I bond del Ruanda sono più sicuri di quelli italiani?

L’Africa colloca i primi titoli di Stato

A quasi vent’anni della fine del genocidio ruandese (800mila morti), il Ruanda cerca di crescere e avvia la sua prima emissione di Bond. Pochi giorni fa, il governo di Kigali ha collocato sui mercati bond a dieci anni per un valore da 400 milioni di dollari sottoscritto dagli investitori istituzionali e dai fondi internazionali: il successo è stato immediato e le prenotazioni hanno raggiunto i 3,5 miliardi. Nessun investitore si è fatto scoraggiare dal fatto che il Paese ha una bilancia delle partite correnti negativa, con un deficit pari a 710 milioni di dollari (dato al 2011). Non si tratta di una offerta come un’altra, visto che per la nazione del “continente nero” è un debutto assoluto.

«L’emissione del primo bond internazionale del Ruanda è un segno che il Paese è sulla via della maturità economica», ha detto il ministro delle Finanze e della Pianificazione Economica Claver Gatete. «I bond che sono stati sottoscritti in eccesso esprimono il segnale che gli investitori internazionali hanno fiducia nell’Africa al di là della solita storia dello sfruttamento delle materie prime. Le intenzioni del Ruanda sono quelle di investire in infrastrutture come punto di partenza per la costruzione di un’economia moderna, dinamica, basata sui servizi e che, nello stesso momento è collegata ai mercati internazionali. Questo permetterà un rapido sviluppo del nostro Paese», ha concluso il ministro Gatete. Il Ruanda si unisce così agli altri Paesi dell’Africa orientale che cercano di vendere i loro primi bond. Quest’anno il Kenya, la più grande economia della regione, prevede l’emissione di un prestito obbligazionario sovrano entro settembre, aumentandolo fino a 1 miliardo di dollari, come annunciato dal ministro delle Finanze Robinson Githae. La Tanzania, seconda più grande economia dell’Africa orientale, nel febbraio ha arruolato degli esperti di Citigroup per aiutare il Paese e la sua economia a preparare un rating di credito che assicuri stabilità prima di emettere bond entro la fine dell’anno.

L’economia del Ruanda è destinata ad espandersi di circa otto punti percentuali quest’anno, una performance migliore rispetto a quella del 2011 (+7,4%): una crescita superiore di due volte rispetto a quella di Paesi confinanti come il Burundi e l’Uganda. Duecento milioni ricavati dalle vendite saranno sfruttati per ripagare i prestiti dei piani di sviluppo finora implementati, mentre altri 150 milioni saranno utilizzati per lo sviluppo del settore idroelettrico. La privatizzazione sta raggiungendo anche il continente africano e in questo Paese sarà attuata anche la vendita da parte del governo di azioni relative a compagnie statali, attive soprattutto in agricoltura e nei trasporti. Molto sarà investito per migliorare il servizio dei trasporti con intervetti diretti soprattutto verso la compagnia di bandiera RwandAir.

Quali sono però i problemi legati a questa emissione? Prima di tutto, si tratta di un’emissione in dollari, moneta che il Paese non può stampare per finanziarne la restituzione in caso di crisi liquidità: una emissione in valuta ugandese non sarebbe stata così appetibile. Un ulteriore problema deriva dal fatto che il Ruanda dipendente molto dagli aiuti internazionali, che coprono quasi il 38 per cento della spesa pubblica ovvero il 10 per cento del Pil: gli aiuti rappresentano all’incirca la metà della valuta estera introdotta in Ruanda. Il Pil crescerà – secondo le stime del Fondo Monetario Internazionale – dell’8%, dopo aver registrato una progressione media del 7,7% nel 2012. Questo non significa che i problemi del Ruanda siano superati. La disoccupazione è ancora al 40% e molti servizi basilari sono del tutto assenti o forniti dalle ong. Inoltre alcuni degli aiuti esteri essenziali per il Paese sono stati sospesi alla fine del 2012. Fondi dal valore di circa $ 250 milioni, elargiti in gran parte dalla Banca mondiale e già conteggiati nel bilancio 2012/2013, sono stati ritardati dopo che un rapporto delle Nazioni Unite, alla fine dell’anno scorso, ha accusato il Ruanda di sostenere i ribelli nella vicina Repubblica Democratica del Congo (il Ruanda ha negato). Secondo Samir Gadio, analista dei mercati emergenti di Standard Bank: «Il Ruanda ancora rimane un’economia fragile, con i più deboli livelli di credito dei Paesi dell’Africa sub-sahariana. Le sue esportazioni, strettamente limitate alle risorse naturali, rendono il Paese vulnerabile a choc esterni, come oscillazioni di prezzo di commodities importate, come il caffè e il tè».

