.
Il secondo punto del decreto riguarda la revisione della legge Fornero sul lavoro a tempo determinato. L’obiettivo dell’esecutivo è quello di ridurre la pausa obbligatoria prevista dalla legge tra un contratto e l’altro. Per almeno due anni, il periodo che deve intercorrere tra un’assunzione e l’altra potrebbe essere ridotto a 10 e 20 giorni per contratti rispettivamente inferiori o superiori a sei mesi. Con la crisi che ha decimato l’occupazione, in questo momento non ha senso scoraggiare il lavoro a tempo determinato con vincoli troppo rigidi sui contratti. Finché vige il divieto di reiterazione oltre i 36 mesi e il requisito causale dei contratti a termine successivi al primo, queste misure non rischiano di farci fare la fine della Spagna in cui il contratto temporaneo è diventato la regola e non l’eccezione.
Nel decreto non si fa ancora abbastanza per semplificare il contratto di apprendistato. Se davvero deve diventare il contratto di inserimento dei giovani, l’apprendistato deve essere: 1) semplice (niente vincoli di stabilizzazione); 2) omogeneo sul territorio nazionale (formazione interna all’azienda regolata da legge nazionale); 3) flessibile (licenziamento possibile anche prima della conclusione del periodo di formazione di tre anni con indennità economica, per esempio quella delle piccole imprese).
Riassumendo, nel dettaglio di tutte le condizioni di applicazione dei sussidi e delle semplificazioni noi vediamo il bicchiere mezzo pieno. È facile parlare male delle misure prese con il cacciavite da parte di chi rivendica la rivoluzione del mercato del lavoro o sostiene a prescindere che il governo faccia sempre comunque male. Spesso nella battaglia politica si offrono progetti irrealizzabili per i loro costi o per l’assenza del necessario consenso politico. Questo decreto invece fa i conti con le risorse disponibili e stabilisce un principio importante: d’ora in poi la direzione è ridurre il costo del lavoro, si inizia con i soldi che ci sono, si continua con quelli che si spera arriveranno.
Per mancanza di fondi finora la riforma del mercato del lavoro ha cambiato solo le regole dei licenziamenti e delle assunzioni. Ma con questo non si aumenta la domanda di lavoro, per farlo bisogna ridurre stabilmente – e non solo temporaneamente – il costo del lavoro e semplificare ulteriormente i contratti di inserimento dei giovani o reinserimento della categorie in condizioni di difficoltà.
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