Sono state l’americana Citigroup e la francese BNP Paribas a lavorare sulla emissione di obbligazioni. Il titolo (ISIN: XS0925613217) è stato emesso alla pari e offre una cedola fissa del 6,625%, pagabile semestralmente il 2 maggio e il 2 novembre di ogni anno fino al 2023. Il titolo prezza al momento intorno a 97,50 per un rendimento lordo a scadenza del 7% ed è negoziabile sul mercato over the counter (Otc) per un valore minimo di 200.000 dollari. Il rating assegnato dall’agenzia S&P è B con outlook stabile per via essenzialmente delle tensioni ancora aperte con le autorità del Congo per alcune questioni politiche e militari. «[Questo Bond] offre agli investitori una diversificazione», ha detto Charles Robertson, il capo economista di Renaissance Capital e specialista in debito dell’Africa sub-sahariana. Robertson ritiene che «Supponendo che il bond abbia successo, e in questo momento dovrebbe offrire un buon rendimento, questa spinta aiuterà il Ruanda a rinvigorire i [suoi] progetti di investimento». Secondo quanto ha detto Nick Darrant, un banchiere di BNP Paribas, «è uno scenario da sogno: la domanda e l’offerta sono immense».

Ma dovete sapere che non solo la domanda è stata enorme, ovvero ben 10 volte l’offerta, ma ancor più sorprendernte è il rendimento di questi titoli. Un rendimento pari al 6.87%, vale a dire mezzo punto in meno di quel che i mercati pretendevano dall’Italia nel novembre del 2011, nel momento più delicato della crisi. Si può ritenere che l’Italia navighi nelle stesse acque del Ruanda? Ovviamente no: oggi, con il Btp decennale rende il 3,67%, ai minimi dal gennaio 2006. Può essere l’ingente quantità di moneta immessa nei mercati nell’ultimo periodo la spiegazione della riduzione del rendimento attuale dei nostri titoli di Stato e spiegare anche lo scoppiettante esordio del Ruanda sui mercati? Forse sì.

L’entrata nei mercati dei bond ruandesi infatti coincide però con il ritorno dei “bond salciccia”. I mercati finanziari – secondo i calcoli del Sole 24 Ore – oggi hanno un valore pari a circa 740mila miliardi di dollari: quasi 20mila miliardi in più rispetto ai valori delle transazioni del 2007. Per dare una dimensioni questi 20mila miliardi, corrispondono a dieci volte più del Pil mondiale. I fiumi di liquidità che scorrono più veloci grazie all’apertura della “diga” di Fed e Bce stanto innondando il mare dei mercati. Infatti i Collateralized debt obligation, più semplicemente i titoli tossici che al loro interno incorporano la cartolarizzazione dei debiti dei risparmiatori, stanno ancora spopolando. Il Lloyds Banking Group ha annunciato che sta per mettere all’asta 8,7 miliardi di dollari di mutui americani e poco tempo fa l fondo Lone Star e Credit Suisse hanno pagato miliardi per gli asset detenuti dalla fallita Fortis.

Il ritorno dei titoli salsiccia o tossici può essere un segno di allarme. La finanza che doveva essere tanto regolamentata ha ripreso a pieno regime la contrattazione di questi titoli che hanno portato nel 2007 alla crisi dei mutui subprime. Anche il grande successo delle vendite dei titoli statali ruandesi può rappresentare per certi versi una minaccia. La domanda è: la vera bolla speculativa la stanno gonfiando i titoli di stato del Ruanda, i titoli salciccia o entrambi?

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